Opportunità e limiti nella costruzione di una sinistra di alternativa

*Responsabile Nazionale Prc Enti Locali

Una sinistra di alternativa è necessario costruirla, per cacciare Berlusconi, fare argine alla deriva liberale dei DS e riprendere il conflitto, come è necessario fare i conti con i suoi errori e ambiguità

Esiste uno spazio per la sinistra di alternativa in questa fase? Si tratta di un interrogativo che è in campo soprattutto dopo l’appuntamento promosso da il manifesto il 15 gennaio a Roma. Alla luce del successo di partecipazione che ha registrato l’iniziativa e di una sollecitazione venuta non solo dagli interventi ma anche dall’insieme dei partecipanti, si potrebbe rispondere che non solo tale spazio esiste, ma che vi è una grande domanda affinché esso sia rapidamente riempito. Nondimeno, per quanto riguarda il percorso da attivare, sussistono alcune difficoltà.

Le ragioni della necessità di una sinistra di alternativa

Ma andiamo per ordine. Innanzi tutto è evidente che il bisogno di una sinistra di alternativa è determinato e nasce da almeno tre processi che hanno caratterizzato l’ultimo decennio.
1. Il primo è rappresentato da un lento e progressivo scivolamento a destra della parte maggioritaria della sinistra italiana e in particolare dei Ds. Dalla liquidazione del PCI in poi, il nuovo soggetto politico ha sempre più sbiadito i suoi connotati, passando da una vocazione socialdemocratica ad un approccio tipico della sinistra liberale e, infine, assumendo un profilo genericamente democratico, al punto da proporsi di inglobare la componente più significativa del centro, e cioè la Margherita. Di questo spostamento – che mi pare sia divenuto per molti versi irreversibile, e indicativo a tale riguardo è il risultato quasi plebiscitario ottenuto da Fassino nei congressi dei Ds – lascia scoperto uno spazio enorme a sinistra, e anzi, per molti versi, pone il problema della “ricostruzione di una sinistra”.
2. Ma tale esigenza non è solo il frutto di una modificazione delle linee e delle culture politiche avvenuta nella maggiore forza della sinistra storica. In realtà, nel corso degli ultimi anni si è prodotto un fatto nuovo, e cioè la riscoperta del conflitto sociale: dallo sviluppo del movimento noglobal, alla ripresa davvero imponente della lotta operaia, per finire alla rinascita di una coscienza civica che non ha riguardato solo alcuni pezzi di intellettualità democratica. Questa effervescenza sociale, espressasi con livelli di maturità diversi, ha sollecitato una domanda di cambiamento che in molti casi ha trasceso l’orizzonte moderatamente riformista della parte maggioritaria delle forze della sinistra, ponendo la necessità di offrire agli stessi movimenti una sponda politica più avanzata.

3. Il terzo aspetto che giustifica oggi la nascita di un’area di sinistra critica è legato alla devastazione sul piano sociale e su quello democratico prodotta dalle politiche della destra. Il governo Berlusconi, nei suoi caratteri non solo socialmente regressivi ma anche nella sua cultura antidemocratica e nella sua gestione privatistica del potere, fa emergere un bisogno di alternativa non più rinviabile. Ciò si deve non solo al peggioramento complessivo della condizione sociale, ma anche ad un processo di apprendimento, che si è sviluppato a livello di massa, che ha fatto emergere, di fronte alle politiche antipopolari della destra, la consapevolezza della necessità di una svolta che vada oltre le stesse politiche dei precedenti governi di centro sinistra.

Ragioni forti, quindi, giustificano e rendono indispensabile la costituzione di un polo di sinistra critica. Peraltro, ciò si rende assolutamente necessario per rimuovere un punto di debolezza della coalizione di centro-sinistra e cioè l’impasse che incontra nella definizione di un programma unitario. Infatti, se comune è la consapevolezza della necessità di costruire un’ampia alleanza per battere le destre alle politiche, colpisce nella fase attuale l’approccio decisamente “politicista” del processo di ricomposizione unitaria in corso, tutto centrato su disquisizioni (ben poco interessanti) sul nome dell’alleanza, sulle forme di aggregazione interne alla stessa, su estenuanti trattative tese di volta in volta a determinare gli equilibri nella rappresentanza istituzionale, sull’assoluta centralità assunta dagli aspetti procedurali rispetto a quelli di merito. Quello che invece manca assolutamente è una posizione chiara sui contenuti di una possibile svolta di governo, rispetto ai quali all’opposto i segnali restano del tutto contraddittori. Si ha anzi la netta percezione che i successi elettorali ottenuti in questi anni dal centro-sinistra nelle elezioni amministrative, in quelle europee e nelle elezioni politiche suppletive si siano tradotti nella convinzione che la vittoria sia ormai a portata di mano, al punto da sottovalutare la necessità di una qualificazione dell’alleanza democratica. Una impostazione non particolarmente lungimirante, se si tiene conto della volontà di Berlusconi di modificare la legge elettorale e quella sulla par condicio.

