Referenti sociali e progetto politico

Dopo un percorso lungo e complesso, non privo d’incongruenze, il Comitato politico nazionale di Rifondazione comunista ha finalmente varato il documento di tesi che costituirà la base di discussione del prossimo congresso. Si tratta di un documento impegnativo, strutturato in 63 tesi, che ha subito non pochi rimaneggiamenti (per effetto d’integrazioni e di aggiustamenti anche non irrilevanti), ma che rispetto alla prima versione elaborata dal comitato ristretto incaricato della redazione del testo ne mantiene, nella sostanza, l’impianto fondamentale. A tale impianto è opportuno rifarsi se si vuole cogliere il senso delle proposte politiche fondamentali.
A tale riguardo, è evidente che tutto il documento ruota attorno alla centralità attribuita al movimento no-global. In effetti, alcune modifiche introdotte, in corso d’opera, hanno contribuito a sfumare le formulazioni iniziali, ma non vi è dubbio che tale centralità si mantiene anche nel testo attuale, segnando l’intera impostazione analitica e propositiva. Ciò costituisce, a mio avviso, il pregio e, al contempo, il limite di questo documento. Il pregio, nel senso che Rifondazione dimostra con ciò di rappresentare uno dei pochi soggetti politici, se non l’unico, a porsi l’obiettivo di sostenere e valorizzare tale movimento, cogliendone la valenza più generale e le potenzialità che esso può esprimere; il limite, giacché questa assunzione della centralità del movimento rischia di falsare la lettura della fase, depotenziare la proposta politica e, in ultima analisi, rendere evanescente la stessa funzione del partito.

Mi rendo conto che tali affermazioni necessitano di argomentazioni puntuali e, pertanto, credo sia necessario fare un passo indietro, richiamando la struttura analitica da cui muove, nel testo, l’individuazione del soggetto sociale di riferimento. Innanzi tutto, il movimento no global emerge nel documento in tutta la sua rilevanza per effetto della concomitante irrilevanza attribuita agli altri soggetti in campo, siano essi sociali che politici. Nella parte iniziale, dedicata allo scenario mondiale, questo movimento diviene l’unico soggetto di cambiamento poiché, non solo sul piano politico la tendenza che s’intende mettere in luce è quella della progressiva omologazione dei vari paesi attraverso la costituzione di un assetto unipolare del mondo, ma anche dal punto di vista sociale, lo scenario descritto si presenta desolantemente vuoto in termini di soggettività che si battono per il cambiamento. Ma la centralità attribuita al movimento no global viene assunta anche in virtù di una lettura particolare dello stesso movimento. Esso, infatti, non solo viene enfatizzato nella sua rappresentatività, considerandolo espressione tendenzialmente maggioritaria delle istanze di cambiamento mondiali, ivi comprese quelle espresse dalle componenti più avanzate del movimento operaio, ma finisce con l’essere considerato come portatore di una critica anticapitalistica globale e di “proposte di modifica qualitativa degli attuali assetti sociali”.

E’ a partire da tali assunti che trae spunto la proposta politica che si evince nel documento e, cioè, la costruzione di una “sinistra di alternativa”, come risultante di una ripresa dell’iniziativa sociale veicolata da questo movimento. Nel documento la relazione che viene a stabilirsi fra questa nuova soggettività (la sinistra di alternativa) e il progetto politico generale (la costruzione nel Paese di un’alternativa) non viene sviluppata più di tanto. Pesa, ovviamente, tutta la difficoltà rappresentata dalla collocazione della sinistra moderata, dall’assenza di una forte iniziativa del sindacato confederale, dalla obiettiva assenza di interlocuzioni a sinistra. Quello che si coglie, in ultima analisi, è la possibilità di un riequilibrio significativo dei rapporti di forza a sinistra, posto come condizione per la riapertura di una prospettiva politica adombrata nella formula della “sinistra plurale” che, tuttavia, nella fase attuale viene considerata in larga misura virtuale, data la distanza politica e programmatica che separa le due sinistre. Di qui l’enfasi posta sullo spostamento del baricentro dell’iniziativa dalla dimensione squisitamente politica della mediazione a quella sociale e il continuo richiamo all’innovazione nelle pratiche politiche.

