L’iniziativa di fondare un periodico di filosofia è nata da un gruppo di studiosi (che ne costituiscono il comitato direttivo) che hanno voluto sopperire alla mancanza di reali discussioni filosofiche nelle Università. L’edizione infatti è autonoma da ogni finanziamento universitario e si presenta con l’impegno teoretico – di matrice materialista – di affermare che le idee e le credenze si possono indagare con strumenti filosofici che utilizzino le scienze come punto di verifica, poiché hanno un’origine naturale. È diventato infatti un luogo comune che la cultura determini totalmente il nostro modo di pensare e addirittura di percepire la realtà. L’origine di questo determinismo culturale si può far risalire al tentativo di smascherare il dogmatismo filosofico che definiva una volta per tutte una natura delle cose e in particolare dell’uomo. Contro di esso molte correnti filosofiche del Novecento, basandosi in particolare sulle conclusioni di ricerche sociologiche, antropologiche e della nascente semiotica, rivendicarono il peso delle “differenze” contro forme di conoscenza della realtà che, misconoscendo il ruolo della cultura e della lingua nella formazione di un’idea, diventavano forti strumenti ideologici di conservazione e di assolutizzazione dello status quo. Una simile posizione trovò la sua più piena espressione teoretica proprio in quelle filosofie che hanno affermato il ruolo centrale o esclusivo del linguaggio nella conoscenza, nell’etica e nella politica: l’analisi linguistica smascherava infatti l’ideologia nascosta nelle loro pretese di oggettività. Il modello culturalista, riconoscendo la relatività della formazione delle idee, ha permesso da un lato di contrastare un pensiero metafisico essenzialista e dall’altro di rispettare la pluralità delle idee scaturite dalle culture subalterne; ma, in questo processo di grande importanza politica e filosofica, ha anche abbandonato la ricerca filosofica dell’oggettività, comunque necessaria per non arrivare a forme di relativismo che, paradossalmente, rendono tutto omogeneo. Si è arrivati infatti, in questi ultimi decenni, all’esito estremo di ridurre i procedimenti dimostrativi e argomentativi delle scienze e della filosofia a narrazioni letterarie, a dare una configurazione esclusivamente retorica della verità, ed esclusivamente estetica dell’esperienza, con il risultato di un diffuso atteggiamento di disimpegno e cinismo etico. Per evidenziare il carattere problematico delle posizioni assunte, alla fine di ogni volume appare un ‘glossario’: sed contra, in cui ciascun autore dà di alcuni termini-chiave la definizione che ritiene sostenibile dal proprio punto di vista. Ciascun volume di Montag è dedicato ad un singolo tema; costituisce, di volta in volta, un esempio determinato del nostro assunto teorico generale; si propone come il punto di discussione e di verifica di tutte quelle posizioni che rivendicano il carattere di materialità e naturalità della conoscenza, con lo scopo di arrivare a una sintesi oggi necessaria alla filosofia e al pensiero. L’ultimo volume uscito dal titolo: La Natura della Natura, articola il problematico rapporto tra filosofia e scienza, in una ricerca di oggettività che tuteli il pensiero dal rischio di scientismo. Per superare quelle contrapposizioni che sembrano essere insolubili: natura-cultura, natura-valori, natura-convenzione, meccanicismo-finalismo, riduzionismo biologico-antiriduzionismo, ribaltiamo la questione e ci chiediamo: qual è la natura delle condizioni materiali della cultura, della scienza, dei valori, del linguaggio? Per questo abbiamo chiesto agli autori di parlare di ciò che ritengono permetta al loro lavoro di procedere: l’indagine sulla “natura della natura” riguarda infatti l’insieme delle condizioni che individuano l’oggetto di una scienza. Senza cadere nell’essenzialismo metafisico, possiamo evitare atteggiamenti relativistici e tentare di dimostrare l’esistenza di una ‘stabilità dinamica’ degli oggetti di ricerca, secondo un orientamento filosofico di tipo ‘realista’. Questo orientamento implica l’assunzione della genesi empirica della conoscenza, della continuità tra le scienze e dei criteri, seppur regolativi, di oggettività e totalità.
