Mentre il capitalismo è responsabile di una grave crisi mondiale dalle conseguenze drammatiche per i popoli e le classi sociali subalterne e i cui sviluppi possono essere molto pericolosi per la pace e il futuro, mentre il governo italiano di destra combina demagogia, autoritarismo e spregiudicato esercizio della lotta di classe contro i lavoratori per annientare ogni autonoma rappresentanza politica e sindacale, i comunisti, cioè l’unica forza politica inequivocabilmente anticapitalista, attraversano uno dei periodi più difficili della loro storia, minacciati da una forte pressione, interna ed esterna, per la loro liquidazione.
Il PdCI ha superato negli ultimi anni le proprie tendenze liquidatrici e con l’ultimo congresso ha assunto la linea dell’unità dei comunisti non solo come petizione ideale di principio, ma come obiettivo politico di oggi, rivolto innanzitutto a Rifondazione Comunista, con cui i comunisti italiani hanno condiviso un pezzo importante di storia e le ragioni di della separazione del ’98 sono da tempo alle spalle e superate.
RC è stata insidiosamente aggredita dalle tendenze liquidatrici direttamente dai massimi vertici, mostrando tuttavia nel corpo del partito sorprendenti capacità di reazione, che hanno determinato gli esiti imprevisti e molto positivi dell’ultimo congresso.
Questi due fatti avvenuti a breve distanza e non scontati – che hanno rappresentato la forte e sana reazione ideologica e di classe alla grave sconfitta dell’Arcobaleno –
hanno aperto la via al rapido miglioramento dei rapporti ad ogni livello tra comunisti italiani e rifondazione comunista. Ci sono state e ci sono molte iniziative in comune, locali (possiamo ricordare la festa questa estate al parco di via Sacripanti) e nazionali, come la manifestazione dell’11 ottobre. Molti incontri e manifestazioni che si sono tenute e si stanno tenendo con protagonisti dirigenti dei due partiti e i due segretari, Diliberto e Ferrero.
Tuttavia – è onesto non nasconderselo – in RC non è ancora risolta definitivamente la questione della tendenza che prevarrà, se quella di un forte unitario rinnovato partito comunista, e quindi dell’unificazione col PdCI, o se riprenderà piede la posizione non ancora debellata della liquidazione del partito comunista in un ideologicamente indistinto contenitore di sinistra democratica, cioè – lo dico col massimo rispetto per le scelte di ciascuno ma senza nascondersi la sostanza – di una sinistra collaterale e subordinata al partito democratico e alle sue compatibilità di campo.
Quindi, a quei compagni che ci chiedono che cosa succederà alle prossime elezioni europee, a questo punto del percorso noi possiamo solo dire che cosa vuole e per che cosa si batte il Partito dei Comunisti Italiani: per un’unica lista con Rifondazione Comunista.
Sapendo però che il successo di questa posizione non dipende solo e neanche principalmente da noi, ma soprattutto e principalmente da RC. E che cosa farà RC dipende non solo dal gruppo dirigente, dai suoi equilibri interni e composizione delle contraddizioni, ma anche e direi soprattutto dalla sensibilità e dalle spinte della base.
Detto questo sulla situazione politica, resta la questione centrale, oggetto di battaglia culturale e ideale, se abbia senso oggi una autonoma forza comunista.
E qui, concedendo un po’ alla moda, abbozzerei alcune prime tesi di discussione.
1. Il socialismo è questione attuale. A farlo tornare di attualità è la crisi del capitalismo finanziario e industriale, che ha prodotto la brusca perdita di credibilità del liberismo (l’ideologia del libero mercato come supremo regolatore e motore dello sviluppo infinito) e reclama l’intervento diretto dello Stato, per socializzare le perdite e garantire la ripresa e la continuazione della rendita finanziaria e dei profitti.
(Questo vuol dire anche l’intervento del governo Berlusconi a garanzia delle banche, sull’Alitalia e via di seguito…).
Oggi si può rilanciare: perché socializzare solo le perdite? Socializziamo anche i profitti, volgiamoli a vantaggio della collettività e lasciamoci alle spalle definitivamente le crisi, la disoccupazione e la miseria da sovrapproduzione.
La creazione di una banca nazionale di stato, a garanzia del risparmio delle famiglie e degli investimenti socialmente utili e produttivi diventa una parola d’ordine concreta, alternativa ai regali a perdere alle banche, e un tema possibile di scontro sociale e politico.
2. Il superamento del capitalismo e il passaggio al socialismo non avvengono da sé, per il fatale andare dlele cose, come credevano i vecchi socialisti; ma occorre che ci sia la forza politica che ambisca a questo superamento e passaggio, e che questa forza politica diventi espressione maggioritaria di una forza sociale come la classe operaia che a questo passaggio è vitalmente interessata e riferimento di un blocco sociale e di alleanze che realizzino il mutamento dei rapporti di forza necessario e sufficiente, non solo per piccole conquiste sempre precarie o per contenere gli arretramenti imposti, ma per porre concretamente il problema del potere.
