RI-VISTE: African Communist, per la rivoluzione di un continente

Quarant’anni fa, nell’ottobre del ’59, a Johannesburg, veniva furtivamente distribuito un giornale ciclostilato che si autodefiniva The African Communist. In una nota finale si leggeva: Questa rivista è stata fondata da un gruppo di marxisti-leninisti in Africa. Il veterano del Partito comunista sudafricano (SACP) Rosty Bernstein, nella sua recente autobiografia (Memory against Forgetting, Memories from a Live in South African Politics ‘38-’64), offre un’affascinante descrizione delle circostanze in cui la pubblicazione nacque.

Il SACP (fondato nel ’21) era stato interdetto dal nascente regime dell’apartheid nel ’50. Questa era solo la prima di una serie di leggi il cui scopo era di contenere l’opposizione democratica. Negli anni successivi i comunisti ricostruirono lentamente un SACP clandestino, mentre continuavano a lavorare legalmente in seno all’ANC (African National Congress) e ad altre strutture del Congresso e del sindacato. Il rinato SACP seppe tenere un profilo interamente segreto e la sua esistenza era nota solo ai membri. Sul finire degli anni ’50, si accese un dibattito tra le fila di questo partito clandestino. Non si voleva che l’invisibilità divenisse permanente e molti sentivano che era giunto il momento di uscire allo scoperto e presentare pubblicamente il partito e la sua linea politica. Una decisione venne presa in occasione del Congresso nazionale tenuto all’interno di una fabbrica di Johannesburg nel ’59. Come ricorda Bernstein: il Congresso era diviso a metà; i sostenitori della risoluzione sostenevano che il nostro stato di clandestinità stava diffondendo l’illusione che il socialismo poteva essere raggiunto senza l’esistenza di un partito della classe operaia. Lenin era spesso citato per rafforzare tale posizione. Quelli della fazione opposta erano meno preoccupati dell’ideologia che delle conseguenze pratiche dell’uscita dalla clandestinità. Essi sostenevano che la nostra invisibilità aveva dissipato le paure che i nostri alleati avevano di un programma comunista separato se non rivale. Venire allo scoperto avrebbe compromesso i rapporti di fiducia che si erano stabiliti tra i comunisti e il resto del movimento di massa e avrebbe altresì indotto le organizzazioni riconosciute legalmente a troncare la cooperazione con noi, per cautelarsi.

Nessuna delle due fazioni fu in grado di convincere l’altra e la discussione si fece accesa. Ancora prima del Congresso, Bernstein aveva rimuginato sull’idea che il partito avrebbe dovuto pubblicare documenti politici senza che fossero formalmente attribuibili al partito. Mi sembrava un buon momento per insistere su tale proposta – ricorda – la pubblicazione di un giornale regolare che trattasse della politica, in Africa e all’estero, da un punto di vista marxista ma senza un preciso simbolo di partito, sembrò soddisfare entrambi gli schieramenti, i quali – su questo – si trovarono d’accordo riconoscendone l’efficacia.

L’”AC”, nome con cui divenne noto, è ormai arrivato al suo quarantesimo anno di pubblicazione. Dopo la prima edizione ciclostilata a Johannesburg in circa 1.000 copie, fu subito evidente che l’interesse era ben più grande del volume che le risorse locali potevano garantire. Le edizioni successive vennero quindi stampate e distribuite grazie al contributo fraterno del Partito comunista inglese, mentre la linea editoriale era di pertinenza del sudafricano Mick Hermel. Più tardi, con l’ampliarsi delle risorse, e degli obiettivi dell’AC, la stampa e la pubblicazione furono gestite generosamente dal Partito Comunista della DDR (SDE); quest’organizzazione andò avanti fino al 1990, quando alla fine tutte le operazioni dell’AC tornarono in Africa.

Sul finire degli anni ‘70 e per tutti gli ‘80, fu necessaria una grande ingegnosità per poter avere la pubblicazione in Sud Africa. Era stampata in versione miniaturizzata su carta velina, oppure con copertine false. In questo modo, per esempio, migliaia di copie sfuggirono ai controlli come rivista di giardinaggio, di antiquariato ecc.

La rivoluzione africana

Sullo sfondo della nascita dell’AC nel ’59, vi era dunque il dibattito, interno al partito, su come riproporsi in pubblico senza esser accusati di essere una struttura illegale, e senza compromettere le relazioni con le formazioni alleate (riconosciute legali). Vi erano tuttavia anche altri fattori importanti che vennero chiaramente commentati nel primo numero dell’AC.

I cambiamenti sono sostanziali e veloci, e investono tutto il continente africano e la sua popolazione, ed è appropriato considerarli rivoluzionari. L’Africa intera è in rivolta. Nel ’50 c’erano solo 4 stati indipendenti in Africa… oggi questi rappresentano circa un terzo del territorio e interessano metà della popolazione africana.