Un percorso reso difficile da errori e ambiguità

Purtroppo permangono – inutile nasconderlo – alcune ambiguità anche fra le forze della “sinistra di alternativa”. In primo luogo, se è vero che nel corso di questi anni Verdi, Comunisti italiani e Rifondazione comunista si sono più volte schierati sulle stesse posizioni, anche in polemica con Ds e Margherita (si pensi alla questione della guerra), sarebbe sciocco non sottolineare come tali scelte siano state dettate anche da esigenze di visibilità e che non sono mancati alcuni scivolamenti (si pensi a quel discutibile colloquio riservato fra centro-sinistra e centro-destra sul rapimento delle due Simone). E soprattutto non è venuto meno, sotto traccia, una competizione tra queste forze. Non è un caso che ormai Rifondazione dialoghi assai più con Prodi che con Verdi e Pdci; che anche nell’assemblea del 15 gennaio il clima nei rapporti fra Rifondazione comunista e Pdci non sia stato fra i più sereni e, infine, che i Verdi rivendicano, ad ogni piè sospinto, l’intenzione di porsi al di fuori della classica dicotomia destra-sinistra. Insomma, a fronte di molte dichiarazioni di disponibilità, non ha fatto ancora seguito una effettiva volontà unitaria e non è emerso un significativo impegno a condizionare le forze moderate del centro-sinistra.
Ciò è anche il risultato di alcuni errori compiuti. Il primo è stato quello di aver puntato, in passato, sulla costruzione di una vera e propria forza politica, attraverso la fusione di queste soggettività con alcuni settori di movimento. In realtà non vi erano le condizioni, né oggettive né soggettive, per una simile operazione, e infatti l’operazione è fallita. Non a caso nell’assemblea del 15 gennaio, prendendo atto della situazione, si è proposto più modestamente, ma anche più realisticamente, un luogo in cui fare avanzare i processi senza ledere l’autonomia di ciascuno ricorrendo alla nota “camera di consultazione”. A questo primo errore se ne aggiunge uno più recente – e cioè il disinteresse dimostrato da alcune di queste forze all’apertura di un confronto limpido e determinato sui contenuti programmatici. Lo si può cogliere dalla vaghezza con cui nella mozione di maggioranza di Rifondazione comunista si affronta il tema del governo, proiettandosi verso un’alternativa di società, mentre, nel frattempo, si mettono in secondo piano le difficoltà che si risontrano nella definizione di una proposta comune della coalizione democratica (basterebbe fare la rassegna delle dichiarazioni rese in questi mesi dai più noti esponenti del centro-sinistra che evidenziano punti di vista anche molto distanti su questioni fondamentali).
Ma vi è qualche cosa di più inquietante, ed è rappresentato da alcune scelte che limitano l’autonomia di azione delle forze che si richiamano alla sinistra di alternativa.. Così, è noto che Rifondazione comunista è entrata formalmente nella GAD (senza peraltro che vi sia stata alcuna intesa anche minima sulla funzione e sugli obiettivi della stessa), che sarebbero in discussione l’attribuzione di alcuni ministeri e che la soluzione per dirimere divergenze su candidati o su punti programmatici sarebbe stata trovata nel ricorso alle primarie. Il fatto poi che ci si renda disponibili a utilizzare questo strumento per legittimare il leader – peraltro già individuato dalla coalizione nella figura di Prodi – è di per sé assurdo, così come l’adesione acritica di varie forze della sinistra di alternativa. Quando affrontiamo il problema della sinistra di alternativa dobbiamo allora essere consapevoli che – è l’essenza della tesi che voglio sostenere – accanto alle numerose opportunità che le si aprono in questa fase, essa ha comunque di fronte a sé il rischio di diventare subalterna ad un disegno politico e istituzionale moderato.
Sorge allora un interrogativo quasi obbligatorio: come si può dare oggi corpo ad una iniziativa politica unitaria a sinistra in grado di contrastare propensioni moderate?
Tenterò, brevemente, di affrontare la questione partendo da diversi punti di vista.