Certo esistono nelle tesi molti riferimenti che rendono più complesso il quadro analitico, ma nella sostanza lo schema di base resta questo. Il punto è, a me pare, che questo approccio, se ha il merito di offrire al partito una opportunità politica reale rappresentata dall’emergere del movimento, con tutto ciò che questo comporta in termini di nuove soggettività, di inedite possibilità di azione, di apertura di contraddizioni nelle forze politiche e anche di proiezione di una battaglia sociale sul piano politico generale, tuttavia esso presenta non poche debolezze nel momento in cui ha la pretesa di dare soluzione ai problemi di radicamento sociale e di ruolo del partito. Se, cioè, il nodo del rapporto col movimento costituisce certamente un elemento decisivo nell’attuale fase è assai dubbio che esso possa considerarsi esaustivo del ruolo di una forza politica chiamata a dare risposte ad una fascia sociale sempre più ampia, per molti versi priva di referenti politici, a sostenere una battaglia di opposizione nei confronti di un governo di destra socialmente minaccioso, a misurarsi nella competizione politica con una sinistra moderata, compromessa, ma tuttavia ancora radicata in aree vaste del Paese. Il rischio, insomma, è che una visione eccessivamente semplificata della situazione sociale e politica del Paese conduca, alla fin fine, ad assumere una prospettiva poco fondata, esposta al rischio di fallimenti e, soprattutto, a compromettere le stesse prospettive di crescita del partito.

Da queste considerazioni emerge, come conseguenza logica, la necessità di una modifica nell’impostazione delle tesi. Il congresso, peraltro, sarà l’occasione migliore per affrontare questo compito. Da subito, tuttavia, è possibile inquadrare alcune questioni essenziali. La complessità dei temi trattati nel documento di tesi imporrebbero una trattazione molto estesa che qui, per ovvi motivi, non è possibile fare. Mi limiterò, pertanto, a richiamare alcuni aspetti che mi paiono decisivi intorno al tema delle alleanze sociali e del rapporto che intercorre fra queste e la prospettiva politica.

a) Ho già affrontato in un altro articolo pubblicato su l’Ernesto la questione della natura del movimento no global. A me pare che la lettura che ne viene data sulle tesi di Rifondazione sia in larga misura apologetica. Senza nulla togliere al valore di quell’esperienza, che fra l’altro ha avuto il merito di portare all’impegno alla politica una giovane generazione, io ritengo che essa non abbia quei caratteri così strutturati che vengono individuati nelle tesi. Che resti, cioè un fenomeno, certamente rilevante, ma non particolarmente coeso, unificato più su una pulsione antiliberista che non su una critica anticapitalista, scarsamente rappresentativo delle istanze espresse dal movimento operaio, e oggettivamente poco incline ad assumere connotati politici espliciti. E’ del tutto evidente che questo non modifica in alcun modo la scelta di sostenerlo, lavorandoci dentro e assumendo in prima persona il compito di garantirne e rispettarne l’unità. Il punto è che questo movimento, per la sua natura, non può essere considerato sufficiente a delineare una prospettiva di cambiamento nel nostro Paese.

b) E qui vengo alla seconda questione. Se non si assume fino in fondo la centralità del conflitto capitale-lavoro e l’iniziativa nel lavoro dipendente, ben difficilmente si può pensare di mettere in campo uno schieramento sociale adeguato. Questa centralità nelle tesi non c’è. Da un punto di vista formale ci si richiama al ruolo del lavoro, ma in realtà nell’approccio che si assume la contraddizione capitale-lavoro tende a sfumare a tal punto da divenire evanescente. Mi riferisco, in particolare, alla tesi 38 sul nuovo movimento operaio. In quella tesi la contraddizione capitale-lavoro tende a dilatarsi a dismisura, finendo col coincidere con la categoria generale del disagio sociale. Per questo lo stesso concetto di “nuovo movimento operaio” viene a perdere senso finendo con l’identificarsi con lo schieramento sociale soggetto alle contraddizioni prodotte complessivamente dal sistema capitalistico. Decisivo è invece dare pregnanza al conflitto capitale-lavoro a partire dai luoghi dove esso si produce. In questo senso, la trasformazione del mondo del lavoro, con l’enorme dilatazione del precariato e delle fasce di lavoro eterodiretto, non fa venir meno ed anzi rende ancora più significativa l’assunzione, come obiettivo, della ricomposizione delle articolazioni del proletariato, accomunate da una condizione di subalternità nel rapporto di lavoro.

c) Da ciò ne consegue che nella fase attuale una scelta tutta sbilanciata a favore dell’iniziativa nel movimento no global, senza un adeguato respiro in termini di iniziativa di massa, non è sufficiente. A mio parere, anzi, una simile prospettiva, caricando il movimento no global di una rappresentatività complessiva che non ha e chiedendogli di svolgere un ruolo che non può avere rischia di sottoporre lo stesso ad una continua tensione fra le sue possibilità concrete e un improbabile ruolo politico che gli si vorrebbe attribuire, con il rischio di alimentare contraddizioni interne, anziché favorirne lo sviluppo. Il nodo, quindi, si sposta sulla costruzione di uno schieramento sociale adeguatamente ampio da poter incidere nell’attuale situazione. I contorni di tale schieramento sono in qualche modo coglibili attraverso la mappa dei conflitti sociali degli ultimi mesi. Oltre il movimento no global, che certamente occupa un ruolo di primo piano, vi è il ruolo attivo di alcune categorie del lavoro, dai metalmeccanici (la cui iniziativa di lotta non può essere meccanicamente inclusa nell’iniziativa generale del movimento no-global) agli insegnanti, la ripresa di un’iniziativa importante da parte degli studenti e il riemergere di una sensibilità per questioni sociali più generali, dal Welfare ai diritti civili.

