Quasi 10 milioni di lavoratori dipendenti, pubblici e privati sono impegnati nel rinnovo dei loro contratti già scaduti. La strategia contrattuale 2002 – 2005 ha un obiettivo comune per tutti i lavoratori, ridistribuire la ricchezza prodotta, invertendo la linea sbagliata della riduzione programmata e sistematica dei salari.
Cambiare Rotta significa determinare equità, significa incrementare le retribuzioni, dopo un decennio che ha visto la riduzione della quota del prodotto interno lordo destinata ai salari e favorire la rendita di impresa. Negli anni della concertazione abbiamo assistito ad un trasferimento di risorse economiche dai salari al reddito di impresa per più di centomila miliardi di vecchie lire.
Questi rinnovi contrattuali sono l’occasione per far vivere una stagione vertenziale centrata su incrementi salariali, sul tema dei diritti e contro la precarietà, e far vivere la democrazia sindacale. Nello specifico il contratto del pubblico impiego assume forte rilevanza perché può essere o da traino o assumere il ruolo di precedente negativo per i rinnovi dei contratti nel settore privato. I comparti del pubblico impiego sono 11 dopo l’accordo quadro firmato da Aran e OO.SS. il 27 giugno 2002. Ai vecchi comparti si affiancano le agenzie fiscali, la presidenza del Consiglio e gli Istituti di alta formazione. Circa tre milioni di addetti così distribuiti:
Scuola 993.000
Sanità 680.000
Enti 670.000
Ministeri – Stato 282.000
Enti pubblici non economici 62.000
Università 60.000
Ricerca 18.000
Aziende 40.000
Agenzie fiscali 70.000
Presidenza del Consiglio 4.500
Istituti alta formazione 15.000
Sul piano salariale le richieste partono dall’accordo del 4 febbraio 2002 che prevedeva aumenti di stipendio del 5,56% a cui aggiungere ulteriori risorse economiche pari ad un punto percentuale. Va ricordato che il DPEF prevede per il 2003 una inflazione dell’1,4% del tutto fuori la realtà, l’incremento dell’inflazione deve essere recuperata con l’incremento delle richieste economiche, così come è già stato formulato dalla confederazione CGIL.
I lavoratori pubblici hanno già scioperato per il loro contratto nei mesi scorsi e le difficoltà riscontrate in questi giorni lasciano presupporre ulteriori iniziative.
Questi contratti si pongono l’ambizioso progetto di ricomporre la frammentazione del lavoro, dei diritti e delle tutele, che i processi di trasformazione in atto nel pubblico impiego stanno determinando. Su questo versante i contratti collettivi nazionali debbono rappresentare la diversa natura giuridica degli enti e aziende cui sono affidate funzioni ed attività pubbliche, assumendo il principio – stesso lavoro – stesso contratto. La riforma della P.A. è affrontata come un processo di “aziendalizzazione” , con logiche di gestione tipiche del sistema delle imprese, dove prevalgono politiche mirate al contenimento della spesa ed al ridimensionamento della spesa dell’intevento pubblico. Negli ultimi dieci anni nella Pubblica Amministrazione sono stati persi oltre 300 mila posti di lavoro stabili, con un incremento di lavori precari, instabili e poco tutelati, con effetti negativi sulla qualità dei servizi. Per questi lavoratori bisognerà prevedere un’area contrattuale unica, con il CCNL pubblico di riferimento che può servire come deterrente contro la frammentazione e precarietà del lavoro. I processi di privatizzazione, vanno bloccati e serve una straordinaria iniziativa che diventi una propria e vera vertenza per la difesa del valore sociale del lavoro pubblico, contro il tentativo ideologico di chi vuole meno stato e più mercato. I servizi pubblici sono oggi sotto tiro della speculazione di chi vuole la liberalizzazione del commercio dell’acqua potabile e dei servizi idrici, così come vuole l’accordo multilaterale sul commercio di tutti i servizi, il GATS.
Il valore del contratto nazionale è sempre più sotto attacco da parte del padronato, dal Governo e dall’incertezza della Cisl.
Noi siamo per un modello contrattuale basato su due livelli, nazionale e decentrato, consegnando una autentica autonomia contrattuale e ruolo negoziale ai rappresentanti eletti dai lavoratori, le RSU, attribuendo ulteriori materie, poteri e risorse. Il nostro modello di democrazia sindacale passa dal ruolo delle RSU, che dia trasparenza alle trasformazioni e che metta in campo, nella gestione delle riforme, nell’organizzazione del lavoro, le motivazioni e le ragioni di lavoratori e lavoratrici.
In sintesi la contrattazione decentrata (II livello) integrativa deve incidere sulla qualità dei processi e dei risultati del lavoro, non gerarchica ma per funzioni, finalizzata alla ricomposizione del ciclo lavorativo, tendente a responsabilizzare gli stessi lavoratori.
Tema alquanto controverso è la riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore, già prevista per i lavoratori impegnati nei servizi a turno e a ciclo continuo, che deve essere estesa nel corso della vigenza contrattuale anche per gli altri settori.
Questa tornata contrattuale del pubblico impiego è caratterizzata anche da spinte “separatiste” sostenute da settori della P.A., che vorrebbero incrementare ulteriormente i comparti contrattuali e frammentare la rappresentanza. È il caso delle Regioni, della Scuola con la separazione del contratto dei docenti e del personale ATA, dei vigili del fuoco e comparto sicurezza.
Tentativi falliti per l’atteggiamento unitario del sindacato. Questi contratti saranno la prova della coerenza sindacale.
La CGIL nel suo ultimo congresso ha sancito la fine della politica dei redditi del ’93. La conclusione dei contratti, coerentemente, deve prevedere l’incremento dei salari, la tutela dei diritti e la ricomposizione del lavoro precario, infine i contratti devono essere validati dai lavoratori.
Avremo gli occhi puntati su queste coerenze.