“L’America ha da dieci anni una bilancia corrente di beni e servizi in forte passivo, un debito verso l’estero di più di 1.500 miliardi di dollari e crescente, più di metà dei dollari all’estero come bene rifugio, un risparmio zero di famiglie e imprese che si indebitano per lucrare in Borsa. Sono ‘fondamentali’ che farebbero fallire qualsiasi paese che non fossero gli Usa”: ma “la potenza militare aiuta. Sarà un caso, ma i quattro decenni di massima crescita del Pil americano nei cent’anni passati coincidono con altrettanti periodi di guerra, gli anni venti e quaranta (Iª e IIª guerra mondiale), gli anni sessanta (Vietnam) e gli anni novanta (due guerre del Golfo e la guerra del Kosovo). Oggi gli Usa, col 60% del mercato mondiale delle armi, sono l’unico paese industriale che vende a tutti, spesso a entrambi i paesi in guerra, perché non aderisce alla clausola dei diritti umanitari, e alla messa al bando delle mine antiuomo” 1.
Ho voluto riportare questo brano perché non vorrei che l’analisi dei nuovi processi di “globalizzazione”, in cui tutti siamo impegnati, ci facesse dimenticare ciò che resta essenziale.
Cambiano molte cose, ma la sostanza è che l’imperialismo Usa, attraverso la sua potenza statuale-militare e la sua politica di rapina in tutto il mondo, resta il principale ostacolo a qualsiasi istanza di liberazione.
Quando si analizzano le questioni internazionali, se si omette questo punto si rischiano gravi errori. Ciò è capitato spesso. La sconfitta del 1989 è stata vissuta da molti nella sinistra e nell’estrema sinistra come una opportunità che avrebbe liberato possibilità di trasformazioni democratiche e rivoluzionarie 2.
Walesa, Havel ed Eltsin sono stati accreditati di sinistra, ma, come si è visto sempre più chiaramente negli anni successivi, con la sinistra non avevano nulla a che fare.
Ciò dovrebbe indurci – in futuro – ad usare maggiore cautela nella valutazione dei fatti internazionali e, soprattutto, dovrebbe spingerci ad analizzarli cercando di andare sempre alla radice del problema.
Questo significa essere reticenti sui nostri errori passati? No. Significa semplicemente che le sconfitte sono sconfitte e non vittorie e che come tali vanno considerate.
Significa che i “bilanci” con la storia si devono fare, ma che per essere seri devono partire prima di tutto da noi stessi, da quello che siamo riusciti a fare, da quello che oggi siamo e rappresentiamo.
Anche nel valutare i fatti del nostro paese dobbiamo cercare di andare alla sostanza delle cose.
“Il 1999 resterà quasi certamente scolpito nella mente degli industriali italiani, qualcuno, forse, farà anche sistemare una targa in bronzo nel giardino della villa con piscina: gli utili delle imprese italiane sono infatti aumentati, rispetto all’anno precedente, del 78%” 3. In queste poche righe è spiegato perché le destre sono forti.
Una sinistra moderata e un sindacato che hanno rinunciato a lottare per una politica redistributiva sono la causa principale della probabile sconfitta alle prossime elezioni politiche.
In meno di dieci anni il livello della conflittualità è crollato: se nel 1990 le ore di sciopero erano complessivamente circa 36 milioni, nel 1999 sono state poco più di 6 milioni.
I salari, gli stipendi e le pensioni non solo non sono aumentati, come sarebbe stato logico, proporzionalmente all’aumento generale della ricchezza prodotta, ma sono diminuiti in valore assoluto poiché il tasso di inflazione è stato superiore ai loro miseri incrementi. Contraddicendo tutta la sua storia, sposando il sistema elettorale maggioritario e accettando una esasperata personalizzazione della politica, la sinistra moderata ha essa stessa spianato la strada alla probabile vittoria di Berlusconi alle prossime elezioni politiche. Portando il paese in una guerra – contro la Repubblica Jugoslava – illegittima, inutile e ingiustificata; concedendo finanziamenti pubblici alle scuole private e dichiarando il comunismo incompatibile con la libertà, questa sinistra moderata ha creato un senso di sfiducia e di smarrimento nel popolo della sinistra che si è tradotto in un forte incremento dell’astensionismo.
