Riaprire il confronto a sinistra

Sono tra coloro che hanno sempre criticato e respinto – considerandola non solo sbagliata, ma dannosa e devastante – la dottrina delle “due sinistre”: sin da quando tale teoria fu annunciata, con un’enfasi che davvero non meritava, da Massimo D’Alema al famoso seminario di Badia di Pontignano e fu subito ripresa e fatta propria, per Rifondazione Comunista, da Fausto Bertinotti.
Quella dottrina mi parve sin d’allora sbagliata innanzitutto perché prospettava come inevitabile una divisione a sinistra che invece inevitabile non era. Che non fosse inevitabile lo aveva dimostrato per tanti anni, infatti, proprio l’esperienza del Partito comunista italiano: che aveva fondato i momenti migliori della sua iniziativa appunto sulla capacità di congiungere la battaglia di opposizione con la preoccupazione per i problemi del governo del paese e su queste basi era cresciuto e aveva fatto crescere la democrazia italiana.

Ma soprattutto già allora temevo, per molti motivi, le conseguenze negative di quella dottrina. In primo luogo perché essa forniva un alibi (che inevitabilmente spingeva all’immobilismo) a una sorta di divisione dei ruoli tra i due maggiori partiti in cui il PCI si era diviso: dando in partenza per scontato che il PDS (poi DS) fosse naturalmente chiamato a una funzione di governo e che Rifondazione avrebbe invece avuto il compito di rappresentare, dall’opposizione, lo scontento e il malessere sociale. Ma, ancor più, perché tale teoria escludeva pregiudizialmente – spingendo a cristallizzare da un lato un riformismo minimalista subalterno alle ideologie del nuovismo e della modernizzazione quale che fosse, dall’altro un radicalismo massimalista ma ideologicamente conservatore – un confronto e una ricerca comuni attorno alle grandi questioni del nostro tempo. Quel confronto e quella ricerca che sono invece la condizione sine qua non per il necessario rinnovamento della cultura e dell’iniziativa politica della sinistra.
Non mi convinceva, inoltre, l’opinione, pur da molti sostenuta, che la divisione di ruoli tra una sinistra moderata e tendente ad assumere funzioni di governo e una sinistra radicale arroccata all’opposizione avrebbe esteso, nel complesso, l’area dell’elettorato egemonizzata dalle posizioni di sinistra. Mi pareva ragionevole temere, al contrario, che la sinistra nel suo complesso sarebbe uscita indebolita sia dalle sue interne lacerazioni sia dall’incapacità di fare seriamente i conti con le questioni aperte dalla crisi dell’esperienza del Novecento e dai profondi mutamenti intervenuti nella realtà sociale. Che cioè sarebbe rimasta prigioniera della scissione tra una linea subalterna all’ideologia liberista e alla pratica neocentrista e, di contro, un’estremismo nostalgico del passato oppure capace solo di esprimere il disagio e le tensioni prodotte dalla rivincita capitalistica.
Gli avvenimenti di questi cinque anni – sino alla disastrosa sconfitta di poche settimane fa – hanno purtroppo dimostrato che questi timori erano più che fondati. Le “due sinistre” hanno infatti dato prova di avere potenzialità espansive solo quando, contraddicendo l’assunto di partenza, hanno saputo – come in occasione delle elezioni del 1996 – trovare dei punti di intesa e dar vita a uno schieramento comune: sia pure nella forma, politicamente e programmaticamente limitata, di un accordo di desistenza.

Quando invece è prevalsa nel modo più conseguente la logica delle due sinistre, essa ha innanzitutto costituito la base teorica per respingere la ricerca del confronto e optare invece per soluzioni divergenti e di sterile contrapposizione: una contrapposizione rovinosa per l’una e per l’altra parte, come è accaduto in occasione della crisi del governo Prodi. Ma, ciò che è peggio, la lacerazione ha allontanato fette rilevanti dell’elettorato, indebolendo l’insieme della sinistra italiana.
Non solo c’è stata la perdita di milioni di voti, come è accaduto sia per i DS sia per Rifondazione nelle elezioni europee e nelle regionali. Ma anche quando c’è stato un parziale recupero dello schieramento anti-Berlusconi, come è stato il caso delle elezioni politiche dello scorso 13 maggio, tale recupero è andato prevalentemente a favore della componente di centro del centro-sinistra (la Margherita), mentre sia la sinistra moderata rappresentata dai DS sia la sinistra di opposizione raccolta in Rifondazione Comunista sono scese, nel loro complesso, a un livello che rappresenta il minimo storico per la sinistra italiana.
So bene (non sono tanto ingenuo) che una sconfitta così dura e, di contro, la vittoria della destra, non sono solo il prodotto di operazioni politiche di alleanza o contrapposizione, ma sono soprattutto il punto di arrivo di processi che hanno radici culturali e sociali (ancor prima che politiche) assai profonde. La sinistra, in particolare, paga la sua incapacità di promuovere un rinnovamento di cultura e di programma politico tale da superare i limiti emersi nell’esperienza novecentesca e da dar risposta alle contraddizioni e agli interrogativi del nostro tempo. Ma, anche solo l’avvio di un rinnovamento di questo tipo, richiede un impegno di confronto e ricerca a sinistra che invece la dottrina delle due sinistre – come ho sottolineato – esclude di fatto in via pregiudiziale.

Ma anche restando su un terreno più limitato – quello della tattica elettorale – le amministrative di ballottaggio hanno messo in evidenza che il problema della ricostruzione di un confronto unitario a sinistra è in ogni caso la condizione per contrastare la destra e aprire la strada a quella riscossa ideale e culturale – ol
tre la politica – che è necessaria per invertire la tendenza che ha portato all’affermazione di un’egemonia liberista-conservatrice.
Ritengo perciò che una chiara autocritica, rispetto alla rovinosa dottrina delle due sinistre, sia il passo indispensabile per una riscossa. Non ci si può rassegnare all’idea che la sinistra italiana sia ridotta a un troncone moderato, subalterno a un equilibrio centrista di stampo moderato, e un troncone antagonista, che con il cinque per cento dei voti dà il segno della propria impotenza. Occorre ricostruire la sinistra italiana: partendo, certamente, dalla consapevolezza delle profonde divergenze che esistono, ma coll’obiettivo esplicito e dichiarato di promuovere un confronto e una ricerca unitaria per il rinnovamento delle idee, della cultura, dei programmi dell’intera sinistra.