Partito, classe operaia e nuovo proletariato

Sul nuovo proletariato e sul capitalismo globalizzato sulle loro caratteristiche sono state scritte analisi e riflessioni, così come si sono accesi dibattiti sulla permanenza del conflitto capiatale – lavoro, sull’esistenza stessa della classe operaia alla luce di come è organizzato il nuovo lavoro nelle società neoliberiste.
Vorrei provare a tracciare alcune riflessioni su questi argomenti utilizzando la lente di ingrandimento rappresentata dalla realtà produttiva torinese, che, a differenza di altre realtà come quella ad esempio del Nord-Est, ha la particolarità di mantenere una sorta di presenza monopolistica rappresentata dal Gruppo Fiat e dalla famiglia Agnelli.
D’altronde Torino ha sempre rappresentato, in tutto il ‘900, una sorta di avanguardia delle intenzioni del capitalismo italiano: dalla nascita della fabbrica per auto, all’utilizzo militare della produzione meccanica, dalla catena di montaggio al nuovissimo outsourcing (cessione ad imprese esterne di attività un tempo effettuate direttamente in fabbrica). Allo stesso tempo è stata anche, ovviamente, l’avanguardia della risposta operaia e proletaria allo sfruttamento capitalista con le società di mutuo soccorso, con il sindacato per contrattare salario e condizioni di lavoro, con il partito come organizzatore del progetto di società alternativa a quella capitalista.
Torino ha anche rappresentato le vittorie e le sconfitte del movimento operario, non a caso la riscossa neoliberista del capitalismo italiano comincia con la sconfitta operaia del 1980 alla Fiat.
Voglio dire che, probabilmente, capire cosa sta accadendo a Torino può aiutare una lettura attenta sia del nuovo capitalismo sia della nuova classe operaia e del nuovo proletariato.
Prima di tutto bisogna precisare che la classe operaia non è scomparsa né è diventata marginale: cambia la sua dislocazione (la grande fabbrica), cambiano i rapporti di lavoro (contratti), al contrario invece aumentano i lavoratori dipendenti e la produzione di beni e servizi dipende ancora dal lavoro umano e dal rapporto con il territorio.
Secondo i dati sul lavoro diffusi dall’ISTAT nel 2001, in Italia gli occupati sono aumentati di 248.000 unità; in Piemonte l’aumento medio di occupati è stato di 16.000 unità con una tendenza negativa di 2.000 occupati in meno in agricoltura e di 6.000 occupati in meno nell’industria e con un aumento di 24.000 nuovi occupati nel settore terziario.
Dunque questi dati sembrano confermare il declino dell’industria manifatturiera così come l’abbiamo conosciuta nel passato e al tempo stesso indica un aumento degli occupati in altri settori, soprattutto nel terziario.
Partiamo dal GRUPPO FIAT che tutto compreso (auto, veicoli industriali, militare, engineering, l’indotto delle centinaia di piccole e medie aziende che producono per il Gruppo, ecc..), rappresenta in modo preponderante la produzione di beni e sevizi in Piemonte ed in particolare a Torino.
Primo, la Fiat Auto sta andando in crisi: secondo l’Osservatorio Regio-
nale del Lavoro il Gruppo Fiat “sarà sempre meno un’impresa manifatturiera concentrata sui settori di attività legata all’automotive”, la causa va ricercata, sempre secondo l’Osservatorio, in una ridotta redditività dell’attività industriale nei settori autoveicolistici. Cioè sono state prodotte più auto di quanto il mercato ha richiesto (il 30% in più), la causa sta nella saturazione del mercato auto, la concorrenza internazionale, soprattutto nelle scelte sbagliate della dirigenza ad esempio dal 1988 al 1990 la Fiat Auto ha prodotto circa 2 milioni di auto l’anno che sono scese a 1,5 milioni annui a scapito di altre case automobilistiche europee. Sempre citando l’Osserva-
torio: “Se ne può dedurre, quindi, che la debolezza sia legata ai modelli realizzati in Italia che, con l’eccezione della Punto e recentemente dei nuovi modelli Alfa, non hanno avuto un grande successo”.