I temi trattati finora sono:
1. La trasmissione delle idee – 2. La natura della visione – 3. Le rappresentazioni della libertà – 4. La natura della natura
In preparazione:
5. Il valore cognitivo dell’arte – 6. Esiste ancora una distinzione tra naturale e artificiale? – 7. È possibile distinguere tra vero e falso? – 8. I sensi – 9. L’uomo è quel che mangia
Il successivo volume (uscito in gennaio) tratterà il tema dell’arte, nel suo controverso valore cognitivo. Se ci si chiede perché esista qualcosa che chiamiamo arte, la critica sociale ha risposto definendo l’arte come un bisogno riconducibile a quello della coesione sociale; l’analisi verte perciò sui criteri di conservazione e scelta con cui si costruisce la tradizione o con cui si determinano i passaggi discontinui da una corrente all’altra; un approccio che identifica l’arte con la sua produzione sociale e trasmissione, nel rapporto ideologia-autore-pubblico. L’analisi fenomenologica invece ha descritto il bisogno dell’arte come partecipe del sistema cognitivo: si tratta di capire dall’interno la logica del fare artistico – e quindi i suoi sviluppi a partire dalla questione della forma, o dalla relazione con il linguaggio, la percezione, l’emozione. Affrontando il problema nella prospettiva di Montag ci accorgiamo che i due punti di vista, tenuti isolati, lasciano inspiegata l’arte come fenomeno complesso nella configurazione di bisogni naturali cognitivi e di bisogni sociali-culturali. Risaliamo perciò alla base teoretica occidentale dell’arte come mimesi e riprendiamo la questione da zero, riformulando la critica moderna alla rappresentazione con la nozione di imitazione come ripetizione della natura, ossia sua appropriazione e assimilazione: si apprende ripetendo, si ricorda ripetendo, si assumono comportamenti ripetendo; l’invenzione stessa non è mai del tutto slegata dall’imitazione, ma è sempre una ricomposizione di oggetti o fenomeni reali. Questa posizione ci permette di recuperare all’arte il mondo dell’esperienza, inserendola nel sistema cognitivo della specie umana nelle sue configurazioni culturali particolari: e il fare artistico rivela questa funzione, nell’aprire la possibilità cognitiva del nuovo e nel definire propri criteri di errore, che non coincidono con il rapporto tra un canone e le sue possibili applicazioni. Il passaggio dall’imitazione alla cognizione va rielaborato dal punto di vista scientifico per poter descrivere l’arte come processo cognitivo specifico, al contrario dei risultati ermeneutici (attribuire all’arte valori di verità, ma solo dopo aver ridotto la verità a pura funzione estetica o linguistica); al contrario anche dell’orientamento teorico più efficace degli ultimi decenni, che potremmo dire parta da una certa lettura di Nietzsche e arrivi a Baudrillard e Lyotard, la quale, mettendo in luce l’insufficienza del concetto di rappresentazione, ne ha anche distrutto la funzione cognitiva, facendone anzi un modello di scetticismo per la conoscenza in generale.
Il volume si articola in diverse sezioni:
1. È possibile ancora utilizzare il concetto di mimesis? – 2. L’arte e il “nuovo” – 3. Esperienza estetica (singolarità, riproduzione tecnica) – 4. C’è errore nell’arte?