Alcuni brevi suggerimenti per rendere credibile una sinistra di alternativa

a) Innanzi tutto la costruzione di una sinistra di alternativa in grado di spostare l’asse politico dell’intera coalizione dovrebbe fondarsi su un presupposto: l’assunzione di un punto di vista antiliberista da parte di soggetti autonomi. Non ha senso quindi riproporre il tema ormai stantio di un “nuovo contenitore” o addirittura di un “nuovo soggetto politico”, che a questo punto non solo si scontrerebbe con la volontà di ciascuna forza a preservare la propria autonomia, ma apparirebbe come un diversivo rispetto all’esigenza primaria di far emergere un progetto comune per condizionare da subito un processo che rischia di approdare ad un neoliberismo dal volto umano non sostanzialmente dissimile da quello praticato dai governi del centro-sinistra..
b) Ciò premesso, il requisito essenziale di una possibile sinistra di alternativa è la costruzione di una posizione autonoma rispetto a quella della sinistra moderata, fondata sulla capacità di definire una propria piattaforma e un adeguato percorso di iniziative sociali e politiche. Perché ciò sia possibile occorre non solo affrettare i tempi della definizione di tali proposte – l’iniziativa del manifesto è stata a tale proposito una vera boccata d’ossigeno – ma anche costruire uno schieramento sufficientemente coeso al fine di gestire un rapporto non subordinato con la sinistra moderata. I fatti purtroppo contraddicono spesso questa esigenza. È del tutto evidente, infatti, che la competizione fra le stesse forze della sinistra di alternativa si gioca il più delle volte proprio attraverso il rapporto privilegiato con le singole componenti moderate della coalizione. Le convergenze fra Prodi e Rifondazione comunista sulle primarie non si spiegano anche in questo modo?
c) Ma perché ciò sia possibile occorre quantomeno che sia condivisa un’idea di fondo. e cioè che un’alternativa di governo alle destre non si costruisce senza dare un segnale di discontinuità nei contenuti delle politiche, e che ciò inevitabilmente impone di eliminare quanto di dannoso ha prodotto il governo delle destre e di modificare l’orientamento delle politiche già sperimentate dai governi del centro-sinistra. In poche parole, o siamo portatori di un’istanza di cambiamento che fuoriesca dagli schemi ormai consolidati del pensiero unico o rischiamo di assumere il ruolo di soggetti complementari alle componenti moderate, senza porsi seriamente il problema di una vera svolta politica.
d) La capacità di resistere alle spinte che provengono dai settori moderati non può avvenire nel vuoto pneumatico di un confronto limitato ai soli soggetti politici. Ciò significa che la relazione con i movimenti, ed anzi un loro pieno coinvolgimento nella predisposizione di una proposta, non è solo una necessità per modificare i rapporti di forza a sinistra, ma anche per impedire che le stesse forze della sinistra critica scivolino verso una subalternità sostanziale, dettata dall’esigenza di mettere al primo posto la costruzione della coalizione a prescindere dai contenuti.

