Sinistra alternativa: la necessità e gli ostacoli

La necessità di costruire una sinistra di alternativa nasce – dal mio punto di vista – dalla consapevolezza della indispensabilità ma anche dei limiti del Partito della Rifondazione comunista. La indispensabilità mi pare evidente. Senza Rifondazione comunista – senza la sua capacità di mantenere una netta autonomia dalla sinistra moderata – in questo paese non vi sarebbe alcuna espressione politica ne di una posizione comunista ne di una posizione più genericamente anticapitalista. Non mi pare che questo dato sia destinato a modificarsi a breve.

Altrettanto evidente mi paiono i limiti oggettivi di Rifondazione comunista. Le modalità, i contenuti e le forme in cui si presentano e si esprimono oggi le istanze di cambiamento sociale, solo in parte sono veicolabili attraverso lo strumento del partito. Quanti giovani negli anni ‘80 e ‘90, di fronte alla crisi della politica hanno trovato nelle associazioni, nel volontariato, nei comitati di lotta, nei centri sociali, i modi attraverso cui esprimere una volontà di cambiamento, di alternativa? Quanti compagni formati negli anni ‘70 si sono ritratti dalla vita politica attiva ma hanno trovato in ambiti non partitici una modalità di espressione della propria militanza? Non voglio proseguire oltre con gli esempi: La cosa che mi preme sottolineare è che la necessità di costruire il polo della sinistra di alternativa, intesa come la costruzione di una rete di relazioni stabili tra i vari soggetti interessati ad una prospettiva anticapitalistica, ha in queste diverse esperienze e diversi percorsi la propria ragion d’essere, la propria fondazione materiale. Si tratta di mettere in rete stabilmente queste diverse soggettività per costruire una sinergia, un dialogo, uno scambio di esperienze. Costruire cioè un polo di aggregazione della sinistra di anticapitalista, alternativo alla sinistra moderata, in cui sia possibile esprimere la propria militanza, il proprio impegno, in mille forme diverse ma dentro una prospettiva comune. Un progetto politico che si articoli – dall’alto e dal basso, sul piano politico, sociale, culturale – in consulte, coordinamenti, progetti di studio e di lavoro, obiettivi di lotta, coalizioni su specifici obiettivi. A questo progetto deve lavorare a mio parere Rifondazione comunista: per ricercare i percorsi, i modi e i contenuti attraverso cui favorire la ricomposizione di un variegato tessuto anticapitalista e per rilanciare un’ipotesi comunista all’altezza del livello dello scontro. La costruzione della sinistra di alternativa e il rilancio della questione della rifondazione di una teoria e di una pratica comunista sono quindi due facce della stessa medaglia. Questa ipotesi trova sulla sua strada molte resistenze sul piano politico. Per ragioni di brevità mi limito a citarne alcune.

Le resistenze esterne

La prima resistenza è data dalla richiesta che talvolta viene avanzata a Rifondazione comunista di sciogliersi per dar vita ad un nuovo partito. Questa richiesta mi pare in primo luogo sbagliata perché la valorizzazione delle diverse esperienze che oggi potenzialmente possono costituire la sinistra di alternativa non troverebbero una risposta nella costruzione di un nuovo partito. Il problema non è un altro partito ma la costruzione di una rete di relazioni paritarie tra le diverse forme di espressione dell’impegno anticapitalista e comunista oggi. In secondo luogo questa posizione mentre chiede lo scioglimento del Prc non dice nulla di cosa dovrebbe nascere al posto: su che linea politica? con che profilo programmatico, culturale o ideologico? con che rapporto con il centro sinistra?

Per costruire sul serio una ampia sinistra di alternativa occorre battere politicamente queste tendenze nichiliste che vedono nel Prc un ostacolo invece che una risorsa. Abbiamo bisogno di tutte e di tutti; del Prc in primo luogo.

Le resistenze interne

Il secondo ostacolo è dato dalle resistenze che vi sono all’interno di Rifondazione comunista. Ne vedo principalmente due. In primo luogo attraverso l’espressione di giudizi diffamanti ed insultanti verso compagni che si collocano nell’area della sinistra di alternativa. Queste pratiche settarie, oltre ad essere discutibili sotto un profilo morale, rendono semplicemente impossibile il dialogo. Non mi riferisco qui a critiche o polemiche anche dure che hanno la loro piena ragion d’essere, ma a giudizi quali quelli espressi da Claudio Grassi su Marco Revelli nell’editoriale del penultimo numero del l’ernesto. Scrive Grassi, dopo aver fatto una discutibile operazione di giustapposizione di singole parole e spezzoni di frasi: «Risuonano in queste parole di Revelli gli echi del disprezzo nei confronti degli operai che, sin dai tempi di Bakunin, caratterizzavano una certa posizione anarchica, la cui missione speciale secondo Marx ed Engels consisteva, oltre che predicare l’astensione in materia politica, proprio nello screditare gli operai di fabbrica equiparandoli agli odiati borghesi.» Etichettare in questo modo un compagno che ha accettato di candidarsi nelle liste di Rifondazione comunista al Comune di Torino e che è sempre stato in prima fila nelle lotte contro la FIAT e a fianco degli operai mi pare inqualificabile. Non si costruisce nessuna sinistra di alternativa e ancora di più non si rifonda nessun Partito comunista degno di questo nome se non si prende esplicitamente le distanze da queste modalità di battaglia politica. Abbandonare il terreno della scomunica per cercare il nocciolo di verità che vi è nell’altro mi pare necessario per costruire sul serio la sinistra di alternativa.

In secondo luogo vi è una resistenza a fare i conti sul serio sulla insufficienza di Rifondazione comunista. Mi pare che nei ragionamenti di molti compagni, si tenda a pensare che il dialogo è si utile ma che in fondo l’unico vero strumento per il cambiamento è il nostro partito. Questo atteggiamento non si rende conto – a mio avviso – della varietà delle forme in cui si presenta oggi la militanza anticapitalista e della impossibilità di ricondurla ad un unico strumento e ad un’unica modalità. Proprio l’ambizione di svolgere un ruolo di direzione politica ci deve far percepire con realismo la necessità ma anche i limiti del partito oggi e quindi la necessità di coniugare in forme inedite il problema della costruzione del soggetto e della soggettività rivoluzionaria. Per concludere con una battuta direi che proprio il nostro essere leninisti ci obbliga oggi a riscrivere un nuovo “che fare”, in cui il partito comunista è strumento indispensabile ma parziale, non autosufficiente della costruzione di una soggettività antagonista all’altezza del livello dello scontro.