Gli articoli di stampa e i servizi TV che discutono di riforma delle pensioni e di quella correlata del mercato del lavoro ricorrono spesso a un linguaggio da specialisti, ostico per chi non sia addentro a tali materie. Pensiamo quindi di far cosa gradita pubblicando un breve dizionario dei termini principali della discussione, aggiornato alla riforma del 2007, grazie alla quale è stata evitata la catastrofe del sistema pensionistico.
Coefficienti correttivi. A causa dell’invecchiamento della popolazione (v.), le persone percepiscono la pensione per un numero di anni via via crescente. Non possono dunque pretendere di continuare a ricevere una pensione mensile immutata nel tempo. A questo si provvede applicando alle pensioni ogni tot anni un c.c.: un numeretto in base al quale, più a lungo si vive, tanto più viene ridotto in percentuale l’ammontare della pensione rispetto all’ultima retribuzione. Poiché il sistema pensionistico italiano viene spesso criticato per la sua generosità (v.), val la pena di notare al riguardo che mentre le pensioni nette sono in Svezia molto più alte delle nostre, i c.c. applicati in quel paese sono più bassi di parecchi punti.
Competitività delle imprese. Si migliora comprimendo il costo del lavoro (v.) in Italia finché non tocchi il livello della Cina (che, al momento, è di 1 dollaro l’ora, ma purtroppo sta aumentando). I risultati conseguiti su tale strada dopo gli anni ’90 – una mera riduzione del 20% del costo del lavoro per unità di prodotto, il trasferimento di soli 7-8 punti di Pil dal monte salari ai profitti, alle rendite e al lavoro autonomo – appaiono del tutto insoddisfacenti.
Costo del lavoro. Componente sgradevole ma, almeno per ora, apparentemente ineliminabile della produzione di beni e servizi. Essa è gonfiata, in aggiunta alle laute retribuzioni pagate ai dipendenti – che sono aumentate in quindici anni d’un sostanzioso 3% in termini reali, ossia di ben 30 euro su 1.000 – dai contributi che le imprese sono costrette a versare agli enti previdenziali. La decontribuzione (v.) potrebbe alleviare tale incongruo onere collaterale.
Decontribuzione. Riduzione di 3-5 punti percentuali dei contributi versati dalle imprese agli enti di previdenza. Applicato su larga scala, esso lascia intravvedere diversi risultati positivi: 1) un ulteriore trasferimento di Pil dai redditi da lavoro ai profitti; 2) le profezie pessimistiche sul bilancio pensionistico dell’Inps, al momento infondate, potranno finalmente avverarsi; 3) le pensioni da erogare nei prossimi anni potranno essere ulteriormente tagliate per inoppugnabili ragioni contabili (v. tasso di trasformazione o di sostituzione).
Disavanzo del sistema pensionistico. Grandezza economica per ora inesistente. Infatti, tolti gli oneri assistenziali che lo Stato ha accollato all’Inps, le entrate costituite dai contributi dei lavoratori dipendenti in attività superano di alcuni miliardi di euro l’anno le uscite in forma di pensioni ai lavoratori a riposo. Ad ogni buon conto la riforma combinata delle pensioni e del mercato del lavoro assicura che la finzione di oggi sarà la realtà di domani (v. urgenza della riforma).
Flessibilità del lavoro. Consiste nella eliminazione delle norme del diritto del lavoro che rendevano eccessivamente riguardoso il modo in cui si trattano le persone assunte come lavoratori dipendenti. Ha la funzione di facilitare alle imprese tanto l’assunzione quanto il licenziamento per qualsiasi causa della manodopera, sostenendole nell’impegno volto a ridurre il costo del lavoro (v.) al fine di accrescere la competitività (v.).
