Seattle, il Wto e la Cina

Anche a mesi di distanza, dopo che l’entusiasmo si è attenuato, c’è ancora eccitazione per la “Battaglia di Seattle”. Per le decine di migliaia che vi hanno partecipato, è stato un momento speciale, di unità e di lotta. Per i milioni che in tutto il mondo vi hanno assistito dal salotto di casa, il dominio delle grandi imprese sul commercio mondiale, e la resistenza a tale dominio, sono diventati argomento familiare. Per la “Battaglia di Seattle” si intende la protesta di massa contro le politiche dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (Wto), riunitasi a Seattle nel dicembre 1999. In quella occasione, una nuova coalizione internazionale, contro i monopoli e contro le grandi imprese, ha cominciato a prendere forma. Non solo è stato posto in discussione il diritto delle grandi multinazionali di controllare il commercio mondiale, ma, in definitiva, tale controllo è stato sostanzialmente indebolito. Questo nuovo movimento, per il momento, ha vinto un round. Il mondo del lavoro e le organizzazioni sindacali statunitensi (Afl-Cio) sono stati il collante in grado di legare assieme una così imponente coalizione. Come ha detto qualcuno, “il movimento era al traino del movimento dei lavoratori”. La nuova impostazione del gruppo dirigente dell’Afl-Cio – inclusione, costruzione di alleanze e rappresentanza di tutti i lavoratori, organizzati e non organizzati – ha dato i suoi frutti a Seattle. I lavoratori hanno marciato al fianco degli agricoltori, degli ambientalisti, attivisti della pace e della solidarietà, attivisti religiosi, organizzazioni dei giovani e delle donne. A rendere la coalizione così forte è stata una visione condivisa del problema e dell’avversario. Il Wto era il bersaglio. Il Wto rappresenta la globalizzazione, l’avidità e il profitto delle multinazionali, specialmente i giganti americani. Il Wto è stato accomunato al Fondo Monetario Internazionale (Fmi), alla Banca Mondiale e a tutte le altre istituzioni internazionali di sfruttamento. È stato anche associato all’avidità e alla dominazione delle grandi società negli Stati Uniti. La scelta del Wto come bersaglio, unisce i lavoratori, gli agricoltori e gli ambientalisti degli Stati Uniti tra loro e con i lavoratori, gli agricoltori e gli ambientalisti del resto del mondo, in special modo dei paesi poveri e sottosviluppati. Le stesse banche e società che chiudono le fabbriche qui, impongono i salari più bassi e le peggiori condizioni di lavoro all’estero, per ottenere i massimi profitti. Il grido di battaglia a Seattle era “A Washington!”. E infatti, a Washington, nei mesi successivi, sono state organizzate molte importanti manifestazioni contro la globalizzazione. C’è stato il Raduno per l’America rurale del 21 marzo, che ha protestato contro la minaccia costituita dalle grandi compagnie transnazionali, come Cargill e Continental, per le aziende agricole familiari. Poi il Giubileo 2000 del 9 aprile, per la cancellazione del debito ai paesi del Terzo Mondo e le manifestazioni del 16 e 17 aprile contro il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Queste manifestazioni, che proseguono la costruzione dell’alleanza iniziata a Seattle, sono tutte appoggiate dall’Afl-Cio.

