In larga parte il dibattito politico nel corso delle ultime settimane si è concentrato intorno alla proposta della lista unica del centro sinistra alle europee, come passo per la costituzione di un nuovo soggetto politico: il partito riformista. Questo interesse da parte degli osservatori politici è del tutto comprensibile, data l’oggettiva rilevanza che assume questa proposta, un vero e proprio sconvolgimento della geografia politica a sinistra.
Il primo elemento da rilevare è che per come tale proposta è stata posta è difficile coglierne la dimensione strategica mentre è abbastanza facile individuarne quella tattica. Infatti, è evidente che nell’iniziativa promossa da Prodi per la costituzione di una lista unitaria dell’Ulivo è rilevante la preoccupazione che una significativa affermazione dei DS rispetto alla Margherita nelle elezioni europee indebolisca lo stesso leader della coalizione che dovrebbe cimentarsi nelle politiche del 2006. D’altro canto, la tempestività con cui D’Alema ha rilanciato avanzando la proposta di dar vita ad un nuovo soggetto politico, composto dalla parte moderata dell’attuale Ulivo, lascia aperti molti interrogativi circa l’effettivo obiettivo di questa iniziativa, giacché, ad esempio, a tutt’oggi essa ha avuto come principale effetto quello di determinare una fibrillazione negli stessi DS ma soprattutto nella Margherita. Ciò detto, sono convinto che sarebbe sbagliato sottovalutare il peso della proposta. Infatti, il fatto che la stessa sia sostenuta dai massimi dirigenti dei principali partiti che dovrebbero attuarla e, soprattutto, che l’impatto che essa ha avuto nell’opinione pubblica sia stato rilevante fanno sì che divenga obiettivamente difficile derubricarla dall’agenda politica. Per questo credo convenga assumerla come una prospettiva possibile (anche se non facile) e pertanto misurarsi seriamente sul significato e sulle conseguenze che essa potrebbe comportare.
Se vi è una cosa che colpisce nel dibattito che si è sviluppato intorno al tema del “partito unico” è l’assoluta inconsistenza di una riflessione sul profilo politico del nuovo soggetto e sul suo ruolo nell’ambito del centro sinistra. Ciò che ha destato interesse sono state, soprattutto, la manovra tattica e la dialettica che si è aperta all’interno delle forze politiche coinvolte. Ben pochi, in verità, si sono chiesti quali fossero le finalità della nuova formazione. Si è così discettato sulla necessità di una semplificazione nello schieramento di centro-sinistra, si è fatto riferimento all’anomalia italiana, rispetto ad altri paesi, rappresentata dall’assenza di un forte partito riformista, mentre nulla si è detto sulla proposta politica che dovrebbe costituire la base di tale operazione. E’ molto probabile, come hanno sottolineato fino ad oggi alcuni esponenti della sinistra DS, che l’unificazione fra Margherita e DS, con la guida politica di Romano Prodi, (perché di questo in sostanza si tratta) sarà un’operazione di segno dichiaratamente moderato, che, di fatto, verrebbe a concludere il percorso iniziato alla Bolognina con lo scioglimento del Pci. Qualora si completasse questa evoluzione politica si confermerebbero giuste le analisi e le scelte che fecero i compagni che non accettarono la svolta dell’89 e diedero vita a Rifondazione Comunista, mentre si dimostrerebbero sbagliate le scelte della componente del No che decise di rimanere nei DS pensando di fargli cambiare linea dall’interno.
Le conseguenze di un partito riformista a guida moderata non si limiterebbero a determinare uno spostamento a destra del quadro politico, anche se esso resta certamente quello più rilevante. Consideriamo in primis gli effetti sociali che tale scelta potrebbe determinare. La questione delicata, com’è stato giustamente sottolineato, è rappresentata dall’impatto della nascita di un simile soggetto sul fronte sindacale. Già oggi il gruppo dirigente della CGIL è stato oggetto più volte di attacchi da parte della maggioranza dei DS, che non hanno fatto mistero di dissentire rispetto ad una linea considerata eccessivamente radicale e foriera di divisioni pericolose con le altre organizzazioni sindacali. Questo contrasto, peraltro, si è ormai riprodotto all’interno della stessa CGIL con l’esplicitazione, attraverso una presa di posizione dei settori dalemiani, di una critica alla linea sostenuta da Epifani. Quali effetti potrebbe comportare la nascita di un nuovo soggetto politico i cui riferimenti sindacali coinvolgono tutte e tre le confederazioni? Certamente una tendenza a ricostruire forzatamente l’unità sindacale, costringendo la CGIL ad una svolta moderata per ricollocarsi a fianco di CISL e UIL. Ed è altrettanto probabile che in un disegno strategico mirato essenzialmente a conquistare le componenti di centro dell’elettorato, attraverso una competizione sul piano della modernizzazione capitalistica con le forze di destra (questo è peraltro il messaggio lanciato da Fassino nel suo libro), la subordinazione del conflitto a questo obiettivo comporta una più generale sordità nei confronti della protesta sociale, che travalica l’ambito specificamente sindacale.