Tutto ciò implica l’assunzione di alcuni orientamenti generali

Il primo si sostanzia nella non negoziabilità di alcune scelte, e mi riferisco in primo luogo al rifiuto della guerra, anche nella sua versione cosiddetta “umanitaria”, con tanto di investitura internazionale. Peraltro nessuna delle guerre che si sono avvicendate nel corso degli ultimi anni può definirsi propriamente umanitaria. Si è trattato, di fatto, di guerre imperialiste che utilizzando principi come quelli dell’“autodeterminazione dei popoli” hanno puntato ad ampliare l’area d’influenza politica ed economica di alcune super potenze e, in particolare, degli Stati Uniti. Ciò è valso ieri per il Kosovo, vale oggi per l’Iraq, varrà domani per l’Iran o per qualche altro paese.
In secondo luogo, la nuova alleanza democratica non può rendersi complice ex post di provvedimenti legislativi antidemocratici o di minaccia ai diritti sociali. Ciò significa l’eliminazione di gran parte della produzione legislativa del governo di centro-destra: dall’approvazione delle leggi ad personam all’eliminazione di quelle che hanno determinato il peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari (il provvedimento sulle pensioni, la legge 30, il contenimento dei salari, la riduzione dei trasferimenti alle autonomie locali, la legge Moratti, quella Bossi-Fini, ecc.)
È necessario, infine, andare oltre il semplice ripristino della situazione ex ante il governo Berlusconi, introducendo tangibili elementi di svolta.
Alcuni indirizzi paiono difficilmente eludibili. Essi attengono a: un orientamento di politica economica teso a rendere più flessibile e socialmente più equo il “patto di stabilità”; una politica delle entrate espansiva che non si limiti ad agire sul (seppur necessario) recupero dell’evasione fiscale, ma che colpisca da subito i grandi patrimoni; una protezione reale dei salari dall’inflazione (con meccanismi automatici di adeguamento); un ruolo determinante della programmazione pubblica e anche dell’intervento diretto in economia dello Stato; ed infine una valorizzazione della partecipazione a partire dalle consultazioni obbligatorie dei lavoratori sui contratti.

Bisogno di alternativa e logiche bipolari

So bene che questi indirizzi possono non rivelarsi sufficienti per la definizione di un programma puntuale di governo ma certamente costituiscono elementi qualificanti, sulla base dei quali un’intesa fra tutte le forze democratiche può assumere un profilo innovatore e rianimare il popolo della sinistra. È sulla base di una verifica intorno a queste posizioni che una sinistra di alternativa può scegliere la sua collocazione all’interno di una alleanza democratica. Devo confessare che non sono pervaso da un grande ottimismo circa la capacità delle forze di tale sinistra di portare a termine questo compito, perché esse mi paiono molto attratte da convenienze individuali, spesso non adeguatamente determinate a condurre una battaglia politica, e propense spesso a operazioni tutte tatticiste.
A titolo di esempio pensiamo al balletto, non certo entusiasmante, sulle “primarie”. Recentemente il segretario di Rifondazione comunista ha dichiarato che a suo avviso prima vengono le primarie e poi i programmi. Non solo, ma già da qualche mese è stato sostanzialmente accettato il “principio di maggioranza” quale modalità per decidere non solo delle candidature ma perfino essenziali punti programmatici, come nel caso della guerra. Oggi, dopo la straordinaria affermazione di Niki Vendola in Puglia, vi è un’ulteriore spinta in Rifondazione comunista (ma non solo) ad assumere questa particolare modalità di decisione – le primarie – come una pratica di democrazia di massa che funga da antidoto all’invasività dei partiti. Non si coglie, così, la funzione del tutto complementare ad un modello politico istituzionale presidenzialistico-maggioritario, fondato sulla spettacolarizzazione e sulla personalizzazione della politica che le primarie oggettivamente assumono.
Ma, soprattutto, il concetto che mi preme sottolineare è che questo orientamento collide, di fatto, con la costruzione di una sinistra di alternativa che si ponga il problema di spostare l’asse politico di una coalizione democratica. La ragione è semplice. Le primarie rendono protagonista una parte di opinione pubblica che viene orientata sulla base, da un lato, dell’iniziativa di partiti e di lobbies e, dall’altro, delle capacità comunicative dei concorrenti in gioco. Lo spazio per un vero scontro di idee, in verità, si fa sempre più evanescente, anche perché, normalmente, è il candidato in quanto tale che condiziona poi lo stesso programma della coalizione. Vi è il rischio, quindi, che utilizzando lo strumento delle primarie, nell’illusione di superare il condizionamento delle forze politiche, alla fine diventi pressoché automatica l’assunzione del sistema bipolare, maggioritario, e presidenzialista.
Occorre, quindi, pensare ad un percorso diverso, che lasci aperta la possibilità del superamento del sistema bipolare. E ciò è possibile appunto a due condizioni: che si restituisca la sovranità delle decisioni al confronto politico e non a meccanismi plebiscitari, e che tale confronto veda a sinistra appunto una dialettica fra posizioni politiche autonome, che i soggetti sociali entrino in questo contesto con un loro contributo autonomo e valorizzando il loro ruolo specifico che è quello di promuovere il conflitto sociale per determinare processi di cambiamento.