La Cina

L’attuale campagna contro la normalizzazione dei rapporti commerciali con la Cina è una dannosa distrazione per il movimento nato a Seattle. Sono le compagnie transnazionali, il Wto e gli accordi commerciali come il Nafta che minacciano i nostri posti di lavoro, i nostri standard di vita e le nostre comunità, non la Cina. Fortunatamente la questione cinese non sembra minacciare il rafforzamento della coalizione. Né fa presagire un ritorno alla Guerra Fredda nei rapporti all’interno della classe operaia. Ma i problemi che comporta devono essere discussi. Noi comunisti ci rendiamo perfettamente conto che ci sono molti motivi di legittimo disaccordo. Crediamo che una discussione aperta sarà solo utile a rafforzare l’unità di centro-sinistra sviluppatasi tra i lavoratori e i movimenti sociali. Perché prendersela con la Cina? È un paese sottosviluppato; come gran parte dei paesi del Terzo Mondo, spera che l’industrializzazione e la produzione di massa consentiranno l’innalzamento degli standard di vita della popolazione. Sfortunatamente, in un mondo in cui il commercio è dominato da Wto, Fmi, Banca Mondiale e accordi iniqui come il Nafta, moltissimi paesi del Terzo Mondo sono stati costretti ad accettare i termini e le condizioni peggiori, imposti dalle grandi compagnie transnazionali, quali Nike, Hewlett-Packard, Ibm, Boeing e General Motors. La Cina non è diversa dalla gran parte dei paesi del Terzo Mondo. È vergognoso che la Cina, come il Messico, l’Indonesia, El Salvador, Repubblica Dominicana, Turchia e molti altri abbiano dovuto accettare le cosiddette “zone di libero commercio”, chiamate anche “zone speciali”, “maquiladoras” o “zone di esportazione”. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro dell’Onu, circa 27 milioni di persone attualmente lavorano nelle 850 zone di questo tipo esistenti nel mondo. In tutti questi paesi le multinazionali violano regolarmente i diritti del lavoro, ignorano le misure minime di salvaguardia della salute e della sicurezza, sfruttano ancor di più le donne e persino derubano regolarmente i lavoratori degli infimi salari che in un primo momento riconoscono loro. Alcune sono colpevoli di pratiche odiose e assolutamente ingiustificabili di sfruttamento del lavoro minorile. In Cina, come in quasi tutti gli altri paesi, le peggiori trasgressioni sono opera di società straniere (dei paesi industrializzati) o di loro diretti subfornitori. Sono queste zone la minaccia maggiore per i livelli salariali e gli standard di vita negli Stati Uniti e nei paesi industrializzati. Queste zone sono i le avanguardie di ciò che l’Afl-Cio ha definito una corsa verso il fondo. Quindi ripeto: perché prendersela con la Cina? Secondo le cifre del Dipartimento del Commercio, crescenti quantità di beni, prodotti da società americane in zone speciali, tornano negli Stati Uniti da Messico, Indonesia e Filippine. Molto minori sono le esportazioni negli Stati Uniti dalla Cina: le zone speciali cinesi sono destinate a produrre per il mercato interno. Motorola è il maggiore investitore americano in Cina e sostiene che il 100% della sua produzione è destinato al consumo cinese e asiatico. Inoltre, secondo l’ufficio di Analisi Economica del Dipartimento del Com mercio, gli investimenti diretti degli Stati Uniti in Messico sono stati di oltre 25 miliardi di dollari, in Brasile (dove si trova un gran numero di zone speciali) di oltre 37 miliardi, di soli 6 miliardi in Cina (cifre del 1998, le più recenti disponibili). Gli investimenti americani in Cina sono circa gli stessi che in Indonesia e Irlanda, paesi – con zone speciali – molto più piccoli. Dobbiamo dedurne che, se veramente vogliamo arrestare la chiusura degli stabilimenti e la deindustrializzazione in America, è giunta l’ora di imporre severi limiti all’esportazione di capitali delle società americane, la vera causa della perdita di posti di lavoro nel nostro paese. Anziché fare pressioni per impedire normali relazioni commerciali con la Cina, non dovremmo fare pressioni per l’eliminazione delle agevolazioni fiscali che incentivano le società americane a investire in queste zone speciali? Cosa c’è di male nella normalizzazione delle relazioni? Indipendentemente dall’opinione che si ha sulla Cina, il suo isolamento non è utile. L’estrema destra, compresa quella presente nel Congresso, sta facendo un gioco molto pericoloso e destabilizzante con la Cina: sperano di sfruttare i negoziati per la normalizzazione dei rapporti commerciali, per guadagnare la vendita a Taiwan di nuovi sistemi di difesa per miliardi di dollari. Questo è un ritorno ai peggiori metodi della Guerra Fredda. È un comportamento che oltre a procurare generosi profitti alle grandi aziende produttrici di armi, destabilizzerà pericolosamente le relazioni in tutta l’Asia e il Pacifico. Il grande capitale è schierato su entrambi i fronti della questione della normalizzazione dei rapporti commerciali con la Cina, ma in nessun caso è preoccupato degli interessi dei lavoratori, americani o cinesi. Sul fronte contrario troviamo personaggi ben conosciuti, antioperai e razzisti, come Pat Buchanan, Richard Mellon Scafe e Roger Millikin. Pat Buchanan è noto, gli altri due no, sebbene siano entrambi miliardari con lunghe storie di finanziamento a cause di destra e antisindacali. Millikin, una volta, chiuse un intero stabilimento tessile, pur di impedire che vi si stabilisse una rappresentanza sindacale. Sta mettendo molto denaro nella campagna contro la Cina, e sta persino cercando di influenzare le forze sindacali e progressiste. Ad esempio ha aiutato la fondazione Global Trade Watch di Ralph Nader, la cui retorica anti cinese ha poi sovrastato la posizione critica nei confronti del Wto e delle multinazionali.

Dall’altra parte, gli interessi delle imprese che stanno spingendo per la normalizzazione dei rapporti con la Cina, sono tesi solo allo sfruttamento di nuovi grandi mercati e del lavoro a basso costo. Inoltre le multinazionali americane, se sembrano schierate dalla parte della Cina, stanno semplicemente perseguendo una nuova politica di contenimento da guerra fredda. I recenti appelli del Segretario alla Difesa Cohen alla leadership militare vietnamita, con l’invito a costruire un’alleanza asiatica contro la Cina, ne sono un esempio pesantemente destabilizzante.