Un terzo aspetto credo vada richiamato, benché fino ad ora esso sia stato sottovalutato. La nascita di un soggetto politico “genericamente riformista” del 30/35% e cioè, almeno quantitativamente, soverchiante rispetto alle altre forze della coalizione costituirebbe un altro passo nella direzione del passaggio da un sistema istituzionale “bipolare” ad un sistema “bipartitico”. Dietro l’enfasi sulla semplificazione, questo, peraltro si coglie. Il fatto poi che il leader dell’intero schieramento di centro-sinistra finisca col coincidere con il capo del più grande partito della coalizione, inevitabilmente costituirebbe un’ulteriore stimolo in questa direzione. Questa riflessione si ricollega inevitabilmente con l’imminente apertura di una nuova stagione di riforme istituzionali. Da questo punto di vista, non mi pare irrilevante che il contrasto con il centro destra, da parte delle maggiori forze dell’Ulivo, si concentri sulla “devolution”, mentre sul sistema di governo vi siano affinità per quanto riguarda la proposta del “premierato”. Così come, d’altra parte, non va sottaciuto che uno dei massimi punti di scontro si verificherà con ogni probabilità sulla legge elettorale, rispetto alla quale il dissenso da parte dei DS sulla reintroduzione del proporzionale è nota e va nella direzione, fra l’altro, di limitare il più possibile il pluralismo all’interno della coalizione.
Se queste brevi considerazioni colgono problemi reali insiti nel progetto del partito unico, dovrebbe essere chiaro che la sua eventuale nascita non deve essere sottovalutata dalle forze che esplicitamente hanno dichiarato la loro estraneità a tale operazione. Da un lato, è indubbiamente vero che l’unificazione fra DS e Margherita comporterebbe l’allargamento dello spazio a sinistra della nuova formazione da cui potrebbero trarre giovamento (in termini essenzialmente elettorali) le altre forze. Basti pensare, a titolo di esempio, alle esperienze compiute a livello di elezioni amministrative, quando il centro sinistra ha voluto presentarsi unito sotto il simbolo dell’Ulivo, in alleanza con altre forze di sinistra (come nel caso delle regionali del 2000 in Lombardia). Il risultato, generalmente, è stato quello di una crescita elettorale delle forze che si presentavano con il proprio simbolo, e specialmente di Rifondazione Comunista. Dalla nascita di un nuovo partito riformista potrebbe quindi trarre stimolo l’affermazione di una sinistra di alternativa.
E, tuttavia, anche rispetto a questo approccio che potremmo definire “utilitaristico”, giova fare alcune puntualizzazioni, perché non sempre i meccanismi sono così automatici e in ogni caso non sono privi di effetti collaterali. La prima considerazione è che se in presenza di un sistema proporzionale questo esito appare plausibile, nel caso di un sistema maggioritario e bipolare non tutto è scontato.
Inoltre, se è scontato che un’unificazione fra Margherita e DS creerebbe simmetricamente le condizioni per la nascita di un’intesa o di una qualche forma di aggregazione fra le forze della sinistra di alternativa non si può escludere che l’affermazione di quest’ultima incontrerebbe delle difficoltà. E ciò per alcune ragioni di fondo. Un’eventuale induzione, dall’esterno, di un processo accelerato di costituzione di un nuovo soggetto della sinistra di alternativa sarebbe in questo quadro positivo? O non vi sarebbe, piuttosto, il rischio di determinare una nuova dispersione di forze non convinte di una soluzione improvvisata e per molti versi non matura? Oggi la sinistra di alternativa in termini di progetto è, peraltro, ancora una realtà virtuale e la sua stessa aggregazione pone non pochi problemi. Non è un caso, peraltro, che le prime dichiarazioni vadano nel senso di distanziarsi da questa prospettiva (i Verdi) o di concepirla essenzialmente come una modalità di relazioni fra soggetti autonomi (è il caso del PDCI).
Infine, non va sottovalutato come nell’ultima fase, nonostante la generosità dimostrata da alcune forze e soprattutto da Rifondazione Comunista nel sostenere l’iniziativa dei movimenti, i risultati elettorali hanno dimostrato come la sinistra moderata mantenga una capacità di controllo elettorale consistente ed, anzi, come sia in grado di intercettare il consenso di ampi settori di movimento.
