Con le elezioni del 19 dicembre 1999, il Partito Comunista della Federazione Russa non solo si conferma primo partito, ma aumenta in modo consistente (oltre 2 punti percentuali, che gli permettono di raggiungere il 24,3%) i propri voti. Non va dimenticato, inoltre, che alla lista comunista (il cui logo portava la dicitura Per la Vittoria!), che ha totalizzato 15.600.000 suffragi (un milione in più rispetto al 1995), sono mancate 4 milioni di schede (l’8% circa) andate disperse tra ben 15 liste di piccole formazioni comuniste, di sinistra e di orientamento “patriottico”. Se questi voti fossero stati anche solo parzialmente intercettati avrebbero sicuramente reso più eclatante la vittoria comunista e avrebbero aumentato in modo consistente i seggi conquistati. La diminuzione della rappresentanza comunista alla Duma, enfatizzata con soddisfazione da molti media occidentali per le conseguenze sugli equilibri parlamentari, è in larga parte attribuibile alla minore dispersione (19% circa) sulle liste che non hanno superato lo sbarramento del 5%, di cui solo tre hanno sottratto una manciata di voti al centro-destra. Nel 1995 i voti dispersi furono circa il 50% e una miriade di liste anticomuniste rimaste senza rappresentanza parlamentare raccolse oltre il 20% dei suffragi. Ha perciò ragione Ghennadij Zjuganov quando afferma che il primo e più importante segnale è rappresentato dal fatto che il PCFR continuerà a giocare un ruolo-chiave nella vita politico-sociale del paese. Bastino alcuni dati a confermare il grande radicamento della forza comunista in un quadro di palese discriminazione subita. La campagna dei comunisti è avvenuta in un clima di boicottaggio, che è giunto agli estremi dell’impedimento alla partecipazione ai dibattiti televisivi, in cui il PCFR ha dovuto subire, senza possibilità di replica, la ormai ricorrente campagna demonizzatrice della storia dell’esperienza dell’Ottobre. Infine – fatto questo che ha influito sicuramente sul sovradimensionamento del partito di Putin e sulla conseguente riduzione del voto comunista – abbiamo assistito, in intere regioni del paese governate con metodi mafiosi da amministrazioni legate al regime, a una vera e propria manipolazione della consultazione, attraverso massicci brogli e incredibili falsificazioni dei verbali dei seggi e delle circoscrizioni (1). Zjuganov ha parlato di “zone franche”, in particolare nell’estremo nord, nella regione del pacifico e in repubbliche autonome, i cui dirigenti operano ai margini della legge e, a volte, lavorano apertamente per la secessione dalla Federazione. Smaccate violazioni dei regolamenti elettorali si sono registrate però anche nel centro di Mosca, alla presenza compiacente di osservatori occidentali. Il PCFR ha dovuto così contare esclusivamente sulla propria macchina organizzativa, confermando le sue caratteristiche di solo partito effettivamente presente in ogni angolo della sterminata Russia. Oltre 200.000 attivisti hanno assicurato la diffusione capillare del programma elettorale, a volte con un autentico “porta a porta”, e nel contempo hanno cercato di ottenere un corretto svolgimento della consultazione e degli scrutini. Rappresentanti comunisti erano presenti in circa 93.000 sezioni elettorali su quasi 95.000 allestite, garantendo, spesso tra difficoltà e intimidazioni – che sono state puntigliosamente denunciate agli organi supremi della Magistratura e agli osservatori internazionali -, un computo dei voti alternativo a quello ufficiale. E, nonostante tutto, il PCFR è risultato primo nella maggioranza delle repubbliche e delle regioni che compongono la Federazione russa, comprese alcune di quelle in cui più forte è stata la pressione dell’apparato di regime sugli elettori. Si conferma la grande forza comunista nella cosiddetta “cintura rossa” (fondamentalmente corrispondente alla parte centro-meridionale della Russia