Presiedono: Sebastiano Midolo (CPF PRC Siracusa) e Lucia Sorano (segretaria provinciale PdCI)
Relazioni: Che cosa è stato il fascismo: Giuseppe Galletta (docente di Storia e filosofia); Che cosa è stata la Resistenza : Andrea Catone (storico del movimento operaio); Che cosa è stato il Partito comunista italiano: Alexander Höbel (storico del movimento operaio)
Conclude: Federico Martino (docente di Storia del Diritto all’Università di Messina, redazione de l’ernesto)
Il seminario, la cui idea era nata sull’onda di una riuscitissima iniziativa col compagno Giannini e i gruppi dirigenti locali di PRC e PdCI, si è tenuto presso la libreria Biblios Cafè, nel cuore del centro storico siracusano, nell’isola di Ortigia, davanti a una platea attenta e partecipe.
Nella sua introduzione, la compagna Lucia Sorano, segretaria provinciale del PdCI, si è soffermata sulla difficile situazione italiana, caratterizzata da un “regime berlusconiano” i cui tratti peculiari sono rappresentati da una fitta rete di interessi economici non sempre trasparenti e da una costante involuzione del sistema democratico. Quest’ultima si concretizza nella messa in mora del Parlamento e nelle tendenze plebiscitarie, volte alla formazione di un rapporto “carismatico” tra capo e popolo, che escluda o marginalizzi la rappresentanza democratica. Sul fronte opposto, il graduale superamento della divisione tra i comunisti, che trova nella lista comune alle elezioni europee una prima, importante espressione, richiama la necessità di una nuova coscienza critica di massa, e l’esigenza di rilanciare e aggiornare l’idea della trasformazione sociale.
Nella sua relazione, Giuseppe Galletta ha sottolineato come il fascismo sia una sorta di “filo nero” che percorre l’intera storia italiana contemporanea: il contrario, dunque, della crociana “parentesi”, e invece qualcosa di simile a quella “autobiografia della Nazione” di cui parlava Gobetti. Le complicità dei gruppi dirigenti liberali e l’illusione di poter utilizzare il fascismo in chiave anti-popolare non vanno dimenticate, nel loro profondo significato politico. Negli anni ’70, il revisionismo storico di Renzo De Felice ha posto l’accento sul tema del consenso e del fascismo come “fenomeno rivoluzionario”. Tuttavia, rispetto a questa lettura, che mette in ombra la sua natura di classe, resta senza dubbio più esatta la definizione del fascismo come “controrivoluzione”, peraltro preventiva. Quanto alla questione del “consenso”, già Togliatti nel 1935, integrando l’analisi della III Internazionale del fascismo come “dittatura terroristica degli elementi più reazionari della borghesia”, parlò di “regime reazionario di massa”. Tale dimensione, peraltro, non deve far dimenticare come l’adesione di massa (soprattutto nella piccola borghesia) al fascismo passa per la passivizzazione delle masse stesse, e per la riduzione e poi cancellazione della rappresentanza democratica. Anche da questo punto di vista, dunque, il fascismo si conferma una nefasta “controrivoluzione”.
In assenza del compagno Andrea Catone, che ha inviato però un contributo scritto, la relazione sulla Resistenza è stata tenuta dal compagno Federico Martino. Questi è partito dalla definizione crociata della storia che “è sempre storia contemporanea”, sottolineando il legame strettissimo tra riflessione storiografica e attualità politica. Tra i testi inviati da Catone, Martino ha citato l’appello che Concetto Marchesi, rettore dell’Università di Padova, lanciò agli studenti nel 1943: un documento straordinario che fu uno dei primi segnali d’avvio della Resistenza. Già durante la guerra, peraltro, era maturata una presa di coscienza su ciò che era il fascismo, e i comunisti erano stati punto di riferimento di questo cambiamento, tra gli studenti, i giovani intellettuali e più ancora nella classe operaia, scesa in campo con grande forza con gli scioperi del marzo 1943. La Resistenza sarà un grande movimento popolare unitario, con una natura di classe che sul piano storico la contrappone al fascismo, e non a caso i comunisti ne rimarranno l’elemento catalizzatore e il punto di riferimento principale. Ciò peraltro conferma che i comunisti possono sempre esercitare un ruolo decisivo, anche nelle fasi più difficili. La lotta di liberazione segnerà dunque un salto di qualità rilevante rispetto al Risorgimento, proprio per il ruolo giocato dalle masse organizzate. Ne deriverà quella Costituzione repubblicana, avanzatissima sul piano sociale e politico, e che costituisce tuttora un argine alle avventure reazionarie. Non a caso è sotto attacco assieme alla Resistenza.