Mi rendo perfettamente conto che queste osservazioni sono suscettibili di smentita, dato che allo stato attuale il partito riformista non è ancora una realtà, ma ritengo comunque che un’indicazione di massima possa essere tratta. Ogni ragionamento che movendo da considerazioni di geografia politica sottovaluti i possibili effetti di tale evento, o che addirittura ne auspichi il compimento sulla base di presunti vantaggi che ne deriverebbero, potrebbe essere incauto. Forse, anziché scommettere su più o meno probabili modifiche degli assetti politici, occorrerebbe da subito mettersi a lavorare di buona lena su un aspetto che allo stato attuale è ancora abbondantemente trascurato. Mi riferisco ad un confronto limpido, senza tatticismi sulle proposte che dovrebbero sorreggere l’iniziativa di una coalizione democratica e progressista, ora, in vista dello scontro di autunno con il governo Berlusconi e, domani, nella prospettiva di un programma di governo in grado di opporre un’alternativa credibile al centro destra.
A tale riguardo, alcuni nodi sono per molti versi ineludibili e il dibattito che si è sviluppato nelle forze della sinistra antiliberista ha cominciato a tratteggiare alcuni punti utili per la definizione di un programma. Sul piano delle relazioni internazionali si pone urgentemente la necessità di contrastare ogni opzione a favore della guerra preventiva; sul piano della politica economica si rende necessaria una revisione del patto di stabilità europeo come condizione per una politica economica espansiva, strettamente connesso ad un sostegno al reddito che rilanci i consumi. Un obiettivo, quest’ultimo, che, come ha sottolineato Bertinotti in un recente contributo su Liberazione, può essere perseguito attraverso una pluralità di strumenti (dalla reintroduzione di meccanismi automatici di adeguamento salariale, a provvedimenti relativi al salario sociale, all’intervento sulle tariffe e sui servizi per tutelare la fasce a reddito medio basso). Ancora: si rende indispensabile un intervento di salvaguardia del patrimonio industriale del paese, sottoposto ad un progressivo smantellamento; un impegno sul piano istituzionale per contrastare una riforma in senso presidenzialista e ispirata al federalismo competitivo; una proposta di riforma elettorale condivisa che garantisca una rappresentanza più equa della volontà degli elettori ed infine, sul piano sociale, una legislazione a supporto dell’estensione della democrazia nei luoghi di lavoro (con la previsione della consultazione obbligatoria dei lavoratori sugli accordi sindacali). A questo va aggiunto, come ha sottolineato Magri nell’ultimo numero della Rivista del manifesto, una scelta chiara per la cancellazione della legislazione prodotta dal centro destra in campo giudiziario e sociale. Si pensi alla legge Bossi Fini, al lodo Meccanico, alla legge Cirami, ai provvedimenti annunciati sulla magistratura, alla riforma previdenziale, alla riforma fiscale, alla riforma della scuola, ai provvedimenti a favore della precarizzazione del lavoro
L’apertura di un confronto esplicito con tutte le forze del centro sinistra, ma anche con le espressioni del mondo sindacale, dell’associazionismo progressista e più in generale dei movimenti, permetterebbe anche di capire meglio il progetto politico di chi intende costruire il partito riformista e consentirebbe di dare una sponda a tutte le forze che dentro o fuori la sinistra moderata si pongono il problema di superare definitivamente l’orizzonte di neo liberismo temperato che ha pregiudicata la stessa esperienza dei governi di centro sinistra che si sono succeduti negli anni ‘90 ed, infine, consentirebbe di tessere quella rete di relazioni fra forze più affini (da Rifondazione comunista ai verdi, al PDCI, alla sinistra DS, a settori sindacali di sinistra, a spezzoni di movimento) che diventa essenziale per ottenere un compromesso accettabile sul piano dei programmi.
In questo contesto, Rifondazione Comunista può svolgere un ruolo decisivo, essendo la maggiore fra le forze politiche organizzate che si collocano a sinistra dei DS. L’apertura di recente avviata nei confronti delle altre forze di opposizione ne ha a mio avviso accresciuto la credibilità agli occhi di quanti (e sono la gran parte degli elettori di sinistra) sentono come urgente costruire l’alternativa a Berlusconi. Questa condizione favorevole va però consolidata privilegiando il confronto sulle questioni di merito e facendo maturare i processi anziché operare forzature organizzativiste e, infine, restando fortemente ancorati alla questione sociale, con l’ambizione di influenzare i processi anziché accontentarsi di assecondarli. In questo ambito, la rivista de l’ernesto, che è ormai divenuta uno dei luoghi più significativi di dibattito fra le diverse espressioni della sinistra, potrebbe svolgere un ruolo prezioso se, concependosi sempre di più come “laboratorio politico”, offrisse lo spazio per far avanzare una ricerca politico-programmatica intorno al tema dell’alternativa, ormai non più rinviabile.