Ripartire dal salario

Da sempre la FIOM di Brescia cerca di tenere sotto controllo le condizioni di lavoro effettive degli operai e degli impiegati addetti alle aziende metalmeccaniche. La ricerca che viene presentata esamina in modo analitico il salario in un arco di tempo di 10 anni, dal 1993 al 2002; abbraccia il periodo della concertazione e quindi dell’efficacia degli accordi interconfederali del 1992 e del 1993. Costituisce un bilancio importante.
Dieci anni rappresentano un periodo che normalmente intercorre tra due censimenti e pertanto abbiamo dovuto “variare” più volte il campione: ogniqualvolta un lavoratore si licenziava o andava in pensione lo abbiamo sostituito con un altro della stessa azienda, possibilmente di pari categoria. In questo modo è stato possibile mantenere un campione omogeneo e rappresentativo, nel tempo, delle categorie di appartenenza, dei diversi settori produttivi che compongono il comparto metalmeccanico bresciano e delle figure professionali (operai, intermedi e impiegati), “svecchiando” anche il campione attraverso la periodica sostituzione dei lavoratori più anziani con altri più giovani.
Tale procedura, che ha permesso di rendere il campione altamente rappresentativo della situazione reale, ha presentato alcuni inconvenienti quando, nel determinare le paghe orarie medie o la categoria media, anziché registrare un costante aumento abbiamo rilevato dei cali legati alla sostituzione dei lavoratori più anziani ( spesso con un numero più elevato di scatti di anzianità e con superminimi più alti) con lavoratori più giovani, di pari categoria, ma senza o con pochi scatti di anzianità e spesso senza superminimi o con superminimi di valore inferiore.
Al di là di questi “inconvenienti”, legati però allo “svecchiamento” naturale della media degli addetti, la ricerca fotografa, in modo preciso, il campione scelto nel 1993 in base alla composizione per settore e per categoria, così come rilevato dal censimento del 1991, e permette di vedere e seguire lo sviluppo delle paghe durante i dieci anni in cui si sono rinnovati due Contratti Nazionali di Lavoro, due bienni salariali e “quasi” tre tornate di contrattazione articolata, essendo cominciata, e in parte già conclusa, nel 1993 una tornata di Contrattazione Articolata Aziendale.
È una ricerca “sul campo”, fatta raccogliendo, nel corso dei dieci anni trascorsi, 15.470 buste paga, appartenenti a 119 lavoratori in carne ed ossa, con tutte le varianti “individuali” che vi hanno inciso, come malattie, infortuni, straordinarie, superminimi individuali, turni e riposi non goduti ma pagati: una lettura completa ed esaustiva che permette di evidenziare uno spaccato reale di quanto è avvenuto nel settore metalmeccanico, nei suoi comparti e nel mondo che la FIOM di Brescia è chiamata a rappresentare: quello delle aziende sindacalizzate, dove il sindacato è presente ed opera. Ovviamente questo rappresenta un limite, perché nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro dove l’azione sindacale non esiste i rapporti di lavoro sono esclusivamente individuali e l’arbitrio del padrone è forte e costante.

Alcune considerazioni relative ai dati

La tabella si riferisce all’insieme del campione esaminato, e quindi si tratta di dati medi all’interno dei quali vi sono salari diversi tra azienda e azienda e tra i vari settori. Basti ricordare che un operaio siderurgico bresciano percepisce un salario lordo annuo di 27.751 euro, mentre un operaio della Fiat e del suo indotto è di 22.132.
C’e un dato che sovrasta tutti gli altri: il rapporto tra retribuzione netta e paga lorda media annua, che nel 1993 era del 72,49% e nel 2002 diventa del 70,13%. Ciò significa che quanto i lavoratori percepiscono al netto, ovverosia quello che possono spendere, è diminuito di 2,36 punti.
Il secondo dato è che il contratto nazionale, che in base all’accordo del luglio 1993 doveva tutelare il potere di acquisto delle retribuzioni rispetto all’inflazione, in tutto il periodo registra un risultato negativo consistente (- 3,31%).
Il terzo dato riguarda il peso del fisco. Nel 1993 il rapporto tra imponibile lordo e Irpef lorda era del 21,37 %, mentre nel 2002 sale al 23,93 %. Ciò significa che la scelta dei passati governi di non intervenire in modo strutturale sul drenaggio fiscale, a cui si è aggiunta la decisione del Governo Berlusconi di cancellare la riduzione delle aliquote Irpef prevista dal governo precedente nella misura di un punto, ha gravato in modo pesante sui salari operai. Un ulteriore peso è recentemente costituito dalla scelta dei comuni e delle regioni di aumentare la quota delle tasse locali, che ora sfiora l’1 %.
Il quarto dato si deduce dalle caratteristiche del campione, che è concentrato in aziende sindacalizzate. Esso testimonia il valore della contrattazione collettiva integrativa aziendale che, rispetto al 1993, aumenta del 204,85 %, praticamente raddoppiando i valori relativi e assume, nella composizione del salario, un peso che passa dal 20,75 % del 1993 al 31,77% del 2002: dieci punti percentuali in più in dieci anni.
Un ulteriore ragionamento si può esprimere sulle detrazioni fiscali, che non hanno raggiunto lo scopo di equilibrare l’onere fiscale, come avveniva ai tempi della restituzione del fiscal-drag , ma che hanno solo rappresentato un palliativo. Infatti se consideriamo il rapporto tra imponibile lordo e paga media con carichi familiari, si passa da una percentuale dell’82,08% nel 1993 a quella del 79,90% nel 2002, mentre se tale rapporto lo calcoliamo tra l’imponibile lordo e la paga media senza carichi familiari, si passa da una percentuale dell’81,18% nel 1993 a quella del 77,98% nel 2002.
Ciò significa che le detrazioni applicate e gli assegni rappresentavano l’1 % nel 1993 e il 2 % nel 2002: le detrazioni e gli assegni sono solo un palliativo, non costituiscono affatto un reale aiuto alle famiglie.