Nella sua relazione, il compagno Alexander Höbel ha rilevato l’esistenza di un “filo rosso” fra le tre parti del seminario, costituito dal ruolo delle masse nella storia: in forma passiva, come nel regime fascista, o in forma attiva, come protagoniste, nella Resistenza come nella vicenda del PCI. Anche oggi, peraltro, la sfida, la discriminante tra forze di progresso e forze della conservazione, rimane questa. La dimensione di massa, il rapporto organico Partito/masse, è anche uno dei maggiori elementi di continuità nella storia del PCI, dalle Tesi di Lione che rovesciarono l’impostazione bordighiana avviando la riflessione di Gramsci e Togliatti sul blocco storico, alla svolta del 1929-30, che riporta in Italia il centro di gravità del partito, garantendone il radicamento e ponendo le basi per la sua egemonia nella Resistenza; dall’azione nelle organizzazioni di massa del regime al patto d’unità d’azione coi socialisti nel 1934, fino alla svolta di Salerno e alla nascita del partito nuovo come partito di massa. Altra costante è il nesso organico democrazia-socialismo, che trova nella riflessione di Gramsci sulla strategia dell’egemonia il suo principale presupposto teorico e che poi è sviluppato dal PCI durante tutta la sua storia in età repubblicana. La vicenda del PCI, quindi, può essere letta come una sorta di messa alla prova della strategia dell’egemonia, una lunga guerra di posizione che ha consentito al partito di occupare casematte e trincee nella società; e al tempo stesso un tentativo di attuare un modello di democrazia progressiva con elementi di autogestione da parte dei lavoratori e delle loro rappresentanze (del collocamento, della previdenza, della sanità, dell’impresa pubblica ecc.), e con l’obiettivo di un’economia mista che costituiva l’altra gamba del processo di transizione che si voleva avviare. È un progetto organico che trova nella Costituzione una prima espressione. La storia dei comunisti, dunque, è tutta legata alla vicenda della democrazia nel nostro paese, e non a caso la crisi dei primi ha aperto la strada all’involuzione della seconda. La nostra stessa risposta, dunque, a partire da una nuova unità dei comunisti, deve rilanciare questa prospettiva, sapendo che le sue potenzialità non sono state tutte espresse, e tanto è ancora da fare.
Dopo le relazioni, si è aperto il dibattito. Tra gli intervenuti, il compagno Gioacchino La Corte , già deputato all’assemblea regionale siciliana, ha ricordato la vicenda della sua militanza, iniziata nella FGCI di Pachino, con 450 iscritti (quasi tutti braccianti), alla fine degli anni ’50; l’attività di partito – ha detto – è stata un fondamentale elemento di formazione e maturazione personale. Oggi, ha concluso, ci troviamo dinanzi a un nuovo regime reazionario di massa, e le esitazioni del PD ricordano le debolezze del PSI di fronte al fascismo che avanzava.
Il compagno Tano Piazza ha sottolineato come l’esempio della svolta del 1929 dimostri che il ruolo dei comunisti è sempre possibile ed essenziale. La crisi del PCI, ha aggiunto, può farsi risalire al compromesso storico. Il problema è sempre quello del rapporto dei comunisti col potere all’interno della società borghese, e dei fenomeni degenerativi che esso produce. Oggi siamo dinanzi a un regime reazionario di massa, in cui il ruolo dei media è fortissimo, e occorre reagire anche in campo.
Altri interventi sono tornati sull’analisi del regime berlusconiano, che però chiama in causa anche la sinistra e la necessità di una seria autocritica per gli errori compiuti.
Lo stesso Galletta, in sede di replica, ha sottolineato la pericolosità del berlusconismo al di là della facciata farsesca, e ha ribadito l’esigenza di ricreare momenti e luoghi di confronto ed elaborazione critica.
Nella sua replica, Höbel ha sottolineato la necessità di una riflessione a parte sul compromesso storico, che porta a conclusione una strategia di lunga durata, ma al tempo stesso, nella sua applicazione pratica – privilegiando il dialogo di vertice rispetto al rapporto di massa – apre elementi di crisi. Certo, i margini della guerra fredda erano strettissimi, e una politica di larghe alleanze aveva quindi i suoi motivi. Oggi, pur nella sconfitta storica che ancora pesa, questi limiti non sono così presenti, e non a caso il quadro internazionale appare in grande movimento.
Concludendo l’iniziativa, Martino ha ripreso la definizione del berlusconismo come regime reazionario di massa. Il rapporto “carismatico” con le masse e l’alleanza con le gerarchie ecclesiastiche lo confermano. Ne deriva ancora una volta l’importanza di una lotta attiva in difesa della Costituzione. Involuzioni sul piano democratico, peraltro, sono possibili e quasi scontate in tutti i momenti in cui la borghesia si sente in pericolo, e dunque anche nelle fasi di crisi economica. I presupposti di oggi – ha concluso Martino – sono però molto diversi da quelli in cui il PCI elaborò e avviò la sua strategia. Pur ripartendo da quel patrimonio, occorre elaborare un nuovo programma e una nuova prospettiva. A questo deve servire il nuovo partito comunista che tutti assieme dobbiamo costruire.