Se non ora quando?

Nell’attuale fase capitalistica, che chiamiamo globalizzazione, c’è un crescente peso del capitale finanziario, spesso fittizio, nel complesso dell’economia; con una diffusione del modo di produzione capitalistico in tutte le aree del mondo; con nuovi processi di lavoro che richiedono flessibilità estrema e il crollo della capacità di resistenza dei lavoratori. Questo sistema economico produce un modello sociale basato sulla precarietà e sull’insicurezza. E produce anche, nelle aree industrialmente avanzate, una regressione della civiltà del lavoro. Le manifestazioni di Seattle, e Davos più recentemente, parlano di una possibile nuova resistenza agli effetti devastanti, sul piano sociale, di questa fase dello sviluppo capitalistico. Una parte significativa del sindacato industriale americano a Seattle, insieme a variegate forze ambientaliste, ha posto le questioni di una difesa del lavoro e delle sue condizioni e di un “marchio di civiltà” delle merci che viaggiano per il mondo e sono prodotte spesso in aree del mondo dove esistono vere e proprie condizioni di schiavitù dei lavoratori e di intollerabile sfruttamento dei minori. Nel nostro paese gli effetti di questa globalizzazione sono drammaticamente evidenti. Il 12% di disoccupazione strutturale, con aree del paese dove arriva al 30%, il 50% di disoccupazione giovanile. Un’intera generazione esclusa collettivamente dai diritti fondamentali, primo fra tutti il lavoro. E un’occupazione che viene aggredita da modifiche legislative e accordi sindacali nella sua qualità e nelle sue garanzie, producendo spaventose disuguaglianze e ingiustizie, lasciando inalterata la disoccupazione. Da tempo l’azione di governo, il sindacato confederale attraverso la concertazione, accompagnano e favoriscono questi processi economici e i modelli sociali conseguenti.

L’accordo separato al Comune di Milano

Chi nel sindacato confederale ha avuto una posizione illuministica sulla concertazione pensando che fosse, in una fase di assenza di movimento, una strategia di possibile redistribuzione, avrà oggi chiaro che si è trattato della trasformazione del sindacato in apparato di consenso alle politiche di governo, per una larga parte e, per una altra, la trasformazione in una corporazione che tenta di difendere qualche condizione più favorevole per gli iscritti, con scarso successo, instaurando un doppio o triplo regime di diritti e un metodo per influire sugli assetti di governo, assumendo un ruolo politicistico e oligarchico, come dimostra l’accordo separato che si è pattuito a Milano con il Comune. La chiusura dei CCNL, ultimo gli edili dove con una faccia tosta inusitata il lavoro interinale, che a suo tempo chiamammo caporalato, viene definito come una condizione per sconfiggere il lavoro nero, l’aumento della flessibilità, un minor controllo della O.d.L. e della struttura degli orari di lavoro da parte delle RSU, un irrisorio aumento, dicono “oggettivamente” che la stagione della concertazione è finita perchè i padroni vogliono tutto: la possibilità di licenziamento; rendere tipiche le forme di lavoro parasubordinato, stagionale, flessibile, part-time; liquidare definitivamente il sistema di stato sociale costruito in mezzo secolo di lotta del Movimento Operaio. In questo quadro però, per necessità sommario, alcuni fatti importanti si stanno verificando. In questi ultimi mesi centinaia di quadri sindacali, di delegati delle RSU hanno dato vita in molte regioni ad assemblee costitutive della sinistra sindacale in CGIL, per la definizione di una piattaforma alternativa a quella portata avanti in questi anni. Compagne e compagni di differenti aree della CGIL, affermando la loro disponibilità a superare le rispettive forme organizzate, hanno dato vita ad un processo che porterà nelle prossime settimane ad una grande assemblea di quadri e delegati sindacali che discuterà venti anni di sindacato confederale, dalla svolta dell’Eur del ’78, hanno via via prodotto arretramenti sempre più vistosi; in interi settori, come i trasporti, sono radicalmente cambiate le forme di rappresentanza e di modalità organizzative dei lavoratori fino ad arrivare, finalmente, alla preparazione di uno sciopero nelle FS di sindacati di base e di delegati RSU appartenenti alla organizzazioni confederali. È un fatto rilevante politicamente e socialmente che centinaia di militanti della CGIL discutano del loro sindacato, delle sue politiche, dei rapporti tra governo e loro organizzazione, di condizioni di lavoro e di contrattazione, preparando una piattaforma proprio dopo che la CGIL ha definito l’avvio del suo congresso in luglio e, contestualmente all’apertura della vertenza aziendale dei metalmeccanici del gruppo, la Fiat che risponde con la CIG e gli esuberi, preparandosi a cambiare gli assetti societari, (come auspica il ministro Fassino la cui massima aspirazione è divenire, ufficialmente, l’amministratore delegato Fiat), con probabili pesanti contraccolpi sugli assetti produttivi.

