Quando si dice “un’altra Europa”

Il nodo strategico non è la Costituzione europea, ma quale alternativa di progresso all’Unione Europea

In questo numero della rivista affrontiamo il tema dell’Europa, alla luce del terremoto politico determinato dalla vittoria dei NO nei referendum di Francia e Olanda. E lo facciamo pubblicando articoli scritti prima e dopo l’esito referendario, per confermare il carattere non congiunturale, bensì strategico, delle questioni che la vittoria del NO rende più stringenti. Questi contributi evidenziano le caratteristiche liberiste, militariste e neo-atlantiche della “Costituzione europea”, la cui ratifica avrebbe dovuto cristallizzarle come fondamenta irreversibili del progetto neo-imperialista dell’Unione europea del 21° secolo. E con ciò pongono il tema di un’altra Europa in termini che trascendono l’orizzonte limitato di una mera rinegoziazione della “Costituzione” dentro i confini dell’UE.
L’UE non è un contenitore neutrale, tinteggiabile di destra o di sinistra a seconda delle circostanze o del congiunturale prevalere nel Parlamento europeo di maggioranze di centro-destra o di centro-sinistra (maggioranze di alternanza), bensì un progetto strutturato, che viene da lontano, di costruzione di un nuovo polo capitalistico e imperialistico sovranazionale, consolidato negli anni da innumerevoli vincoli e trattati, come quelli di Maastricht, di Nizza, con la formazione dell’euro e di una Banca Centrale Europea con relativo Patto di Stabilità; e di una PESC (Politica estera e di sicurezza comune) che cerca spazi di relativa autonomia dagli Stati Uniti dentro le strutture e le compatibilità della NATO e della solidarietà atlantica e non certamente in alternativa ad esse (una sorta di “condominio imperiale” per il governo del mondo).
Rispetto a queste problematiche le forze di sinistra critica in Europa (quelle cioè che dichiarano di proporsi un progetto alternativo e non di mera alternanza) hanno espresso fondamentalmente tre tipi di approccio.

1)Un primo filone è quello del “SI’ critico” alla Costituzione europea, che pur criticandone l’impianto liberista e atlantico, ritiene che la “costituzionalizzazione” di questa UE (con tanto di esercito europeo), per quanto discutibile, rappresenti comunque un passo avanti nella costruzione di un contrappeso agli Stati Uniti, al loro modello sociale, alla loro politica estera e militare aggressiva. E che una crisi di questa UE, accentuata dalla vittoria dei NO, determina un quadro non più avanzato, bensì più favorevole all’egemonia USA sull’Europa. Dice Pietro Folena : “Ho votato a favore della Costituzione, con un SI’ critico, perché ritenevo che il rischio è che il processo di integrazione si fermi…Oggi il problema è far ripartire il processo costituente su basi nuove…Lavorare ad una vera Costituzione…demandando al Parlamento europeo poteri costituenti…La sinistra nel suo complesso (coloro che hanno sostenuto il NO e chi ha espresso un SI’ critico) oggi possono lavorare insieme ad una Costituzione più sociale e meno liberale”.
Dice Oliviero Diliberto, segretario del PdCI : “i partiti comunisti europei (che sostengono il NO alla Costituzione – NdR) sbagliano. La bocciatura inflitta alla Francia è soprattutto una vittoria della linea USA”, che è quella di ”far fallire l’unità europea, perché un’Europa politicamente unita e dotata di una propria difesa è in grado di controbilanciare il loro potere. Mentre, da solo, nessun Paese del nostro continente può farlo…Questa Costituzione europea è arretrata socialmente, non si accenna neppure al ripudio della guerra. Però, visto che non mi sembra che esistano rapporti di forza per una rivoluzione del proletariato, era un passo avanti”.
Se questo approccio avesse prevalso, avrebbe impedito la vittoria dei NO e certamente non sarebbe stato egemone nel fronte del SI’, dove sono del tutto prevalenti i conservatori europei e le componenti più moderate, neo-liberali e atlantiste della socialdemocrazia. In esso si ritrovano alcuni settori di sinistra socialdemocratica e le componenti più moderate della sinistra alternativa (ad es. settori di Izquierda Unida e della PDS tedesca, minoritari nelle rispettive formazioni) e, tra i comunisti europei, il solo PdCI. Oggi queste componenti si pronunciano, come alcuni settori del NO, per la “rinegoziazione” di una nuova Costituzione, ma non contestano l’idea in sé di una “costituzionalizzazione” dell’UE.

2)Un secondo approccio a sinistra è quello dei fautori del NO che contestano i contenuti di questa Costituzione (liberismo, atlantismo, riarmo…), ma ritengono che una “rinegoziazione” nell’ambito di un processo costituente che investa i popoli e il Parlamento europeo possa – nell’ambito di questa UE – approdare ad una “nuova Costituzione” avanzata. Dunque, un approccio “emendativo” che non contesta – al pari dei fautori del SI’ critico – la “costituzionalizzazione” dell’ UE, con poteri sovranazionali di tipo federale, da cui verrebbe oltretutto esclusa una grossa porzione dell’Europa, Russia compresa (altro che “unione” !).
In questo secondo filone si ritrovano alcuni settori di sinistra della socialdemocrazia europea e buona parte dei gruppi dirigenti del Partito della Sinistra Europea (SE), che ha fatto di questa posizione “interna” al quadro UE uno dei tratti fondanti del suo profilo programmatico. Troviamo qui una linea che sostiene che “un’altra costituzione è possibile” e che dunque “il Parlamento europeo colga l’occasione e diventi protagonista” (Fausto Bertinotti); che chiede “la rinegoziazione del Trattato” e il “rilancio di un processo costituente” (Gennaro Migliore). Più sfumato il giudizio espresso collettivamente, dopo i due referendum, dal Consiglio dei Presidenti della SE (che riunisce i leaders dei partiti membri) e che riflette una non compiuta omogeneità di vedute. Non si parla di rinegoziazione, si afferma che “l’attuale trattato è politicamente morto” e che “bisogna ridiscutere le fondamenta e gli obiettivi dell’UE e le sue politiche economiche, sociali, ambientali, istituzionali e internazionali”, con una discussione che “deve essere aperta prima di tutto ai popoli europei che dovranno essere protagonisti della nuova costruzione UE”; e dove “i parlamenti nazionali e il parlamento europeo siano immediatamente coinvolti in questo nuovo processo”. Il linguaggio è radicale, ma il quadro di riferimento strategico resta l’UE, e il tema dell’autonomia dalla NATO non è neppure nominato.