Benché a questo aspetto nelle tesi non sia dedicato un grande peso, tuttavia vale la pena soffermarsi sull’intreccio che si coglie fra iniziativa sociale e prospettiva politica. Come si è già accennato, tale intreccio si sostanzia nella riproposizione della nota parola d’ordine della “sinistra di alternativa”. Cosa debba intendersi per sinistra di alternativa non è mai stato adeguatamente chiarito. Il dibattito nel partito ha, infatti, oscillato fra la definizione di un campo di forze che hanno in comune alcune finalità, alla formazione di un vero e proprio soggetto politico. Ho già avuto occasione di esprimere chiaramente il mio scetticismo per ipotesi di costituzione di un nuovo soggetto politico, una formula che mi pare, da un lato, priva di concretezza nell’attuale scenario politico, dall’altro, pericolosa. Ma non è su questo che vorrei qui soffermarmi. La questione più interessante sta, semmai, nella possibilità, adombrata nel documento, che la crescita del movimento no-global costituisca una condizione essenziale per il raggiungimento di questo obiettivo.E’ ben vero che nelle tesi questa prospettiva della sinistra di alternativa si lega con contraddizioni più generali, ma è del tutto evidente che la speranza viene riposta soprattutto, se non quasi esclusivamente, nello sviluppo di questo movimento. Corollario di questa impostazione è la lettura della crisi del centro sinistra e, nella fattispecie, dei Ds. Tale crisi è considerata, io credo giustamente, radicale. Di fatto irreversibile. E tuttavia, la giustapposizione fra ruolo del movimento e crisi del centro sinistra rischia di delineare una prospettiva per lo meno tutta da dimostrare e, cioè, la convinzione che la crescita del movimento produca, sul piano politico, la definitiva implosione della sinistra moderata e la parallela crescita di una sinistra di alternativa.

Due obiezioni mi pare si possano avanzare a riguardo.

a) La prima, di natura essenzialmente sociale, rimanda in qualche modo alle osservazioni sviluppate in precedenza sulla natura del movimento no global. Se, cioè, lo schieramento sociale da mettere in campo non ha caratteristiche più solide e più estese, difficilmente si può pensare sia in grado di influire in modo decisivo sul piano politico. Si consideri a tale proposito il carattere strategico che assume la mobilitazione del mondo del lavoro, non solo per il suo ancoraggio di classe o per la dimensione delle forze mobilitabili, ma anche per le culture politiche che lo attraversano e la concretezza dei bisogni che esso esprime. Elementi certamente influenti nella base sociale della sinistra moderata.

b) Tuttavia, esiste una seconda obiezione, di natura più squisitamente politica. E’ possibile alimentare una crisi positiva nella sinistra moderata, i cui esiti sono peraltro allo stato attuale non prevedibili, e nel contempo far crescere forze e consensi ad una prospettiva di alternativa, attraverso la semplice lievitazione del conflitto sociale e, a maggior ragione, se questo è delegato in larga misura al movimento no global? Ho dei dubbi. Mi pare che se accanto ad un’idea più ampia delle alleanze sociali, non trova spazio una proposta politica mobilitante, sia difficile dare uno sbocco alla stessa iniziativa di movimento. Peraltro, se la dinamica sociale resta centrale, come peraltro le tesi mettono bene in luce, non può sfuggire che senza la capacità di rappresentare un’idea generale di cambiamento del Paese, facendo fino in fondo i conti con la realtà politica nella quale viviamo, ben difficilmente vi è la possibilità di sfondare su un elettorato di sinistra in fibrillazione e alla ricerca di prospettive, a meno di non ritenere che esista ormai una sorta di incomunicabilità fra la base sociale della sinistra moderata e quella dell’alternativa, per cui il problema fondamentale starebbe nel recuperare le nuove forze che si affacciano alla scena politica, ammesso che queste siano totalmente nuove.