Fondi pensione. Organizzazioni finanziarie, pubbliche o private, le quali raccolgono i contributi o i risparmi di un lavoratore, compreso il trattamento di fine rapporto (v.), li investono soprattutto in azioni per farli fruttare, e li versano poi al medesimo individuo, venti o trent’anni dopo, in forma di pensione integrativa (v.). La restituzione della somma, e gli interessi, sono garantiti. A carico del lavoratore vi sono unicamente, ma solo per alcuni decenni, i rischi di inflazione; di eventuale impossibilità a recuperare per motivi economici o politici gli investimenti fatti in un dato paese; di crisi finanziarie internazionali; di perdite del patrimonio dei fondi causa la caduta delle borse (v. anni 2000-2002, 2007 e seguenti).
Generosità del sistema pensionistico. Sbaglia chi crede, soltanto perché ha lavorato tot anni, o versato tot contributi, d’aver maturato il diritto a una pensione di tot ammontare (v. incentivi). Questa, affermano i rapporti delle organizzazioni internazionali, dipende invece dal buon cuore del sistema, ovvero dalla sua generosità. Essa appare al presente esagerata, poiché assicura ai pensionati italiani una pensione pari a quasi il 70% dell’ultima retribuzione (v. tasso di trasformazione o di sostituzione).
Incentivi. Provvedimento rivolto alle persone desiderose di continuare a lavorare dopo aver maturato il diritto alla pensione. Per motivarle, esso garantisce che alla fine riceveranno una pensione inferiore a quella cui avrebbero diritto in base agli anni complessivamente lavorati.
Invecchiamento della popolazione. Aumento della quota di individui sopra i 65 anni sul totale della popolazione, o sulla quota di giovani con meno di 15. E’ dovuto all’inclinazione economicamente irrazionale, diffusa in specie tra le donne, di vivere fino a 80 anni e oltre, nonché alla decisione di fare soltanto un figlio per coppia.
Lavoratore povero. Persona che pur lavorando regolarmente gran parte dell’anno dispone per vivere d’un reddito inferiore ai due terzi del valore mediano delle retribuzioni. Condizione da tempo tipica dei lavoratori atipici, è possibile lo diventi anche per molti lavoratori dianzi storicamente “normali”, ma ora finalmente coinvolti da processi di flessibilità del lavoro (v.) o saggiamente impegnati a farsi una pensione integrativa (v.)
Patto tra generazioni. 1) Versione moderna: decurtazione immediata del trattamento pensionistico dei pensionandi di oggi al fine di garantire la pensione a chi ne avrà titolo domani, verso il 2040. Chi sostiene che questo è un esperimento fantascientifico di trasferimento di ricchezza reale attraverso il tempo è solo un detrattore preconcetto della riforma. 2) Versione arcaica, da superare: la generazione A dei lavoratori in attività finanzia direttamente con i suoi contributi le pensioni della generazione B che ha lasciato il lavoro, con la certezza di avere a suo tempo la pensione assicurata dagli attivi della generazione C.
Pensionato povero. Lavoratore atipico in pensione, o – con la riforma delle pensioni a regime – ex lavoratore tipico che non ha voluto o potuto investire una consistente quota del suo salario, in aggiunta ai contributi obbligatori, per farsi una pensione integrativa (v.).
Pensione integrativa. Quella che un lavoratore può liberamente farsi, dopo aver pagato i contributi, versando un’altra quota del suo salario a un fondo pensione (v.). E’ vero che in tal modo paga due volte per avere lo stesso trattamento, ma se non vuol diventare un pensionato povero (v.) dovrà pur farsi carico di qualche sacrificio. Non si tratta di un gravame insopportabile. Per esempio, ad un co.co.co, che secondo le statistiche ha un reddito medio di 800 euro al mese, dopo aver versato alla gestione separata dell’Inps circa 160 euro (il 20% della retribuzione), basterebbe versarne altri 200 (meglio se 300) in un fondo di sua scelta per far salire la pensione che lo attende in futuro dal 35% del reddito ad oltre il 40%.