Oltre a questa immagine del vasto movimento rivoluzionario, troviamo nel primo numero del ’59 un articolo firmato da Touissant (pseudonimo utilizzato da Bernstein per i trent’anni a seguire) che recita: nel giorno dell’anniversario di Engels, chi avrebbe potuto essere abbastanza audace da profetizzare che l’inespugnabile fortezza dell’imperialismo, l’Africa, sarebbe stata travolta dalle fiamme della rivoluzione e dai tumulti nel rapido volgere di 70 anni? Questo ottimismo del primo numero, una versione primitiva dell’attuale idea di “African Reinassance”, è comunque subito temperata nello stesso articolo da questo pensiero: La liberazione può finire in una maniera non voluta, alcune parti dell’Africa liberata dimostrano già i segni di uno spostamento verso regimi dittatoriali. Dove l’intenzione era di liberarsi dalla morsa economica dell’imperialismo, si possono scorgere già pericolose concessioni fatte dalla risorgente Africa allo sfruttamento estero. Fin dall’inizio, quindi, l’AC introduceva un nodo fondamentale: i venti del cambiamento soffiano su tutta l’Africa, ma quale sarà il contenuto della liberazione? Sfocerà in spinte neo-colonialiste o getterà piuttosto le basi per una trasformazione socio-economica? Inoltre ci si interrogava sul peso che la borghesia poteva avere in questo periodo di cambiamento. Un altro fondatore dell’AC, scrivendo con lo pseudonimo di George Maxwell, infatti sosteneva: Finora le battaglie per la liberazione nazionale in Africa sono state ispirate e condotte soprattutto dalla borghesia. L’imminenza dell’indipendenza è il risultato positivo degli sforzi fatti dalla borghesia, che nella stessa indipendenza trovava il punto altro e definitivo della lotta, escludendo processi avanzati di cambiamento. Una nota editoriale invitava al dibattito lanciato da Maxwell, pur suggerendo che le sue considerazioni sul ruolo della borghesia erano troppo enfatizzate.

Nel corso degli anni ’60, l’AC ha continuato a testimoniare e discutere lo sviluppo dell’Africa post-coloniale. In questo periodo si e guadagnato un ampio e influente consenso di pubblico tra l’intelighentia di sinistra che stava prendendo corpo nel continente. Sul finire degli anni ‘60 e nei ‘70 si tennero importanti dibattiti sulla guerriglia, rispecchiando le sfide con cui il nostro movimento era alle prese. Tra quelli che contribuirono attivamente a questi dibattiti, c’era “Sol Dubula (Joe Slowo). Negli anni ‘70, inoltre, l’AC riportò le interviste fatte ai leader rivoluzionari del Sud Africa, testimoniando la stretta connessione tra ANC/SACP, MPLA e FRELIMO. Negli anni ‘80 l’AC fece breccia nella nascente corrente rivoluzionaria popolare e una nuova generazione di giovani neri marxisti cominciarono a scrivere per il giornale. Degno di nota, tra questi, troviamo Comrade Mzala, il quale scrisse sotto parecchi pseudonimi e, talvolta, apriva un dibattito con se stesso!

Negoziazioni e libertà

Negli anni ‘90 l’AC costituisce la piattaforma del pensiero marxista-leninista. Sebbene la situazione in patria sia cambiata considerevolmente in meglio, le realtà esterne sono diventate immensamente più difficili. L’AC in quest’ultimo decennio, come anche il SACP, si è sforzato di valutare i successi e i fallimenti del comunismo. L’AC ha visto se stesso come una parte di una lotta globale per il rinnovamento del socialismo, una lotta per superare sia il forte dogmatismo e settarismo, da un lato, che il disfattismo, dall’altro. Tra i vari argomenti analizzati dall’AC nel corso dell’ultimo decennio, troviamo: una discussione autocritica su religione e marxismo, un’intervista all’ultimo rappresentante della tradizione intellettuale trotzkista, Ernst Mandel, e studi comparativi di società, dall’America centrale all’Asia. Ma la maggiore preoccupazione fu naturalmente destata dallo svelarsi della transizione in atto in Sud Africa. Fu l’AC che pubblicò per la prima volta l’articolo di Joe Slowo su un approccio strategico alla negoziazione in cui lanciò la proposta del “sunset clauses”, che divenne il fulcro del processo stesso di negoziazione. La linea editoriale dell’AC è stata di incoraggiare il dibattito del movimento su temi strategici, supportando decine di migliaia di sostenitori. Pochi giornali sopravvivono per quattro decenni di ininterrotta attività. Ancor meno resistono a tre decenni di illegalità ed esilio. L’AC è ancora in vita perché affonda le sue radici nel SACP, nelle lotte della classe operaia sudafricana, e perché gli interrogativi che ha incominciato a porre nel ’59 sulle questioni della lotta di classe, sono ora più attuali che mai.