Per questo, credo che, in ultima analisi, lotta sociale e prospettiva politica vadano riunificate e il campo di azione principale sia oggi quello della battaglia di opposizione a questo governo e della gestione di una piattaforma di lotta generale. Per la verità nelle tesi questi terreni di iniziativa sono posti, anche in modo esplicito, però a mio avviso non acquistano il giusto rilievo. Dimensione politica e dimensione sociale non sono considerati ambiti separati, ma la sensazione che si ha leggendo il testo è che si ritenga che la prima sia aggredibile solo dopo che, agendo sulla seconda, si siano prodotti modificazioni nei rapporti di forza. Questa rappresentazione, io temo, costituisca una eccessiva semplificazione. Se è vero, infatti, che data la collocazione della sinistra moderata e lo stesso profilo del nuovo governo, senza una iniziativa sociale adeguata ogni prospettiva di cambiamento sarebbe destinata a restare lettera morta, tuttavia, un’iniziativa sociale che da subito non si misurasse con la partita politica più generale, e cioè con la esigenza di contrastare gli orientamenti antipopolari e filo padronali del governo Berlusconi, promovendo un’efficace battaglia di opposizione e incalzando, su questa base, la stessa sinistra moderata, sarebbe probabilmente priva di una adeguata incidenza e risulterebbe meno credibile.

Alleanze sociali e proposta politica restano due questioni fondamentali nelle tesi di Rifondazione. E, tuttavia, esse non sono scisse dalla terza questione rilevante e cioè il tema del partito, del suo ruolo e, in particolare, dei suoi compiti nella fase attuale. Non è negli scopi di questo intervento entrare nel merito delle tesi che affrontano questo aspetto. Occorrerebbe molto spazio e la riflessione dovrebbe estendersi anche agli aspetti relativi alla cultura politica del partito, peraltro trattata in alcune tesi importanti. Vorrei, pertanto, limitarmi ad alcuni accenni relativi al ruolo del partito in relazione ai temi che ho trattato poc’anzi. Se vi è un limite nelle tesi sul partito che mi pare particolarmente rilevante sta nell’indeterminatezza del suo ruolo. Con questo non intendo sostenere che non sia stato dato spazio al tema del partito. Questo viene affrontato in diverse tesi. Né che quanto è contenuto nelle stesse sia criticabile. In effetti, sia i compiti che vengono attribuiti al partito, che la critica sui suoi limiti sono in gran parte condivisibili, anche se le proposte concrete sono lacunose. Quello che a me pare l’aspetto più critico è, invece, l’assenza di una connessione forte fra ruolo del partito e progetto politico. Intendo dire, cioè, che nelle tesi non si coglie lo “specifico” del ruolo del partito in questa fase. Non lo si coglie, a me pare, per il fatto che esso non è considerato, alla fin fine, decisivo.

Quello che aleggia nel documento è, appunto, la centralità del movimento e la possibilità, a partire da questo, di costruire una nuova prospettiva politica legata alla nascita di una sinistra di alternativa. In questo scenario il partito è, nella migliore dei casi, un comprimario, rispetto alle altre forze che si muovono nel movimento o, tutt’al più, un soggetto che, per sua natura, è chiamato ad agire in un ambito più ampio. Ma, nell’attuale fase esso non ha un ruolo decisivo, se non in quanto parte del movimento. Quanto ho tentato di argomentare in precedenza, invece, conduce ad una conclusione diversa. Il partito è per molti versi oggi più necessario di ieri e lo è proprio in ragione della complessità della situazione sociale e politica del Paese. Se, come ho sostenuto, vi è l’esigenza di costruire uno schieramento sociale ampio e se occorre dare piena valenza politica alla lotta sociale, ciò è possibile solo a condizione che il partito svolga una funzione essenziale. Devo, peraltro, ribadire che è mia convinzione che se ciò non si producesse non vi sarebbero solo rischi per il futuro di Rifondazione, ma anche per quello del movimento. Non è, infatti, pensabile che un movimento si sviluppi linearmente senza che si realizzino alcune condizioni più generali. Per questo confesso che non ho mai compreso fino in fondo questa insistenza sul carattere di internità del partito nel movimento. Se questo richiamo fosse teso a vincere resistenze all’impegno sociale del partito o a contrastare una concezione autoreferenziale dell’agire politico o, ancora, a respingere pratiche strumentali nell’iniziativa di movimento non vi sarebbe nulla da obiettare. Ma se dietro a questo richiamo vi fosse una sorta di crescente sottovalutazione delle possibilità di azione del partito, l’idea di una salvifica immersione nel movimento di fronte all’ineluttabilità di una prospettiva di irrilevanza politica, saremmo in presenza di una impostazione assai discutibile. In realtà, in questa fase le opportunità che stanno di fronte al nostro partito sono grandi.
Il vero errore che potremmo commettere è quello di non vederle o, al limite, di non saperle cogliere.