Ora e sempre…

Il libro di Ruggero Giacomini costituisce oggi un punto fermo della storiografia regionale: del breve, terribile, periodo preso in esame (dall’8 settembre all’estate del ’44) fornisce non solo una visione d’insieme, ma un quadro organico capace di rivelare il ruolo che la Resistenza ha svolto nel riemergere di una coscienza regionale.

Il testo, “scritto di getto” secondo le parole dell’autore, è in realtà il frutto di anni di ricerca su vicende locali, di approfondimento di aspetti parziali dell’argomento ed anche di una selezione accurata dei contributi che nella storiografia locale si sono venuti accumulando in questi ultimi decenni. Così si spiega qualche sproporzione “quantitativa” nella narrazione dedicata ai diversi territori marchigiani. Sproporzione, beninteso, insignificante nel confronto con la storiografia nazionale che ha sostanzialmente dimenticato la Resistenza marchigiana. La qualità però delle diversità territoriali è indagata con precisione ed equilibrio, le osservazioni dell’autore, ampiamente argomentate, persuadono e per molti versi illuminano. Vogliamo aggiungere, tra i pregi del libro, la capacità di non annoiare anche quando la pignoleria dello storico affronta casi particolari, corregge errori consolidati, rileva contraddizioni, perché il lettore avverte la necessità di quel lavoro di cesello e soprattutto il sentimento di giustizia che anima l’autore verso gli uomini, tutti gli uomini, non solo gli eroi che stanno dalla parte giusta, che sono protagonisti e vittime delle vicende narrate.

Non solo non annoia ma sovente avvince. Giacomini lascia parlare i fatti, li interpreta con rigore, argomenta sulla base di una ricca documentazione della più varia estrazione. Il racconto è teso, chiaro, il ritmo degli eventi è incalzante, così la tragedia di quegli giorni lontani si fa attuale, aiutato naturalmente il lettore marchigiano dalla familiarità dei luoghi e talvolta dei nomi delle persone citati. (Un suggerimento per la prossima edizione: aggiungere una cartina delle Marche con l’indicazione dei luoghi più significativi e con l’augurio che il libro, che sta avendo già un buon riscontro, varchi i confini del pubblico regionale). Impossibile il riepilogo di una ricerca così ampia e dettagliata, tentiamo di fissare alcuni risultati di fondo: i caratteri salienti della Resistenza nelle Marche, il suo sviluppo, i suoi problemi non differiscono sostanzialmente dai caratteri della Resistenza ”maggiore” (cioè maggiormente conosciuta). Le più consistenti diversità discendono dalla durata dell’occupazione tedesca. Nel nord sette-otto tragicimesi in più. Le Marche inoltre non hanno conosciuto l’azione partigiana nelle città, che d’altra parte in alcune regioni e nelle maggiori metropoli si è sviluppata con grandi difficoltà soprattutto nel secondo anno di occupazione tedesca. E ancora l’attendismo dei militari badogliani che aveva dalla sua la maggiore vicinanza del fronte e la pretesa imminenza dell’arrivo degli alleati. Infine la notevole presenza dei campi di prigionia determina anche una partecipazione più massiccia di stranieri, soprattutto slavi, all’attività delle bande armate. Dal lavoro di Giacomini emergono, però, i tratti comuni che legano la Resistenza marchigiana a quella nazionale. In primo luogo il carattere spontaneo delle prime reazioni anti tedesche nel clima determinato dall’8 settembre. Il disastro dello stato (re, governo, apparato militare) investe le marche come tutta l’Italia centrale e settentrionale, consegnata indifesa, confusa, disorientata ai tedeschi.

I fatti di Ascoli (settembre 43) ci dicono di come un esercito senza ufficiali superiori potesse battere i tedeschi facendo numerosi prigionieri! In secondo luogo l’atteggiamento fascista che, se in un primo tempo sembra improntato al compromesso e alla conciliazione, a ppena percepita la durata dell’occupazione tedesca per la lentezza dell’avanzata alleata, rivela in tutto il suo squallore il suo carattere anti nazionale: il collaborazionismo fascista anche nelle Marche garegia con i più incattiviti reparti tedeschi per sadismo e odio non solo verso i resistenti ma anche verso la popolazione civile, avvertita ormai come ostile e amica dei partigiani. In terzo luogo, la necessità della Resistenza militare come autodifesa dei renitenti, come difesa dei civili e dei loro beni dalla violenza, dalle deportazioni e dal saccheggio nazifascista, come inibizione dell’attività spionistica a favore degli occupanti. Il caso di Monte San Martino è esemplare delle efficacia deterrente del massacro di spie, mentre non si contano i casi di generosità e di umanità dimostrate dai partigiani e pagate a duro prezzo.