Questi sono i problemi.
È possibile porvi rimedio? Difficile nel breve periodo, anche perché i segnali di questi giorni vanno nella direzione opposta. Eppure le possibilità vi erano tutte, bastava effettuare due scelte precise:
1) una nuova legge elettorale, che si sarebbe potuta fare entrando in sintonia con il clima nuovo che si era creato nel paese dopo la sconfitta del referendum ultramaggioritario;
2) una finanziaria che, intervenendo seriamente su pensioni, salari e stato sociale, desse un senso netto di inversione di tendenza rispetto agli anni passati. Anche questo si poteva fare poiché sia il ministro del tesoro che quello delle finanze avevano dichiarato esservi circa 50 mila miliardi disponibili derivanti dalle più elevate entrate fiscali e dagli introiti di una parte delle privatizzazioni.
Entrambe queste proposte erano state peraltro formulate da tempo e per tempo da Rifondazione comunista.
Ma anche quest’ultima occasione è stata sprecata. Hanno pesato le scelte strategiche che hanno contraddistinto il centro-sinistra negli anni 90. Si continua a pensare di battere le destre inseguendole sul loro terreno per conquistare i voti del centro. Risultato: il centro del centro-sinistra, pure unendo tutti i suoi pezzi (Ppi, Udeur, Rinnovamento italiano, Asinello), è quotato al 6%, mentre si è aperta una voragine a sinistra con l’astensione.
In questo contesto non si può certo addossare a Rifondazione comunista alcuna responsabilità per una eventuale vittoria delle destre.
Quando il segretario generale della Cgil arriva a definire le proposte di Rutelli per la legge finanziaria “autolesioniste” e lo invita ad occuparsi di più dei lavoratori e dei pensionati anziché delle imprese, significa che le sollecitazioni e le critiche di Rifondazione comunista non sono poi così infondate.
Questo approccio di Rutelli, che ha contraddistinto la politica del centro-sinistra anche negli anni passati, ha determinato due gravi problemi.
In primo luogo, il centro-destra può impunemente fare una campagna elettorale utilizzando argomenti e parlando a settori che sono sempre stati patrimonio della sinistra. Berlusconi non potrebbe scrivere sui suoi cartelloni “Pensioni più dignitose” se il centro-sinistra in questi anni oltre ad ascoltare i banchieri si fosse ricordato dei pensionati al minimo. Così come la frase “Aiutare chi è rimasto indietro” sarebbe stata facilmente rispedita al mittente se oltre ad essere stati così rigorosi nel rispettare i parametri imposti dal trattato di Maastricht (riduzione del deficit e dell’inflazione), si fosse lavorato per introdurre anche un altro parametro: la riduzione del 2% ogni anno della disoccupazione al Sud. In secondo luogo, questa modalità secondo cui il centro-sinistra ha assunto, spesso, princìpi neoliberisti (privatizzazioni, priorità alle esigenze del mercato e delle imprese) ha creato un forte senso di sfiducia e di rassegnazione. Come dice giustamente Rossana Rossanda: “La sfiducia e il senso di impotenza sono, immediatamente dopo il capitale, il nemico principale che abbiamo oggi” 4.
In ogni caso, anche se le destre dovessero vincere le elezioni – e noi ci batteremo affinché ciò non avvenga – non è indifferente il clima in cui si svolgeranno; anche per questo abbiamo avanzato la proposta di “non belligeranza” al fine di impedire che la campagna elettorale si svolga, al di là del suo esito, con un prevalente conflitto a sinistra. Ciò per noi è importante: se gli interessanti segnali che cominciamo a vedere nei Ds dovessero prevalere – o comunque definirsi in modo più netto di quanto non sia stata in grado di fare la sinistra Ds in questi anni – si potrebbe riaprire una stagione nuova di rapporti a sinistra.