3)Un terzo approccio a sinistra caratterizza la maggioranza dei partiti comunisti del continente (dell’Est e dell’Ovest) e di una serie di forze di sinistra anticapitalistica. Esso non si differenzia dalle altre due posizioni sull’ esigenza, condivisa, di lottare per conquiste parziali all’interno dell’attuale UE. L’UE esiste, esisterà probabilmente per un periodo non breve – nonostante la crisi profonda che attraversa – e non ci si può estraniare dalla dialettica politica e programmatica che vi si svolge in nome di un’ Europa futura, tutta da costruire. Ciò vale anche per i Paesi europei che non sono nell’UE, ma che hanno rapporti fortemente integrati con essa (come ad esempio la Norvegia, che pure sopravvive egregiamente anche al di fuori dell’UE…). Il punto è – questa l’essenza strategica della terza posizione – che le forze che si richiamano al socialismo ed ad un’alternativa anti-liberista, contrarie alla guerra e all’imperialismo; le forze che vogliono un’Europa unita e autonoma dagli Stati Uniti e dalla NATO, fondata non su poteri federali sovranazionali, ma sulla cooperazione tra Stati sovrani, non imperialista bensì amica e cooperante coi popoli del Sud del mondo, non possono pensare di perseguire compiutamente tali obiettivi dentro il quadro e le compatibilità dell’UE, ma debbono avanzare un progetto alternativo. Esso è tutto da costruire e diventa ancora più pressante proprio in presenza della crisi attuale dell’UE e del terremoto politico che l’ha investita grazie alla vittoria dei NO. E non è detto che le tappe intermedie più conseguenti nella direzione giusta necessariamente coincidano con la salvaguardia di questa UE a 25, nella quale il condizionamento dei Paesi più legati agli USA si è rivelato fortemente condizionante (ecco un punto da approfondire…).
Si continua inoltre a discutere come se L’UE fosse tutta l’Europa. E per quanto il personaggio non susciti in noi alcuna simpatia, è difficile dar torto a Michail Gorbaciov quando, all’indomani dei referendum di Francia e Olanda (La Stampa, 4 giugno 2005), sostiene che “l’idea di una Grande Europa Unita [fattore geopolitico di significato planetario] non è risolvibile semplicemente con l’allargamento dell’UE”, cioè per assorbimento o cooptazione; e che “un processo paneuropeo di questa ampiezza non può essere costruito soltanto dalla parte occidentale”. Al contrario, “occorre che vi prenda parte la parte orientale. L’Europa deve poggiare su due pilastri e nell’iniziativa volta alla creazione di uno spazio economico comune tra Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan io vedo il progetto della costruzione del pilastro orientale della casa europea”. Per cui si tratta di “respingere paure e inquietudini ereditate dalla guerra fredda…e dare corso a una svolta più meditata, più efficace, davvero pan-europea”. Tale svolta (ecco un altro punto rimosso…) dovrebbe innanzitutto opporsi ad ogni interferenza neo-imperialistica degli USA, dell’UE e della NATO negli affari interni dei Paesi dell’area ex sovietica, come invece è avvenuto – pesantemente – nelle vicende di Ucraina, Georgia, Paesi baltici e come sta avvenendo in Bielorussia, Moldavia e nella stessa Russia (a partire dal sostegno di alcuni servizi segreti occidentali al terrorismo ceceno, di cui ci ha più volte parlato Giulietto Chiesa, anche sulle colonne di questa rivista).
Un intellettuale britannico vicino a Tony Blair, ha scritto dopo la guerra in Iraq che in Europa il bivio è “tra euroasiatici, che vogliono creare un’alternativa agli Usa (lungo l’asse Parigi – Berlino – Mosca – Delhi – Pechino) ed euroatlantici, che vogliono mantenere un rapporto privilegiato con gli Usa”. Tony Blair ha espresso con chiarezza la sua linea euroatlantica, quella di “una potenza unipolare fondata sulla partnership strategica tra Europa e USA” : per dirla con Sergio Romano, “una grande comunità atlantica, dalla Turchia alla California, di cui Londra sarebbe il perno e la cerniera”.
Se invece l’Europa vuole reggere il confronto con gli Usa ed uscire dalla subalternità atlantica, deve essere aperta ad accordi di cooperazione e di sicurezza con la Russia (che è parte dell’Europa), con la Cina, l’India; e con le forze più avanzate e non allineate che si muovono in Africa, Medio Oriente, America Latina.
Come ha ben sintetizzato Samir Amin, “un avvicinamento autentico fra l’Europa, la Russia, la Cina, l’Asia costituirà la base sulla quale costruire un mondo pluricentrico, democratico e pacifico”. Dunque un’ Eurasia non allineata, che può rappresentare un interlocutore anche per le forze progressiste in Africa e America Latina.