europea), nonostante lo smarcamento di alcuni governatori eletti con il sostegno determinante del partito – è il caso di Rutskoy, nella provincia di Kursk -, con una tendenza a un ulteriore incremento: ad esempio, nell’area industriale di Brjansk Per la vittoria! Passa dal 35% al 45% dei suffragi. Ottimi risultati vengono registrati anche nelle repubbliche e nei circondari autonomi, a forte presenza etnica non russa, in particolare in Ciuvascia, Udmurtia, in Chacasia, nelle repubbliche dei Komi e dei Mari, nel circondario degli Ebrei, anche se in questo caso, a onor del vero, essi non rappresentano la maggioranza della popolazione. Ma è, in particolare, nel Caucaso che i comunisti conquistano numerosi mandati, spesso tra pesanti limitazioni della loro agibilità: in Adighea, in Daghestan (con una brillante affermazione), nella nord Ossetia, nella Karaciai – Circassia, dove, sebbene Berezovskj, il “Berlusconi russo”, abbia capitalizzato i suoi legami clientelari, ottenendo una strombazzata affermazione, in un collegio uninominale, la lista comunista è comunque passata dal 42% del 1995 all’odierno 54%. Il PCFR è sembrato anche recuperare le sue tradizionali difficoltà tra gli elettori delle metropoli: è significativo che, a Mosca, dove da sempre i comunisti sembrano arrancare, Per la vittoria! raccolga il 12% nell’agglomerato urbano, piazzandosi al secondo posto, subito dopo la lista del popolare e potente sindaco Luzhkov, e ottenga la prima posizione, con ben il 27,7%, nella regione attorno alla capitale (Podmoskovje). Per queanto riguarda gli altri partiti che hanno superato la soglia del 5%, va rilevato il deludente risultato – almeno rispetto alle aspettative di pochi mesi prima – della coalizione Patria – tutta la Russia (OVR), voluta dal Sindaco di Mosca Luzhkov. Percepita come possibile alternativa all’”entourage” eltsiniano, investito dall’ondata degli scandali finanziari e al minimo della sua popolarità, l’OVR era riuscita ad incontrare la positiva attenzione di molti interlocutori stranieri e ad inserire un cuneo nella stessa sinistra, dove, dopo l’adesione al blocco elettorale dei prestigioso ex primo ministro Primakov, si erano registrate numerose spinte centrifughe tra gli alleati dei comunisti. Quella che inizialmente sembrava un’inarrestabile ascesa è stata però fermata, nel giro di pochissime settimane, dalla comparsa sulla scena politica del movimento del “delfino” di Eltsin, il primo ministro Vladimir Putin, e dal sostegno massiccio che esso ha immediatamente trovato in settori determinanti dei “poteri forti” russi. Le tappe del logoramento del prestigio del blocco Luzhkov-Primakov sono esaurientemente descritte nell’articolo dell’autorevole dirigente comunista Nikolay Bindiukov che pubblichiamo in questo numero della nostra rivista. Il risultato è stato che a conclusione di una campagna elettorale, basata su attacchi poderosi e sleali ai dirigenti del movimento centrista, nel corso della quale il blocco elettorale ha visto progressivamente venir meno il consenso dei potenti notabilati locali su cui pensava di contare, l’OVR ha dovuto “contentarsi” del terzo posto, con il 13,1% e 66 deputati. Per i comunisti e le sinistre il relativo insuccesso del OVR pone già da oggi la necessità di fare i conti con uno scenario radicalmente mutato rispetto alle previsioni di poco tempo prima. Non è più praticabile la riproduzione di condizioni analoghe a quelle che hanno permesso, nell’agosto ’98, la realizzazione del governo Primakov, mentre si assiste al drastico ridimensionamento del ruolo dell’ex primo ministro, che appariva l’animatore di una credibile alternativa di centro-sinistra. Nel campo delle forze centriste, va segnalato l’arretramento della lista Mela del liberista “temperato” G. Javlinskij (5,98%, meno 24 deputati), che sembra aver scontato un eccessivo appiattimento sulle critiche dell’occidente non solo alle