Alcune considerazioni più generali

La ricerca propone una lettura aggiornata di alcuni indicatori, che vanno oltre l’andamento delle retribuzioni reali dei lavoratori dipendenti nell’industria metalmeccanica, per conoscere realmente le condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori metalmeccanici di Brescia.
Si tratta da un lato dei risultati ricavati da un lavoro di lettura di migliaia di buste paga reali di un significativo campione di lavoratori, ma dall’altro di un lavoro che fotografa gli aspetti essenziali e contrattuali del rapporto di lavoro e la sua gestione effettiva. La busta paga rappresenta infatti uno specchio importante del rapporto di lavoro.
Per quanto riguarda l’andamento dei salari, si evidenzia il fatto che il rapporto tra andamento delle retribuzioni reali nette e la crescita del costo della vita vede il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti salvaguardato soltanto grazie al contributo degli aumenti salariali distribuiti dalla contrattazione aziendale: va infatti considerato che il campione analizzato appartiene quasi totalmente a realtà nelle quali si sono puntualmente rinnovati i contratti aziendali.
Questo dato emerge dall’andamento di tutto il decennio analizzato; in esso si vede che il contratto nazionale di categoria è insufficiente a garantire il mantenimento pieno del potere di acquisto delle retribuzioni, la cui perdita è stata del 3,31%. Questo dato è ulteriormente aggravato dall’aumento della pressione fiscale che, nel periodo considerato, è stato superiore ai due punti percentuali (2,36%). Teniamo presente che il 5,67 % in meno calcolato su una retribuzione netta annua di 16.362 euro determina una perdita salariale pari a 927 euro. Per un giovane operaio della Fiat Iveco o di un’altra azienda è come lavorare un mese gratuitamente.
Inoltre in questo risultato negativo non sono stati conteggiati gli effetti devastanti sul salario che verranno prodotti dagli accordi separati sottoscritti nel 2001 e nel 2003 dalla FIM e dalla UILM.
Appare per di più molto significativo il fatto che in questi ultimi dieci anni il peso del contratto nazionale relativo alle retribuzioni contrattuali si riduce del 10%.
La perdita del potere di acquisto delle retribuzioni e il ridimensionamento del ruolo del contratto nazionale è un dato generale che coinvolge tutte le categorie del mondo del lavoro dipendente. Infatti oltre il 3% del P.I.L. è passato dai salari ai profitti delle imprese in un momento di espansione economica e di forte crescita della produttività.
Questo non significa che il rimedio più efficace per superare tali limiti del sindacato e i dati negativi rilevati possa essere rinvenuto nelle proposte di revisione del sistema contrattuale, avanzate in particolar modo dalla CISL, che prevedono una sorta di decentramento di una parte della contrattazione salariale verso un livello territoriale che dovrebbe sostituire parte della contrattazione nazionale e parte della contrattazione aziendale.
Infatti non si tratta di sostituire un livello contrattuale all’altro, ma di rafforzare quelli che ci sono, partendo da un ruolo forte e adeguato del contratto nazionale che abbia come obiettivo non solo la difesa del potere di acquisto delle retribuzioni, ma la sua crescita effettiva finalizzata a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.
L’ulteriore accordo separato della FIM e della UILM con i padroni metalmeccanici, sottoscritto nel maggio scorso, non solo peggiorerà le condizioni di vita dei lavoratori su temi importanti quali orario, lavoro precario e salario, ma rappresenta l’atto concreto finalizzato ad uccidere il contratto nazionale di lavoro e la contrattazione collettiva per dare vita a nuove relazioni sindacali attraverso gli enti bilaterali che, considerata la crisi economica, subiranno una ulteriore accelerazione.
La Confindustria ed il Governo, attraverso la pratica degli accordi separati, hanno sostanzialmente disdettato l’accordo del 1993. Dobbiamo prenderne atto, e quindi la Fiom e tutte le altre categorie della CGIL non debbono più sentirsi vincolate a quell’intesa che introduceva, come è noto a tutti, il contenimento delle rivendicazioni salariali e la variabilità del salario aziendale a seconda dei risultati dell’impresa.
La FIOM, insieme ai lavoratori metalmeccanici italiani, sta conducendo un’importante battaglia per aumentare il salario, per ridimensionare il lavoro precario, che colpisce soprattutto i giovani e le nuove generazioni, e per riportare nei luoghi di lavoro la democrazia. Per questi obiettivi e per la conquista del contratto nazionale, in autunno ripartirà la lotta contrattuale con una grande manifestazione a Roma, il 17 ottobre. È una battaglia importante, e la posta in gioco è alta non solo per i metalmeccanici, ma per tutta la CGIL: per questo i metalmeccanici non vanno lasciati soli.