Impegnare i militanti di Rifondazione comunista

Il formarsi di una sinistra sindacale in CGIL e di un’alterità nella pratica sindacale è un fatto che deve interessare tutte le sinistre alternative e antagoniste come condizione fondamentale per la democrazia e la ripresa del movimento di massa. Ha rilevanza politica che a Seattle vi fosse l’Alf-CIO. Ha rilevanza politica che a Davos i grandi sindacati europei, e tra essi la CGIL, fossero assenti. Eppure gli effetti della globalizzazione in Europa sono ancora più devastanti che in America, dove il 30% delle persone ha un lavoro con un reddito che non consente loro di uscire dalla povertà. Qui c’è ancora una parte di stato sociale, lì assente, che consente una resistenza passiva; ma nelle forme di rapporto di lavoro (17 modalità di assunzione ognuna con una soglia di diritti inferiore), siamo largamente globalizzati. Questa nuova battaglia politica deve, ritengo, impegnare i militanti di Rifondazione Comunista iscritti alla CGIL a spendere una anno della loro vita per contribuire alla fase congressuale e alla definizione e al rafforzamento della sinistra sindacale. La costruzione di un’area di sinistra nella CGIL parla anche alle forze del sindacato di base, alle forme di autorganizzazione che in questi anni si sono coerentemente battute contro la concertazione e per una legge sulla rappresentanza nei luoghi di lavoro che realmente rappresenti, nella composizione delle RSU, la volontà di voto dei lavoratori, dando poteri certi di contrattazione sulle condizioni di lavoro, sulla qualità e quantità della prestazione lavorativa ai lavoratori. La recente vicenda della Montefibre di Acerra dove il sindacato di categoria e una parte di RSU ha concesso ribassi salariali e sconti contrattuali, respinti con successo dalle assemblee, dimostra quanto sia urgente stabilire regole certe e democratiche per definire la rappresentanza dei lavoratori. Queste forze del sindacalismo di base vanno sollecitate ad avviare un processo di aggregazione, (come si sta tentando nei trasporti, come è necessario tentare nell’Enel sottoposta a privatizzazione), affinché si delinei una più ampia e rappresentativa sinistra sindacale di base che aggiunga la sua capacità di mobilitazione e di lotta, di critica radicale alle politiche del sindacato confederale, a quella di altre sinistre sindacali e politiche. Da parte nostra siamo impegnati, rispettando le autonomie delle singole organizzazioni e aree, perché questo processo conduca a risultati positivi. È la prima volta che un partito del Movimento Operaio non ha un sindacato a cui fare direttamente riferimento proprio in un periodo in cui le condizioni richiedono un maggiore impegno nella costruzione di un movimento di lotta. Come andranno le cose in CGIL dipende in parte anche da noi. È il momento di impegnarsi, di iscriversi se è necessario, di condurre una battaglia perché il sindacato torni confederale e di classe. Se non ora quando?