operazioni in Cecenia, ma anche riguardo al processo di unificazione tra Russia e Bielorussia, molto popolare tra i russi. Il fronte delle forze dichiaratamente liberiste e organicamente subalterne agli interessi occidentali risulta nel complesso ridimensionato, se si pensa che anche l’Unione delle forze di destra, che riuniva quasi tutti i più significativi esponenti della “leadership” riformista di questi anni (Kirienko, Nemtsov, Gaydar, Chachamada, ecc.) e che ha goduto, al pari del movimento di Putin, di un notevole appoggio da parte di radio, televisioni e giornali, non è andato oltre l’8,6%. Anche l’estrema destra di Zhirinovskij, sempre più considerato come un’autentica “ruota di scorta” del regime, retrocede, anche se in misura inferiore alle previsioni, intercettando ancora parte del voto dei settori xenofobi più arretrati: il suo partito Liberal-democratico perde quasi il 5% dei voti, ma con il 6% riesce a conquistare comunque 17 deputati. Infine c’è l’elemento più rilevante di queste elezioni: l’affermazione del blocco elettorale chiamato Unità (Edinstvo), costruito in pochi mesi attorno a Putin e diretto dal ministro per la protezione civile, il giovane Shoigu. Anche per un’analisi più dettagliata sulle caratteristiche di “Unità” rimandiamo al citato articolo di Bindiukov. Da parte nostra, ci limitiamo a notare che i quasi 15.000.000 di voti (23,24%, 72 deputati) conseguiti sono in gran parte attribuibili all’immagine di artefice del riscatto nazionale che ha saputo costruire di sé l’”astro nascente” della politica russa, che ha preso corpo nell’apparente insofferenza nei confronti delle minacce occidentali in relazione alla crisi cecena e in una maggiore enfasi riservata alla necessità di un ruolo regolatore dello Stato in economia, che, pur nella sua genericità, ha incontrato gli umori prevalenti nell’opinione pubblica.
Verificheremo nel prossimo futuro se si tratta di un semplice “trucco elettorale”, anche in vista della consultazione presidenziale, oppure se ci troviamo di fronte a una vera e propria cesura nei confronti dell’epoca eltsiniana (già simbolicamente archiviata), a un maggior protagonismo della “borghesia nazionale” e a un sostanziale contenimento della penetrazione di tipo coloniale dell’occidente. Per ora ci basti concordare con Serghey Reshulskij, coordinatore del gruppo comunista alla Duma, quando afferma (Pravda, 1-2 febbraio 2000), dopo aver realizzato l’accordo che ha permesso ai comunisti di riconfermare la presidenza del parlamento e che ha prodotto un’iniziale isolamento delle forze “liberiste”: Putin sa bene che la delusione nei suoi confronti sarebbe enorme se le intenzioni rimanessero tutte sulla carta.
Desideriamo ringraziare il compagno Serghey A. Potapov, segretario del CC del PCFR, che ha inteso collaborare con il nostro giornale, fornendoci preziose informazioni sul risultato del partito e una dettagliata denuncia delle discriminazioni di cui i comunisti sono stati oggetto per tutta la durata della campagna elettorale.
1 – Movimento conservatore di Russia
2 – Unione di tutto il popolo russo
3 – Donne in Russia
5 – Blocco stalinista – per l’URSS
6 – Mela
7 – Comunisti, lavoratori di Russia – per l’Unione Sovietica
8 – Pace, lavoro, maggio
9 – Blocco Nikolaev – Fiodorov
10 – Eredità spirituale
11 – Congresso delle comunità russe e movimenti di I. Bondirev
12 – Partito della pace e dell’unità
13 – Partito russo di difesa della donna
14 – Movimento interregionale Unità (“Orso”)
15 – Social-democratici (appoggiati da Gorbaciov)
16 – In difesa dell’esercito
17 – Blocco Zhirinovskij
18 – Per la dignita civile
19 – Patria – tutta la Russia
20 – Partito comunista della federazione russa
21 – La causa russa
22 – Partito politico russo del popolo
23 – Unione delle forze di destra
25 – Nostra casa Russia
26 – Partito socialista di Russia
27 – Partito dei pensionati
28 – Partito socialista russo