Mi riferisco alle posizioni ormai chiaramente esplicitate del ministro del lavoro Salvi, anche attraverso la pubblicazione del suo libro-manifesto5, che configurano un progetto di tipo socialista europeo sul modello francese. È un’ipotesi che ha la sua forza poiché, a differenza del progetto di partito democratico, rientra in una storia consolidata a livello italiano ed europeo.
Con queste posizioni politiche Rifondazione comunista, pur mantenendo la sua autonomia, potrebbe trovare punti importanti di convergenza: una politica economica redistributiva, un piano per lo sviluppo nel Mezzogiorno rispettoso dell’ambiente, la riqualificazione e il rilancio dello Stato sociale, l’accoglienza per gli immigrati e il rifiuto di qualsiasi forma di guerra. Questa possibilità potrebbe essere supportata dal processo di costruzione della sinistra sindacale della Cgil.
Anche qui, pur nel contesto complessivamente negativo rappresentato dalla politica della Cgil nel suo insieme, emergono segnali interessanti.
Come per i Ds la politica della Bolognina (governabilità e alternanza) si è rivelata un fallimento ed è giunta al suo epilogo, così anche per la Cgil la politica della concertazione (assenza di conflitto, triangolazione con padroni e governo) non ha retto e non regge alla prova dei fatti.
Questo sta convincendo settori importanti del sindacato ad unirsi su una piattaforma alternativa in vista del prossimo congresso. Le due aree di sinistra (alternativa sindacale e l’area programmatica dei comunisti) hanno avviato un rapporto importante con la Camera del lavoro di Brescia. La Fiom nazionale ha rifiutato l’accordo siglato da Fim e Uilm alla Zanussi, che prevedeva il lavoro ‘a chiamata’ (moderna forma di schiavitù) e anche grazie a questo i lavoratori, a grande maggioranza, con il referendum hanno bocciato l’accordo medesimo.
Le posizioni di Cesare Salvi e il processo di costruzione di un’area di sinistra che si organizza in vista del congresso della Cgil sono segnali che ci indicano la possibilità di una prospettiva di battaglie comuni tra forze diverse che, utilizzando la leva del conflitto di classe, possono recuperare alla politica milioni di persone che oggi – sfiduciate – sono rifluite nella passività e nell’astensionismo.
Non si tratta di ipotesi astratte, ma di considerazioni che richiamano un contesto concreto, la reale configurazione di quel mondo del lavoro che resta la base fondamentale della nostra pratica politica.
Maurizio Zipponi, segretario regionale della Fiom lombarda, ha recentemente pubblicato un libro6, incentrato sulle lotte concrete effettuate in grandi fabbriche, in cui si riafferma la centralità del lavoro e del conflitto di classe sottolineando la necessità che il sindacato “cambi rotta”.
Il libro contiene parecchi spunti importanti e condivisibili; tra i tanti mi pare molto incisivo questo passaggio: ”Che cos’è il lavoro dipendente?
La risposta è semplice: se produco beni e servizi con mezzi che non mi appartengono, se i ricavi di quel che produco non arrivano direttamente a me, se non sono io a stabilire il prezzo del mio lavoro e se non sono padrone del mio tempo, allora sono un lavoratore dipendente, qualunque sia il modo in cui vengo retribuito. È palesemente falso ad esempio considerare lavoratrice indipendente una dattilografa che lavora con contratto di collaborazione occasionale ed è retribuita con ritenuta d’acconto. Altro non è, semplicemente, che una lavoratrice precaria senza diritti e senza garanzie” 7.
Tra l’altro – contro tante analisi subalterne che, anche nella “sinistra critica” hanno puntato tutto sull’idea della presunta contrazione del salariato – il lavoratore dipendente, che per la collocazione che occupa nel processo produttivo è il soggetto antagonista al capitalismo per eccellenza, è tutt’altro che in via di estinzione. I dati Istat ci dicono infatti che i lavoratori dipendenti sono 14.802.000, cioè il 73,3% della popolazione economicamente attiva.
Questa speranza – la riapertura di una stagione di ripresa di iniziativa delle lavoratrici e dei lavoratori – può realizzarsi solo se è presente anche un partito comunista con un minimo di consistenza elettorale e di presenza attiva nella società e nei luoghi di lavoro.