Rapporto pensionati/attivi. Numero di individui che ricevono una pensione su 100 lavoratori in attività (quelli che versano i contributi per pagare le pensioni). Verso il 2000 i pensionati erano quasi 80 su 100 attivi. Da allora il loro numero è regolarmente sceso: nel 2006 erano 72 su 100. Poiché tale tendenza alla diminuzione potrebbe essere usata dagli avversari preconcetti della riforma come argomento per rallentarla, è bene non se ne parli affatto, o si affermi il contrario.
Tasso di dipendenza economica. Esiste in due formati. Il primo, allarmante, rappresenta in qual misura la popolazione sopra i 65 anni dipende economicamente dalla popolazione in età lavorativa, compresa tra i 15 e i 64 anni. Il secondo tiene conto che pure coloro con meno di 15 anni dipendono dalla popolazione in età lavorativa. Dato che la percentuale di questi è crollata causa il declino della natalità, il t.d.d.e. del totale degli inattivi dalla popolazione in attività appare, in questo caso, quasi immutato da circa un secolo. Chi voglia procedere sulla strada della riforma farà dunque bene a richiamare sempre e soltanto il primo formato.
Tasso di passività. Rapporto tra gli anni in cui una persona ha lavorato e il numero di anni in cui riceve la pensione. Poiché le persone insistono a vivere più a lungo dopo il pensionamento, tale rapporto è sceso da 3:1 nel 1960 a 2:1 nel 2000. Se non si interviene con i coefficienti correttivi (v.) tale mutamento avrà severi effetti negativi sui bilanci pubblici. Chi obbietti che, grazie all’aumento di produttività Y, chi va in pensione adesso nel corso della sua vita lavorativa ha prodotto una quota di Pil assai superiore a X andato in pensione nel 1960, maturando così il diritto a godersi qualche anno di pensione in più, mostra di opporsi pretestuosamente alla modernizzazione della previdenza.
Tasso di trasformazione (o di sostituzione). Rapporto percentuale tra la pensione che uno riceve e la sua retribuzione media degli ultimi anni. I passatisti sostengono che una pensione dignitosa dovrebbe aggirarsi nientemeno che sull’80% dell’ultima retribuzione, perché così si assicurerebbe alla persona il mantenimento d’un livello di vita simile a prima. Per buona sorte in Italia il t.s. medio è già inferiore al 70%. Tuttavia gli esperti stimano che per salvare i bilanci pubblici esso dovrebbe scendere in tutta la Ue sotto il 60%. I lavoratori atipici, che la riforma del mercato del lavoro andrà moltiplicando, potranno contare in futuro su un t.d.t. del 30%. Nel caso che tale quota non li soddisfi, dovranno impegnarsi per farsi una pensione integrativa (v.).
Trattamento di fine rapporto. Quota differita della retribuzione che una volta veniva versata dalle aziende ai lavoratori dipendenti che andavano in pensione, non si capisce in base a quali titoli di merito o a quali diritti acquisiti. Per fortuna le riforme del 2006-2007 hanno consentito di destinarne l’importo, fatto riguardo alla maggior parte dei dipendenti, verso i fondi pensione (v.), in modo che i soggetti interessati possano così farsi – beninteso a loro spese – una pensione integrativa (v.).
Urgenza della riforma. Deriva da un complesso di fattori: l’invecchiamento della popolazione ( v.), il peggioramento del rapporto pensionati/attivi (v.), la necessità di accrescere la competitività (v.) delle imprese, le pressioni delle organizzazioni internazionali, e l’intenzione del governo di migliorare il bilancio dello stato a spese del sistema pensionistico pubblico. E’ infatti noto a ogni buon amministratore che si ricavano maggiori fondi prendendoli ai tanti che hanno poco, piuttosto che ai pochi che hanno molto. A mano a mano che la riforma della previdenza procederà, ispirata dai concetti sopra definiti, lungo le sagge linee già seguite sin dalla riforma Dini del 1995, la redazione del presente dizionario si impegna a fornirne edizioni via via messe a punto.
* Una prima versione di questo testo è apparsa su La Repubblica del 1 settembre 2003. L’autore l’ha ampiamente riveduto e aggiornato per l’ernesto.