* Edizioni Fahrenheit 451, Vicolo del Giglio 14, Roma
Marxismo oggi
Una casa comune del pensiero marxista
di Guido Oldrini
Periodico dell’Associazione culturale marxista (Acm), Marxismo oggi è una “rivista quadrimestrale di cultura e politica” pubblicata a Milano dall’editore Teti e retta da un comitato di direzione nel quale siedono attualmente Alberto Burgio, Severino Galante, Ruggero Giacomini, Fosco Giannini, Domenico Losurdo, Stefano Masson (redattore), Guido Oldrini (coordinatore), Grazia Paoletti, Luigi Pestalozza e Mario Vegetti; direttore responsabile, Libero Traversa. (Un ampliamento del numero dei membri del comitato direttivo è in corso di attuazione). La genesi della rivista risale all’autunno del 1987. Pensata e voluta da Armando Cossutta, primo presidente dell’Acm, essa è sorta nel momento drammatico dell’avvio della crisi del socialismo istituzionale nel mondo ed è venuta passo passo accompagnando il faticoso processo di distacco dei comunisti dal Partito comunista italiano, che comunista non era più, e che di lì a poco avrebbe anche cambiato nome, trasformandosi dichiaratamente in una socialdemocrazia. In polemica con questa degenerazione, con questo inarrestabile processo di “mutazione genetica” del partito, Marxismo oggi ha nella sua prima fase rappresentato il punto di riferimento, lo strumento e il luogo naturale di lavoro dei comunisti, in vista della creazione, poi realizzata, del Partito della Rifondazione comunista. Uscito dapprima in forma di rivista illustrata a grande formato e a periodicità bimestrale, sotto la direzione di Gian Mario Cazzaniga (1987-89), poi, per qualche numero, di Umberto Carpi (1990-91), Marxismo oggi ha assunto dal 1993 la periodicità, la veste grafica e il formato attuali: fascicoli quadrimestrali in formato libro, di circa 200 pagine ciascuno. Ne sono usciti finora 18 numeri, su temi, tra gli altri, come il revisionismo (1995-3), i comunisti nel mondo (1996/1), il Novecento repubblicano (1996/2), Gramsci a Cuba (1197/2), la rivoluzione d’Ottobre (1997/3), la democrazia e la difesa della Costituzione (1998/1), la riduzione dell’orario di lavoro (1998/2), Togliatti e i 150 del Manifesto del partito comunista (1998/3), il marxismo, la cultura e le arti (1999/111-2). Non tutti i numeri comportano un “dossier” tematico; anche quelli che li comportano mantengono comunque, insieme con esso, le rubriche ordinarie (saggi, interventi, documenti, asterischi librari, notizie dell’Acm ecc.). Gli indici completi dei dodici anni di vita della rivista, vecchia e nuova serie, compariranno, a cura di Libero Traversa, nel fascicolo 3 del 1999, che si occupa tra l’altro anche degli ultimi congressi dei due Partiti comunisti (Prc e Pdci). Se in Italia esiste una frastagliata pubblicistica militante che si ispira ai princìpi del socialismo e del marxismo, pochissime sono per contro le riviste dedicate alla riflessione teorica e critico-storica in chiave marxista. Marxismo oggi batte ostinatamente questa via. Neanche la rottura politica recentemente intervenuta, con la nascita del Partito dei comunisti italiani, ha modificato la sua prospettiva e il suo orientamento di fondo. “Dobbiamo affermare con chiarezza” si legge nell’editoriale del fascicolo 1998/3, a firma di Mario Vegetti (presidente dell’Acm), “che – quali che siano le divergenze politiche vecchie e nuove prodottesi all’interno della sinistra, le singole scelte di campo anche conflittuali – l’Acm e Marxismo oggi intendono restare una casa comune del pensiero marxista e della riflessione teorica dei comunisti, un luogo di confronto e di incontro, dove quelle divergenze possano ritrovare almeno il terreno comune dell’argomentazione intorno alle proprie ragioni, ai propri fondamenti, alle proprie prospettive”. Poiché il convincimento che ci ha sempre guidato e ci guida rimane questo, che senza la costruzione di una teoria marxista non ci può essere una politica comunista realmente efficace.
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