Per Rifondazione comunista, i prossimi mesi sono di nuovo decisivi. Ci dobbiamo porre l’obiettivo di fare un altro passo avanti, anche piccolo, rispetto al dato delle elezioni regionali. Esse sono state una boccata d’ossigeno dopo il pesante arretramento subìto con le elezioni europee tenutesi all’indomani della scissione; infatti siamo riusciti a passare dal 4,3% al 5,1%. Oggi superare il 5,1% diventa il nuovo obiettivo.
È difficile, ma è possibile. È difficile perché dobbiamo combattere contemporaneamente su due fronti. Da un lato, recuperare sull’astensionismo che, in un clima di generale insoddisfazione rispetto alla politica del centro-sinistra, ha colpito anche noi che non siamo riusciti a rappresentare una alternativa credibile; per conseguire questo scopo, ci si impone una distinzione netta dal centro-sinistra.
Dall’altro lato, non abbandonare il terreno unitario che viene comunque percepito come la principale strada per battere le destre e per ottenere qualche, seppur minimo, risultato.
Dobbiamo riuscire a tener assieme queste due esigenze entrambe reali e consistenti. Possiamo farcela impostando una campagna elettorale su poche questioni, ma chiare:
1) le destre oggi sono forti perché il centro-sinistra in questi anni non ha saputo conquistarsi la fiducia del proprio popolo. Guardare solo al centro dello schieramento politico e ai mercati ha determinato l’allontanamento dalla politica e dall’impegno da parte di milioni di persone.
2) Per recuperare questa fiducia Rifondazione comunista propone una piattaforma di redistribuzione della ricchezza e per ottenerla una convergenza delle forze di sinistra politiche e sociali che si rendono disponibili a lavorare per riaprire una stagione di lotte nel paese.
7.11.2000
Post scriptum
I comunisti e la libertà
Antonio Gramsci: condannato a ventiquattro anni di carcere, assassinato lentamente nelle galere fasciste.
Teresa Noce: costretta alla clandestinità ‘31-’34. Combattente in Spagna. Resistente in Francia. Deportata nel lager di Ravensbruck.
Palmiro Togliatti: più volte aggredito e arrestato dai fascisti, deferito al tribunale speciale, per lunghi anni esiliato.
Camilla Ravera: costretta all’emigrazione. Rientrata nel 1930 in Italia per ricostruire il centro interno del Partito. Tredici anni tra carcere e confino.
Luigi Longo: più volte aggredito ed arrestato nel 1921-25, tre anni di confino, esilio, combattente in Italia e in Spagna.
Pietro Secchia: scontati quattordici anni tra carcere e confino.
Mauro Scoccimarro: scontati diciassette anni tra carcere e confino.
Agostino Novella: cinque anni di carcere.
Umberto Terracini: scontati diciotto anni tra carcere e confino.
Giuseppe Di Vittorio: aggredito e arrestato più volte dai fascisti, combattente in Spagna e confinato.
Giovanni Roveda: diciassette anni di carcere.
Girolamo Licausi: quindici anni di carcere.
Giancarlo Pajetta: tredici anni di carcere.
Edoardo D’Onofrio: otto anni di carcere.
Celeste Negarville: sette anni di carcere.
Emilio Sereni: sei anni di carcere.
Velio Spano: cinque anni di carcere.
Giorgio Amendola: cinque anni di carcere.
(……….)
V. Veltroni: “Comunismo e libertà sono incompatibili” (La Stampa, 16 ottobre 1999)
Note:
1) N. Cacace, Il Sole 24 Ore, 25.7.2000.
2) Si rileggano a questo proposito i documenti congressuali del 18° e del 19° Congresso del Pci e i documenti congressuali di Riva del Garda e di Rimini di Democrazia Proletaria.
3) G. Turani, La Repubblica, 10.8.2000
4) R. Rossanda, in Il Ponte della Lombardia, ottobre 2000, p. 16.
5) C. Salvi, La rosa rossa. Il futuro della sinistra, Mondadori, 2000.
6) M. Zipponi, Ci siamo!, Mursia, 2000.
7) M. Zipponi, p. 19.