Oggi tutti, a sinistra, dicono: il 23 marzo c’è stata la più grande manifestazione della Repubblica, il 16 aprile uno sciopero generale straordinario, siamo dalla parte della Cgil e difendiamo i diritti dei lavoratori. Politici, giornalisti, intellettuali, espressioni di strati diversi della società, fino a ieri ostili o indifferenti, anche quanti dal governo di centro-sinistra hanno sostenuto posizioni non molto dissimili dal Libro Bianco del centro-destra, oggi applaudono alla lotta dei lavoratori. Come si sa c’è persino un pezzo importante della grande impresa capitalistica che non condivide la posizione prevalente nel governo e nella confindustria, da un lato perché giudica troppo alto il prezzo da pagare, in termini di rottura della pace sociale, all’abolizione dell’articolo 18, dall’altro lato perché vuole stare con un piede in due scarpe, sia nella parte moderata del governo che in quella liberista dell’opposizione. Sta di fatto che di nuovo, dopo le grandi lotte del ’94 a difesa delle pensioni minacciate dalla controriforma dell’allora primo governo Berlusconi, il movimento dei lavoratori è protagonista della scena politica del paese. Questo fenomeno è molto positivo, va incoraggiato, incalzato, soprattutto per dare continuità al movimento di lotta, per tentare di permeare l’opposizione al governo Berlusconi di contenuti sociali e di una impronta di classe. Guai a non vedere come la prassi modifichi la teoria. Da un lato la durezza di governo e confindustria, dall’altro lato la risposta della classe operaia – prima la coraggiosa lotta della Fiom sul contratto, poi il crescendo di lotte a difesa dell’articolo 18, gli scioperi parziali, il 23 marzo, fino allo sciopero generale, passando anche per Genova e per il movimento no-global – hanno già, nei fatti, incrinato la concertazione e le sue teorizzazioni più di mille documenti congressuali sindacali. La centralità della contraddizione fra capitale e lavoro torna ad essere visibile per tutti, non solo per i comunisti. La classe operaia – sia nella sua accezione ampia (oggi viene comunemente denominata come “il lavoro” facendone perdere l’attributo di “classe”), sia nella definizione del classico proletariato della grande impresa capitalistica – è oggi non solo di nuovo visibile a tutti, a dispetto dei tanti becchini e teorici della sua morte postfordista, ma è persino protagonista di un vero e proprio movimento dei movimenti che va ben oltre lo stesso movimento operaio. Tutto cambia e continua a cambiare. Solo un cieco non lo vede. La società è cambiata, il mondo del lavoro è cambiato, lo stesso capitale si è profondamente modificato, ma non dovrebbero almeno domandarsi i tanti che hanno teorizzato in vario modo a sinistra la fine della classe operaia, come mai un diritto come l’articolo 18, che riguarda solo una parte di lavoratori, proprio quei tanto vituperati lavoratori classici, tipici, dipendenti delle grandi imprese (che dovevano anch’esse essere sparite assieme ai suoi lavoratori), sia diventato un simbolo unitario di libertà per tutti i lavoratori e persino per altri strati sociali, anche per i lavoratori senza articolo 18, per i disoccupati, per i pensionati, per settori di piccola borghesia intellettuale ?
In secondo luogo non dovremmo anche chiederci: come mai l’esito del congresso della Cgil con la sua disponibilità a promuovere anche da sola lo sciopero generale e poi la storica manifestazione del 23 marzo ha sorpreso ed anche spiazzato quasi tutta la sinistra politica, sia le sue parti più “moderate” che quelle più “radicali” ? E ancora: cosa sono quei due o tre milioni del 23 marzo se non quel popolo di sinistra dato per imploso e finito sia da destra che da sinistra ?
Altra domanda retorica: che cos’è questo impetuoso movimento di lotta se non una forte “resistenza” all’azione controrivoluzionaria e persino controriformatrice che caratterizza l’attuale fase storica del capitalismo mondiale ? Perché allora si continua a ripetere, persino nella sinistra di alternativa, che la fase della “resistenza” è finita e che è cominciata una nuova fase, addirittura mondiale, di controffensiva delle forze anticapitalistiche, proprio nel bel mezzo della più poderosa e aggressiva offensiva capitalistica della storia del dopoguerra com’è l’operazione “libertà duratura” lanciata dagli Usa dopo l’11 settembre ? Io credo che il massacro dei palestinesi e la vicenda francese (per fare due esempi molto diversi l’uno dall’altro) insegnino entrambi che siamo ancora nel pieno di una lunga fase di offensiva reazionaria dei principali centri capitalistici e imperialistici e che dunque, viceversa, siamo ancora in una fase di possibile “resistenza” delle forze politiche e sociali del movimento operaio, i cui sviluppi nel nostro Paese sono strettamente condizionati da ciò che succede nel mondo. La corretta analisi della fase è fondamentale per la scelta della linea politica più adeguata e per evitare di portare al disastro i nuovi movimenti di lotta che si oppongono allo stato di cose presente.
Concludo con una considerazione in apparenza estranea all’argomento ma che rappresenta, a mio parere, il problema dei problemi che le parti più coscienti e avanzate del movimento operaio italiano dovrebbero affrontare.
Non sappiamo come andrà a finire la vicenda dell’articolo 18 e dello scontro sociale in atto. Sappiamo che vi sono forze potenti che lavorano per spegnere il conflitto sociale e riprendere la concertazione. Del resto anche questo movimento di lotta, come tutti i movimenti, non durerà all’infinito e quando il movimento calerà rispunteranno puntuali tutte le teorie sull’esaurimento della classe operaia e riprenderanno fiato a sinistra le forze riformiste e i settori sindacali più subalterni, come è avvenuto alla fine delle grandi lotte del ‘94. Allora il problema che dobbiamo porci, ora che il movimento è al suo apice, è come nel movimento indirizziamo e accumuliamo le forze per la costruzione dell’organizzazione permanente (partito e sindacato) del movimento operaio. Un forte partito comunista e un sindacato di massa non subalterno, profondamente rinnovati e adeguati ai tempi, diventano più di prima i due strumenti principali per rafforzare in modo non contingente il movimento operaio italiano.