Nei giorni scorsi, in dichiarazioni ufficiali e in interviste a giornali stranieri, il presidente comunista della Moldova, Vladimir Voronin, ha denunciato con vigore il massiccio sostegno che, dall’estero, hanno ricevuto le forze dell’opposizione nazionalista moldava nell’organizzazione delle violente manifestazioni di piazza che hanno contestato la legittimità della schiacciante vittoria elettorale comunista nelle recenti elezioni politiche.
Voronin ha accusato in particolare la Romania (invitando l’ambasciatore del governo di Bucarest a lasciare la capitale moldava) di avere pesantemente interferito nel regolare svolgimento delle elezioni (la cui correttezza è stata riconosciuta da oltre 3.000 osservatori stranieri, anche dei paesi dell’Unione Europea), accordando un aperto sostegno alle forze più oltranziste dello schieramento nazionalista moldavo, nostalgiche del progetto di “Grande Romania” del regime di Antonescu, alleato di Hitler e dei regimi fascisti europei. Fino al punto di offrire appoggio logistico all’organizzazione dei tumulti che hanno sconvolto Kishinev, nel tentativo di innescare un processo simile a quello che in altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica ha caratterizzato le cosiddette “rivoluzioni colorate”. E’ stata persino denunciata la presenza di moltissimi cittadini della Romania, trasportati con autobus nella capitale, che avrebbero approfittato del regime di visti vigente in Moldova che permette ai romeni il libero accesso nel paese.
Fondamentale ancora una volta, nello scatenamento della piazza anticomunista, è apparso anche il ruolo di organizzazioni non governative, in particolare quelle con sede negli Stati Uniti, come ad esempio l’Open Society Institute di New York: un suo esponente, Evgheny Morozov, specialista in tecnologie politiche, ha apertamente riconosciuto il ruolo di questa organizzazione nell’attivazione delle reti informatiche che hanno reso possibile un’efficace mobilitazione dei nazionalisti moldavi. Il ricercatore José Miguel Alonso Trabanco, in globalresearch.ca, rivela che anche l’Agenzia USA per lo sviluppo (USAID) ha riconosciuto di partecipare (con sistemi logistici e risorse finanziarie) alle cosiddette “attività di partecipazione civica in Moldavia”, di stimolare “la preparazione degli attivisti politici democratici”, promovendo, a tal fine l’apprendimento delle tecniche più sofisticate di utilizzo delle reti informative e Internet. L’USAID rivela che tra gli appartenenti ai gruppi che collaborano con l’agenzia in Moldova ci sono “funzionari del governo locale, studenti, rappresentanti e membri di ONG, professori e professionisti della sanità”.
Tra gli animatori del movimento anticomunista moldavo, presenti anche alle manifestazioni di Kishinev, sono stati notati (e come potevano mancare!) anche alcuni dirigenti della cosiddetta “opposizione democratica” russa, in particolare del partito anti-Putin “Altra Russia”, che ora si professano impegnati nella “democratizzazione” della Moldova. A ulteriore testimonianza del carattere non solo anticomunista, ma anche antirusso delle violente dimostrazioni.
Eppure lo stesso Partito Comunista, al potere dal 2001 e vincitore di tre elezioni consecutive, non ha mai nascosto la sua intenzione di collaborare con l’Unione Europea, fino ad auspicare, anche nel suo programma elettorale, l’integrazione del paese nelle strutture comunitarie. Un partito comunista, quello moldavo, che per dimostrare il suo “europeismo”, non ha esitato a sottoscrivere il programma politico e lo statuto del Partito della Sinistra Europea (dal quale, francamente, ci saremmo aspettati, oltre a una dichiarazione di circostanza e sconosciuta ai più, una risposta per le rime alla guerra informativa contro un partito aderente alla SE, scatenata da alcuni media, tra cui si è distinto il TG3 con alcuni osceni servizi anticomunisti del suo inviato a Kishinev), operando così, anche in questo caso, una scelta “pragmatica” che tiene in considerazione il complesso equilibrio che la Moldova è costretta a mantenere nel conflitto che contrappone USA/UE/NATO alla Russia.