Spetta al popolo cinese stabilire il proprio rapporto con il Wto e le proprie relazioni commerciali. A prescindere da come la si pensi sul loro sistema sociale, spetta in ultima istanza ai lavoratori cinesi stabilire dove siano i loro reali interessi e adoprarsi per ciò in cui credono, così come spetta al popolo degli Stati Uniti decidere che è ora che gli Stati Uniti escano dal Wto. Messico, Indonesia, Filippine, Brasile, Vietnam e quasi tutti gli altri paesi del mondo hanno normali relazioni commerciali con il nostro paese. La Cina socialista è un membro riconosciuto della comunità internazionale e dovrebbe avere tutti i diritti che sono riconosciuti agli altri stati. La normalizzazione delle relazioni commerciali, non è un privilegio speciale, ma uno status di normali relazioni tra stati. I tentativi di isolare la Cina, non sono un bene per la Cina, né per gli Stati Uniti. Il confronto da guerra fredda con il socialismo non ha mai prodotto altro che la minaccia della guerra e del disastro nucleare.

Solidarietà internazionale del lavoro

Nessuna delle due posizioni del grande capitale illustrate sopra rafforzerà la classe operaia, né risponde alle legittime preoccupazioni delle famiglie dei lavoratori. Fintantoché le grandi compagnie transnazionali potranno spostare capitali nelle aree a bassi salari, le condizioni dei lavoratori non saranno sicure in alcun luogo. L’unica maniera per fermare “la corsa verso il fondo” è fare in modo che non ci sia il fondo. È per questo motivo che la solidarietà con i lavoratori dei paesi poveri e sottosviluppati è fondamentale. Questa è la conclusione dell’Afl-Cio, che ha coraggiosamente modificato la propria posizione sull’immigrazione, per chiedere un’amnistia per tutti i lavoratori immigrati. Per di più, in un mondo reso più piccolo dalla tecnologia e dalle comunicazioni, dobbiamo essere consapevoli che potremo guadagnare terreno solo combattendo per tutti i lavoratori di ogni luogo. Una delle conseguenze della Guerra Fredda è che c’è ancora una certa diffidenza tra i lavoratori del Terzo Mondo e quelli dei paesi industrializzati, o come dice qualcuno, tra ricchi e poveri. Molti nel Terzo Mondo sono destinati a vedere gli attacchi alla Cina, un paese sottosviluppato, in questa prospettiva. Non sarebbe preferibile lavorare per programmi di scambio coi sindacati cinesi, scambi che promuoverebbero la comprensione e la solidarietà? Questo è cominciato ad accadere a qualche livello. Nelle scorse settimane una delegazione della Confederazione Internazionale dei sindacati liberi è stata in Cina per incontrare la Confederazione dei Sindacati cinesi (ACFTU). Anche dei rappresentanti dell’Afl-Cio sono stati in Cina per incontrare i dirigenti sindacali. Non dovremmo estendere i contatti e il dialogo? Lo scorso anno l’ACFTU ha organizzato rappresentanze sindacali in 60.000 aziende private delle zone speciali. È vero, non sono avvezzi a confrontarsi con aziende capitalistiche in maniera conflittuale. Ma stanno imparando.

Stanno stabilendo metodi di protesta e contrattazione collettiva. Avranno bisogno della solidarietà della classe operaia americana, quando dovranno combattere contro Motorola, General Motors o Volkswagen per le violazioni della legislazione cinese sul lavoro. E in un’economia globale, noi avremo bisogno di loro nelle nostre lotte contro le stesse multinazionali, qui negli Stati Uniti.

È tempo che cominciamo a pensare a una nuova politica estera per gli Stati Uniti, che favorisca il ricorso a istituzioni internazionali più democratiche, come l’Organizzazione Internazionale del La voro, per gestire le questioni del lavoro e dell’ambiente, piuttosto che alla for za e all’intervento militari, per sostenere le imposizioni delle multinazionali americane.

Un’ultima questione. Combattere la Cina danneggia la battaglia della classe operaia per sconfiggere George Bush e l’estrema destra repubblicana nel Con gresso. Nessuno attaccherà la Cina con più ferocia di Pat Buchanan. Jesse Helms, Trent Lott e tutti gli altri estremisti saranno le voci più forti contro la Cina. La “Battaglia di Seattle” ha indicato la strada: concentrarsi sul vero problema della globalizzazione transnazionale è la chiave. Non siamo mai stati così ottimisti sulla possibilità di ottenere conquiste reali per i lavoratori, per le nostre famiglie, per le nostre comunità. Tutti a Washington! No al Wto, al Fmi e alla Banca Mondiale!

Traduzione a cura di Irene Pellicoro