Quel che dobbiamo alla classe operaia

Una storia “leggendaria”, ma anche “nostra”, minuta, riconoscibile. A suo modo eroica, gloriosa, ma umanamente e antropologicamente familiare, nota. La storia del Circolo “Carlo Marx”, così come è raccontata in questo libro – Celestino Canteri, Memorie del nostro Novecento (Jaca Book, pp. 206, euro 14) – non è l’elaborato di uno storico di professione, di uno studioso del ramo, insomma di un addetto ai lavori. Per una volta tanto a parlare e scrivere non è uno dall’alto, ma uno dal basso. Un operaio in carne ed ossa. Celestino Canteri per l’appunto. Una tuta blu. E in questo senso si tratta di un libro unico, esemplare. Un libro di memorie raccolte dalla voce dei protagonisti (e anche “Cele” è scomparso nel 1983).
Il posto era quello, e gli abitanti dei borghi. Uno “spaccato” della Torino operaia. Tanta e generale la miseria, ma , in Barriera erano già sorti due circoli. In uno si riunivano gli appassionati di musica. che si fregiavano del nome dell’Internazionale; nel secondo si riunivano i ferrovieri. Entrambi facevano soltanto attività ricreativa, ma loro volevano creare un “vero” circolo operaio socialista, dove poter discutere e agire. Creare nel senso letterale del termine. Finanziatori non ce ne erano di sicuro.
Comincia così l’avventura del “Carlo Marx”, in un momento in cui il movimento operaio, anche lì a Torino, è sotto schiaffo. Anche lo sciopero al oltranza, lungo 65 giorni. del 1912 è finito con una sconfitta, e gli industriali hanno imposto pesantissime condizioni nelle fabbriche. Ma il Circolo è un fortilizio. Nel Psi condivide la politica della sinistra. Nelle sue stanzette l’anno dopo si terranno assemblee e riunioni affollatissime. È una fucina di dibattito e organizzazione; a mobilitare gli operai passa di lì anche Bruno Buozzi, il nuovo giovane battagliero segretario della Fiom (che sarà poi fucilato a Roma dai nazisti in fuga il 4 giugno 1944). E così l’anno dopo, è il marzo 1913, anche grazie al gran lavorio del Circolo gli operai ci riprovano: questa volta ne piazzano 95 di giorni di sciopero, e riescono persino a strappare un aumento della paga oraria, di ben due centesimi in più, e anche un’ora settimanale di lavoro in meno. No, anche allora i padroni avevano il vizio di non regalare niente. Al Circolo non ci sono laureati, anzi molti non hanno nemmeno la licenza elementare; nondimeno sono già una “avanguardia” operaia, hanno collegamenti con i giovani di altri circoli cittadini e con giovani studenti, per dire. Siamo nella Torino dell’ “Ordine Nuovo” infatti. E in quello stesso 1913 il “Carlo Marx” lascia via Ellero e si trasferisce in via Narzole, dove ci sono più locali.
Le proteste contro la guerra del ‘15- 18 trovano il Circolo sulle barricate. Ribelle, attivo, reattivo, pronto a captare, non sfugge poi certo, al Circolo, quel che nel 1917 sta succedendo lassù, in un paese chiamato Russia.
All’odio per la guerra, nell’ agosto di quell’anno si aggiunge la mancanza del pane, si arriva alle barricate.
Va da sé che il circolo “Carlo Marx ” , nell’acceso dibattito che agita il Psi, è in maggioranza schiacciante schierato sulle posizioni comuniste, e nel 21 a Livorno è tra i fondatori del Partito comunista d’Italia. Quelli del 21 furono anch’essi un mito nella storia del Pci. Viene poi il fascismo, e il racconto di “Cele” è anche la cronaca di quei giorni di violenza, resistenza, persecuzioni. È una terribile bufera, ma loro, “quelli del 21”, non si rassegnano, non vanno a casa, si rincomincia proprio dalle file operaie; e Luigi Longo è inviato proprio a Torino.
Si apre lo scenario del Ventennio, l’annientamento politico, il carcere, le persecuzioni, il giro di vite economico, ma la resistenza non è mai spezzata. “Cele” annota: “Sono i famosi ‘oscuri compagni’”. La grande storia dl Pci cammina attraverso questa trama di generosità, dedizione, sacrificio di tanti uomini come “quelli del 21” (e come “Cele”). I centomila operai di Torino che scendono in sciopero nel ‘43, le Sap (squadre d’azione partigiana), e ubbidendo alla “direttiva del partito”.
Il Circolo rinasce nel ‘45, in poco tempo. Dal “vecchio” Circolo nasce la 15a sezione del Pci, e poi il Circolo “Garibaldi”, e la 25a sezione del Pci: quei lunghi 30 anni di lotte che fanno anche la storia di Celestino Canteri. “Una – come scrive Diego Giachetti nella prefazione – di tanti come lui”. Ed è vero. A “Cele”, operaio dell’Emanuel, e a tanti come lui, lo dobbiamo.