E allora, perché tanto accanimento contro i comunisti moldavi?
E’ evidente che la ragione dell’ostilità risiede nel fatto che ai dirigenti occidentali non bastano le manifestazioni, più volte ribadite dai comunisti moldavi, di “fedeltà” a quei diritti umani e politici che starebbero alla base della costruzione unitaria europea, per altro da loro sempre scrupolosamente rispettati.
All’attuale dirigenza moldava, in questi anni di “collaborazione” con le strutture occidentali, è stato ripetutamente richiesto, anche con inaccettabili ricatti economici, quello che essa non è assolutamente in grado di assicurare ai “poteri forti” del continente e di oltreoceano, sulla base del programma e dei connotati ideologici che caratterizzano il Partito Comunista della Repubblica di Moldova.
Ai dirigenti moldavi, in sostanza viene chiesta la stessa cosa che ha provocato il completo assoggettamento agli interessi delle potenze occidentali di quasi tutti gli altri paesi dell’est europeo, consentendo, di conseguenza, il loro inserimento nell’assetto comunitario continentale in quelle condizioni di subordinazione (con autentici caratteri coloniali) che sono sotto gli occhi di tutti: l’adesione ai progetti di espansione dell’Alleanza Atlantica verso est e di contenimento e contrapposizione alla Russia, l’accettazione incondizionata dei vincoli politici e militari previsti dall’ingresso nella NATO e dal coinvolgimento senza riserve nel suo sistema di alleanze nella regione.
Ebbene, tutto ciò i dirigenti comunisti moldavi, almeno fino ad ora, non sono stati disposti ad accettarlo. Facendo in tal modo coerentemente fronte ad un altro impegno che sta scritto con chiarezza nella loro piattaforma elettorale e che evidentemente gode di un largo consenso tra l’opinione pubblica della Moldova: il rispetto rigoroso dello status di neutralità del paese e l’impegno per la smilitarizzazione della regione
(in russo: http://www.pcrm.md/main/index.php?action=program).
La Moldova, inoltre, non ha mai voluto abbandonare la Comunità degli Stati Indipendenti, la confederazione succeduta all’Unione Sovietica dopo il 1991, e non ha mai rinunciato (anche nei momenti di più acuta tensione, nel 2003) a cercare di mantenere rapporti costruttivi con la Russia, a cui, per lingua e cultura, è legata una parte consistente dello stesso popolo moldavo. In un clima di rispetto per questa minoranza linguistica che potrebbe essere compromesso dall’eventuale avvento al potere dei seguaci della “Grande Romania”, tentati da politiche di “apartheid”, alla stessa stregua dei confinanti “arancioni” ucraini o dei governanti dei paesi baltici aderenti all’UE.
Le relazioni con la Russia, in effetti, sono andate rafforzandosi negli ultimi mesi, con una serie di atti significativi tendenti ad allentare la tensione sulla questione della Transnistria, come il riavvio, negli ultimi mesi, del confronto con Mosca e Tiraspol nella ricerca di soluzioni negoziali che evidentemente non possono che risultare sgradite ai “falchi” della politica atlantica, di cui naturalmente sia il governo della Romania che i nazionalisti di Kishinev sono i più fedeli e zelanti alleati.
Nello stesso tempo è andata consolidandosi la politica della ricerca di rapporti diversificati su scala mondiale, allo scopo di fare fronte alle esigenze di un’economia soggetta, più di altre, a subire i contraccolpi della grave crisi globale: in tal senso va interpretata l’intensificazione delle relazioni commerciali con la Cina, con la concessione alla Moldova, da parte del gigante asiatico, di significative linee di credito a tassi di interesse particolarmente vantaggiosi.