Quindi la crisi della Fiat Auto non dipende né dal costo del lavoro (in Italia non è mai stato così basso negli ultimi decenni) né dalla qualità del lavoro, ma si tratta di scelte “sbagliate” della dirigenza Fiat, oppure, con più probabiltà, rappresentano una nuova strategia che punta a ricollocare la famiglia Agnelli (il nostro capitalismo) in una nuova dimensione produttiva con la dismissione di parte dell’attività industriale tradizionale e l’acquisizione di nuove fette di mercato.
Così, secondo me, va letto l’accordo tra Fiat e General Motors, che nel giro di pochi anni vedrà, probabilmente, la cessione di tutta la Fiat Auto alla GM, così vanno interpretate la vendita, da parte del Gruppo Fiat, della Marelli, della Teksid e delle produzioni militari, e così vanno interpretate le esternalizzazioni di molte delle produzioni industriali Fiat.
Sempre secondo l’Osservatorio Regionale sul Lavoro ci dice che, la Fiat Gruppo ha deciso di investire massicciamente sulle attività terziarie e dei servizi costituendo un nuovo settore, il “Business Solution” che raggruppa tutte le società Fiat che si occupano di servizi aziendali, immobiliari, tecnologici e così via; questo nuovo settore, che nel Gruppo Fiat attualmente pesa per il 3% del fatturato si prevede che entro il 2003 rappresenterà oltre il 40% del fatturato.
Quindi pare evidente che la Fiat si stia trasformando in una holding finanziaria, cedendo e dismettento le attività industriali, e che questa strategia è già in atto da anni come proverò a spiegare brevemente.
Tramite la sua associata ITALENERGIA, qualche tempo fa, la Fiat ha acquistato la Montedison ed è diventata leader nel settore della produzione di energia, e questa azione si è accompagnata con la scelta di vari governi, di centro sinistra o di destra, di privatizzare l’ENEL e le aziende municipalizzate che producono energia elettrica; ultimamente la Fiat si è resa disponibile, bontà sua, a cedere agli Enti pubblici i propri siti industriali dimessi per la realizzazione di centrali di produzione termoelettrica; contemporaneamente molti enti locali tendono a privilegiare gli inceneritori invece della raccolta differenziata dei rifiuti (i rifiuti indifferenziati sono un buon combustibile per la produzione di energia elettrica).
La Fiat investe nel settore assicurativo ed immobiliare in coincidenza con le Olimpiadi invernali che si terranno a Torino nel 2006, mettendo a disposizione alcune sue aree in città per la costruzione di villaggi olimpici.
Inoltre la Fiat sostiene fortemente l’alta velocità ferroviaria, sia di passeggeri sia di merci, sostegno che sembrerebbe in contraddizione (ma così non è) con il trasporto su gomma. Si tratta di milioni e milioni di euro pubblici che lo Stato, la Comunità Europea, gli Enti locali spenderanno nei prossimi anni e che il Gruppo Fiat si accaparrerà, a scapito della devastazione di territori e contro la volontà di intere popolazioni, e, allo stesso tempo, nuove aziende e nuovi cantieri ammortizzeranno le dismissioni produttive e i licenziamenti.
Terzo, i 24.000 nuovi posti di lavoro trovano una collocazione nella riorganizzazione produttiva e indicano una tendenza, almeno in Piemonte, a ridurre ulteriormente nei prossimi anni la disoccupazione. Dunque il lavoro dipendente è destinato ad aumentare, quello che probabilmente ci troveremo a dover affrontare nel futuro, (in par
te è già così), è la condizione di lavoro: cresce la precarietà, la flessibilità, la dispersione sul territorio dei luoghi di lavoro. Il nuovo proletariato oggi si estende alla vecchia e nuova classe operaia, agli immigrati, ai lavoratori dei cantieri, a quelli dei servizi pubblici, a quelli della scuola, dei trasporti e degli ospedali privatizzati, agli artigiani e lavoratori autonomi a partita IVA. Tutti precari, tutti dispersi e divisi, tutti contro tutti.
In Piemonte circa l’80% dei nuovi contratti di lavoro sono a termine, cioè i così detti “lavori atipici” sono diventati tipici vale a dire che la forma normale di assunzione; contratti di lavoro a tempo determinato (di tre mesi in tre mesi), l’apprendistato (fino a 26 anni), il contratto di formazione e lavoro (formazione niente, lavoro tanto), lo stage formativo, il lavoro interinale (lavoro in affitto), il CO.CO.CO. contratto di collaborazione coordinata e continuativa (lavori come un dipendente ma ti pagano a fattura).