3. Questa forza non può essere un generico partito di sinistra. Il termine “sinistra” è rimasto nell’immaginario collettivo e nel linguaggio giornalistico quotidiano agganciato al PD, ed è del tutto improduttivo scegliere di chiamarsi di sinistra per poi dover passare il tempo a spiegare che non è quella sinistra ma un’altra sinistra completamente diversa dalla sinistra che la gente comune crede sia la sinistra… Un’operazione di questo tipo, anche se con le migliori intenzioni, in assenza del contrappeso di un forte partito comunista, è obiettivamente condannata alla subalternità e all’assorbimento da parte del PD.
In ogni caso il termine sinistra oggi non qualifica una forza autonoma dal PD. Il giudice Caselli – tanto per fare un esempio – ieri sera intervistato a margine dello spettacolo alla Scala sulle prospettive di un accordo tra PDL e PD per imbavagliare la giustizia, ha parlato di questa forze come della Destra e della Sinistra, che avendo ognuna i suoi guai con la giustizia, potrebbero effettivamente convergere per mettere al riparo la casta politica dalle inchieste scottanti sul rapporto tra politica e affari. Non ha detto Destra e Democratici, ma Destra e Sinistra.
Oggi termini come destra e sinistra connotano aree politiche divergenti per la gestione del potere, ma convergenti nella scelta di campo tra le classi: con la destra che fa integralmente proprio il programma della CONFINDUSTRIA e dell’ALTA FINANZA col metodo dello scontro sociale aperto con la classe operaia e lavoratrice; e la sinistra che fa proprio lo stesso programma con posizioni più conciliatrici, i cui margini tuttavia si fanno sempre più ristretti.
4. Il comunismo resta obiettivamente e nonostante tutto una potenza. Lo è nel mondo certamente, ma anche in Italia. Nel mondo i comunisti, nonostante la sconfitta enorme dell’esperimento della trasformazione socialista in Unione Sovietica e della dissoluzione dell’Urss, sono vivi e vegeti, in molti paesi forza principale o tra le principali della lotta per l’indipendenza e lo sviluppo dei rispettivi paesi, attivamente impegnati a livello internazionale sul fronte della pace.
5. Che il comunismo è una potenza anche in Italia ce lo dicono ogni giorno gli stessi esponenti del governo.
Il ministro Calderoli, l’altro ieri accusava il vescovo Tettamanzi di essere “catto comunista”. Dove l’offesa ovviamente non è nel catto, ma nel comunista.
I dirigenti del PD, ad onta degli sforzi colossali per negare o far dimenticare la loro provenienza, vengono un giorno sì e uno no, tacciati essi stessi di essere sempre comunisti.
Fabrizio Cicchitto, ex (?) piduista e craxi-socialista ha appena curato la pubblicazione di un libro che sui intitola L’influenza del comunismo nella storia d’Italia (Rubettino 2008), dove definisce “insopportabile e da rimuovere” l’atteggiamento di chi considera superata la lotta al comunismo. “Il comunismo – scrive Cicchitto – nelle sue varie tendenze ha segnato la vicenda italiana dal ’43 ai nostri giorni e continua a condizionarla tuttora”.
6. Bisogna ritornare a Marx. Questo assunto viene agitato, saltando all’indietro a pié pari le esperienze del ‘900, come una modalità per dare dignità e spessore teorico al liquidazionismo. Ma è proprio Marx a darci un insegnamento e una spinta forte, a partire da quel sorprendete pamphlet che non perde mai di attualità, scritto assieme ad Engels, che è il Manifesto del Partito Comunista.
Non c’è partito di opposizione – rilevano Marx ed Engels in apertura del Manifesto -, “che non sia stato tacciato di comunismo dai suoi avversari al governo”, e non c’è forza politica che non abbia “a sua volta… rilanciato l’infamante accusa di comunismo contro le personalità più avanzate dell’opposizione o contro i suoi avversari reazionari”. Cioè già allora – prima ancora di Marx – ci si rimpallava l’accusa “infamante” di comunismo. Ma da questo Marx ed Engels non avevano dedotto che siccome il nome comunista era “spiacente a dio e ai nemici suoi” fosse perciò “indicibile”. Al contrario. Essi rovesciando il senso dell’accusa, ne ricavarono intanto ch “Il comunismo era ormai riconosciuto come potenza”.
E quindi si assunsero il compito, che svolsero egregiamente con il manifesto e che essi enunciarono in apertura a sua motivazione: “è ora che i comunisti espongano apertamente a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro scopi, le loro tendenze”. (trad. Losurdo, Laterza, 2008, p. 3).
7. E’ ora – anche oggi – che i comunisti insieme definiscano ed espongano a tutti, apertamente e senza nascondersi, il loro modo di vedere, i loro obiettivi immediati e di fondo, la loro soluzione dei problemi vitali delle masse, per l’oggi immediato e per il domani prospettato.
* storico, direttore del Centro Culturale marchigiano “ La Citta Futura”