RAZZISMO, IMMIGRAZIONE, PROFITTO

Nella discussione apertasi sulla questione immigrazione e decreto governativo sono intervenuti in molti: intellettuali e dirigenti politici. Nessun intervento invece, e anzi silenzio completo, da parte degli imprenditori, piccoli e grandi. Silenzio del capitale. Si potrebbe obiettare: perché avrebbero dovuto intervenire? Risposta : perché essi – gli imprenditori – hanno alle loro dipendenze (dati Istat) circa 1 milione e mezzo di lavoratori immigrati in regola ( per così dire) e un altro esercito completamente in nero. Dunque sono, fortemente, parte in causa: eppure non una parola. Potevano dire : il mercato del lavoro è saturo, non ne facciamo entrare più. Oppure: servono ancora lavoratori immigrati, fateli entrare. Nulla. Come mai ? Anticipiamo la nostra tesi: i padroni, in questa fase nazionale ed internazionale segnata dalla “competizione globale” ( che ci sembra una categoria in grado di corroborare – con una iniezione di analisi di classe – l’alquanto indistinta categoria della “mondializzazione”), prediligono una via, e solo quella, per battere la concorrenza: l’abbattimento dei salari, dei diritti e dello stato sociale.

Cosa c’è di meglio, dunque, dell’assunzione e dello sfruttamento degli immigrati? Ma c’è un problema: i padroni non possono essere troppo democratici, non possono assumere posizioni antirazziste, o almeno favorevoli alla libera circolazione del lavoro, a cuor leggero, perché questo li porterebbe lungo la strada della regolarizzazione dei lavoratori immigrati. Cosa che aborriscono, poiché essenzialmente contraria al massimo profitto. Dunque, sulle questioni dei diritti, del decreto governativo, delle espulsioni e della limitazione all’immigrazione ( interventi contrari alle necessità padronali di avere manodopera a basso prezzo) non intervengono, non si espongono. Preferiscono cogliere, silenziosamente, il prodotto sociale dell’attacco razzista della destra e delle nuove concezioni sicuritarie di Veltroni e dei sindaci sceriffi del centro sinistra.

Un attacco sociale e culturale che, in sinergia obiettiva con le ondate razziste di Fini e della Lega, toglie vieppiù diritti e intimorisce ancor più gli immigrati, collocandoli stabilmente nel mercato inferiore del lavoro, dove vanno ad assumerli i padroni e i padroncini italiani. Che dunque, per i loro interessi, rivelano di aver un gran bisogno dei lavoratori immigrati, di essere contrari alla loro espulsione o limitazione, ma di averne bisogno nella forma sociale frustrata e subordinata preparata sia dai razzisti di destra che dai nuovi veltroniani. Da qui una semplice analisi: chi propaga l’oscura novella, anche a sinistra, persino dalle file Prc e “Cosa Rossa” ( Caprili, Folena), secondo la quale “ non se ne può più del casino che gli immigrati fanno al bar sotto casa e dunque non si può più lasciare alla destra il tema della sicurezza”, in verità – abbandonando la strada più complicata ma giusta ed inevitabile della solidarietà e dell’integrazione – partecipa alla costruzione di quel quadro generale che permette ai padroni di assumere a quattro soldi schiavi neri (o gialli, o bianchi dell’est Europa ).

Sempre dai dati Istat, i 2/3 del milione e mezzo di lavoratori immigrati è occupato al Nord d’Italia; 1/4 al Centro e solo un 10% al Sud. Cioè: gli immigrati lavorano, in gran parte, nelle aree alte della produzione, essendo per questo sempre più importanti e determinanti nel processo produttivo generale. Ma essi sono anche, di gran lunga, i più sfruttati tra tutti i lavoratori: tantissimi di loro sono privi di contratto, salario, diritti minimi. Ancora dall’ Istat: il salario medio degli immigrati non in nero è di 10.042 euro l’anno! Il loro tasso di produttività è del 73,7% e supera di 12 punti percentuali quello degli italiani. Più di 1/4 di essi lavora in orari particolarmente disagiati: il 19% la sera ( dalle 20 alle 23); il 12% la notte ( dopo le 23); il 15% la domenica. L’aumento complessivo annuale degli occupati ( 425.000 persone) è attribuibile per circa i 2/5 a lavoratori immigrati regolarmente residenti. L’incidenza degli stranieri nell’occupazione totale è del 12,5% e raggiunge il 16,2 nel Nord-Est.

La Lombardia, l’Emilia-Romagna ed il Veneto sono le prime tre regioni per numero di assunzioni di immigrati. Un dato che dimostra ancor più, per la particolare forza produttiva delle tre aree, la necessità assoluta, per il capitale, del lavoratore straniero. Vi sono aree nevralgiche della produzione ( un esempio è il Cantiere Navale di Ancona, dove a fronte di circa 700 lavoratori bianchi, indigeni, ve ne sono già oltre 800 stranieri, assunti dalle ditte d’ appalto ) in cui il numero degli immigrati tende a superare quello degli italiani.

L’incidenza della manodopera immigrata raggiunge il 66,2% nelle attività domestiche presso le famiglie, il 20,6% in agricoltura, il 20,4% negli alberghi e ristoranti e circa il 25% nell’edilizia.

Siamo, insomma, per la prima volta nella storia italiana, di fronte alla costituzione di un vasto esercito industriale di riserva immigrato, fortemente appetito dalle imprese, che, in un colpo solo, possono avere a disposizione manodopera a basso costo ( impossibilitata ad organizzarsi sindacalmente e reagire allo sfruttamento, essenzialmente in virtù della pressione negativa che su di essa viene esercita da un razzismo sempre più sbandierato) e, in virtù di questo mercato, possono attaccare i salari e i diritti della classe operaia indigena. Dividendo.

Vogliamo fare un salto di qualità? Qui non si tratta di caritas cristiana: si tratta di lotta di classe. Occorre, dunque, abbandonare e stigmatizzare ogni tentazione anche solo similrazzista e sicuritaria e premere invece sull’acceleratore dei diritti universali. E’ prioritario, cioè, organizzare e trasformare in prassi l’unità di lotta – politica, sociale, sindacale – tra lavoratori indigeni ed immigrati. Compiti inediti, decisivi e innovativi per il movimento sindacale e l’intera sinistra. Solo così si potrà togliere al capitale la zuppa ricca dell’esercito industriale di riserva, evitando la divisione – scientemente perseguita dai padroni – del mondo del (nuovo) lavoro. E si potrà invertire la rotta del razzismo, iniziando a cancellarlo alla radice, dentro la carne viva del lavoro e del senso comune di massa.