Sintetizzando il ragionamento fin qui sviluppato, mi pare evidente che il capitale, anche se globalizzato, mantiene fortemente la sua caratteristica nazionale, e necessisita del controllo sullo stato. Tutto questo via vai di aziende, di vendite di cessioni, di nuove aziende, di holding e di outsourcing, assomigliano al gioco di un prestigiatore che fa vedere una mano per nascondere l’altra che fa il trucco. Agnelli mantiene saldo il controllo sia dell’azienda sia del territorio, anzi scarica sullo stato e sulla collettività i costi della riorganizzazione produttiva.
Cosa c’è di nuovo? Nulla, il compagno Gianni Alasia, deputato e assessore al lavoro della Regione Piemonte negli anni ’80, tempo fa ha scritto molto sui finanziamenti pubblici che i vari governi democristiani e socialisti hanno elargito alla Fiat. Oggi potremmo descrivere molte ricerce e inchieste sull’utilizzo delle risorse pubbliche, da parte della Fiat e del capitalismo italiano, per garantirsi il sostegno contro la concorrenza globale degli altri monopoli capitalistici a loro volta sostenuti da altri stati.
Dopo anni di concertazione, di deriva, di sconfitte, arrivano i primi segnali di risveglio di una coscienza antagonista al neoliberismo. Il movimento no global, con la richiesta di un altro mondo, il nuovo movimento operaio con gli scioperi che riaprono la lotta per il salario e per nuove condizioni di lavoro, possono essere l’inizio di una nuova stagione.
Il compito che il Partito deve darsi è quello di legare insieme le due richieste perché sono inscindibili: un nuovo mondo comincia dal diritto al lavoro, da un giusto salario, dalle garanzie e dalla sicurezza del posto di lavoro.
Il Partito, in una fase come questa, più che il sindacato può favorire la saldatura tra i vari soggetti non più aggregati in un unico luogo e da una unica condizione di lavoro com’era la grande fabbrica (che in parte c’è ancora), oggi invece dispersi nella rete della produzione e del mercato globalizzato, lo spezzatino dei contratti di lavoro, la flessibilità e la messa in discussione dei diritti sociali.
Il compito di un Partito Comunista moderno e di massa è quello svelare il gioco dell’avversario di classe, di impedire la divisione del proletariato, di riunificate tutti i lavoratori tipici e atipici su obiettivi comuni.
Per fare questo c’è bisogno di più Partito meglio organizzato, meglio formato, con obiettivi semplici e chiari; bisogna scegliere di valorizzare quadri operai, anche tra i lavoratori precari, di alzare il conflitto contro i padroni comunque si travestano, che il conflitto di uno sia anche quello di tutti per dare forza alle battaglie. Dove abbiamo fatto così, come nel caso della Ficomirros di Venaria Reale, i lavoratori hanno vinto. Hanno vinto perché la Fiom li ha difesi, perché il nostro partito si è mobilitato bene, perché tutte le fabbriche della zona hanno sostenuto la lotta.
Occorre però che il Partito investa politicamente e organizzativamente sul lavoro e sul conflitto; da Sud a Nord vanno organizzati, seriamente, i circoli di lavoro sia di fabbrica sia per i precari; che si investa e si organizzi il proletariato giovanile (lavoro nero, formazione professionale, ecc..), che la direzione nazionale strutturi coordinamenti interregionali sul lavoro.
Occorre che il Partito non sia più cinghia di trasmissione degli apparati sindacali, nel senso che il Partito scelga, finalmente, una linea chiara per i nostri compagni indipendentemente dallo loro collocazione sindacale e la faccia rispettare ed applicare.
Occorre che in ogni luogo di lavoro il Partito sia presente con volantini, presidi, iniziative di lotta, con il nostro giornale, che dialoghi con i lavoratori, per fare in modo che i lavoratori stessi tornino a considerare il nostro partito il loro partito.
Se vogliamo cambiare questo mondo non servono moltitudini divise e confuse, serve un Partito che partendo dalla classe operaia sappia unificare su obiettivi comuni tutto il proletariato sfruttato dal neoliberismo.