L’idea diffusa dal revisionismo di una attività partigiana come provocazione irresponsabile verso i tedeschi e della violenza nazista come risposta automatica e prevedibile, è semplicemente una sordida falsità: come l’idealizzazione dei giovani repubblichini, fa parte di una “ modificazione del passato “ chi ha fatto breccia nelle direzioni più imprevedibili. Di più, l’autore dimostra in modo eloquente il disastro determinato dall’attendismo quando prevalgono le forze moderate del C.L.N. e, soprattutto, la casta militare badogliana tanto insipiente quanto codarda. In una seconda fase la Resistenza armata prende il significato di lotta di liberazione e, magari consapevole della necessità vitale per il paese di presentarsi al tavolo della pace non solo come complice di Hitler. Anche nelle Marche si apre un ventaglio di culture politiche e di motivazioni che vanno dalla posizione monarchico-badogliana (dissociazione tardiva dalle responsabilità del fascismo e conservazione di un ordine istituzionale e sociale che rischiava di essere travolto) fino all’opzione comunista per la quale l’azione partigiana costituiva il prodromo di un profondo rinnovamento della società italiana e dello sradicamento del fascismo e delle sue cause.

In quarto luogo la Resistenza militare nelle Marche presenta dei dati vicini alla media nazionale ma, se si considera la diversa durata dell’occupazione nazista, non inferiori ai dati delle regioni settentrionali in cui più aspra e cruenta è stata la lotta. Come ovunque la partecipazione ad azioni di guerra concerne una minoranza rispetto a quanti furono coinvolti nel sostegno più o meno diretto alle bande armate, nella protezione degli sbandati, degli evasi dai campi di prigionia e di smistamento per la deportazione in Germania. Non mancano azioni spettacolari, rappresaglie feroci e uso sistematico della tortura da parte dei nazifascisti, casi di giustizia partigiana e qualche raro tragico errore di valutazione. Come altrove, troppi gli aguzzini ed i complici, soprattutto le spie, sopravvissuti alla guerra. Sarebbe interessante seguirne le tracce nel dopo guerra, osservarne il reinserimento nell’Italia della ricostruzione ed i ruoli sociali acquisiti o recuperati. Con buona pace dei revisionisti la giustizia partigiana è stata troppo clemente, mentre la giustizia militare degli alleati e la cosiddetta epurazione presentano aspetti grotteschi storicamente documentati. Sulla giustizia militare italiana basti dire che la maggiore fonte di aggiornamento per gli studi più recenti (compreso il lavoro di Giacomini) è costituita dall’armadio della vergogna (una quantità di fascicoli occultati relativi ad inchieste insabbiate sui crimini nazifascisti). Il C.L.N. regionale, sotto l’occupazione tedesca, fu governo di fatto delle Marche così come avviene nella gran parte della repubblica sociale. In esso si confrontano le forze politiche protagoniste della vita politica nazionale del dopoguerra ed il Partito d’Azione, forte nel capoluogo regionale e profondamente legato sgli angloamericani. Malgrado ciò, solo dopo la cattura e l’assassinio di Gino Tommasi, figura luminosa di dirigente comunista, sostanzialmente egemone nella prima fase di vita del C.L.N., emergono le tensioni ed i contrasti tra comunisti ed azionisti che causeranno un affievolimento dell’autorità di quell’organismo politico di direzione regionale. Ne seguirà una crescita di autonomia dei C.L.N. provinciali ed una più marcata differenziazione tattica delle formazioni partigiane sul territorio. Spicca in questo nuovo contesto la maggiore efficienza militare (e del minor numero di caduti) del pesarese dove i comunisti hanno ormai radicato un partito di massa capace di organizzare la componente operaia che dalle rivendicazioni più elementari procede ormai verso obiettivi francamente politici. Non a caso in questa provincia abbiamo il maggiore apporto operaio alle formazioni partigiane. Anche questo tratto sembra conforme alle generali caratteristiche del movimento resistenziale nell’Italia settentrionale ove più forte è stata l’influenza dei comunisti. Tra i meriti dell’autore la freschezza e la vivacità del racconto: vicende minute, apparentemente inessenziali, contribuiscono a dipingere l’atmosfera psicologica, il vissuto quotidiano di quelle Marche contadine così diverse dall’oggi e così lontane dal giovane dei nostri giorni, anche quello proveniente dal più piccolo paese montano. È in fondo questa ricostruzione di mentalità, di motivazioni e di attese, che si vale di una interessante appendice di lettere e canzoni dell’epoca, che costituisce l’opera più difficile dello storico; Giacomini con la sua concretezza ci regala un quadro convincente di quegli umori e delle loro oscillazioni che determinano i comportamenti individuali e collettivi molto prima che si formino chiare coscienze politiche degli eventi turbinosi di quei giorni. In questo senso il lavoro di Giacomini, pur sostenuto da una robusta visione politica della trama dei fatti, è antideologico, immune dalla tentazione di correggere il passato per conferirgli magari una maggiore efficacia educativa. L’autore è troppo sereno e sicuro della lezione implicita degli eventi narrati , per cedere a quella tentazione. Così non ci vengono risparmiati gli episodi più sgradevoli o dolorosi che sembrano gettare un’ombra sul fronte partigiano. Emerge con la forza dell’oggettività, un confronto schiacciante sul piano politico e morale tra due mondi impegnati in un conflitto mortale. Questo libro è un altro macigno gettato su un piatto di quella bilancia truccata con la quale si vogliono equiparare le ragioni e il sangue dei combattenti di ambo le parti. Anche per questo motivo, purtroppo, quello di Giacomini è un libro necessario.