Obama, oltre l’immagine

ALCUNE DIRETTRICI FONDAMENTALI ISPIRANO LA COALIZIONE CHE SOSTIENE IL NUOVO PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, DI CUI SONO GARANTI IL PENTAGONO, IL DIPARTIMENTO DI STATO, IL TESORO, IL COMMERCIO, IL CONSIGLIO DI SICUREZZA. LE PRIORITÀ DI OGNUNO DI ESSI CONFIGURANO L’AGENDA OBAMA

– Thierry Meyssan non vi si vede più in Francia, cosa vi è successo?

Vivo attualmente in Libano. Dopo l’arrivo al potere di Nicolas Sarkozy, sono stato direttamente minacciato da alti funzionari francesi. Amici al ministero della difesa, mi hanno informato che gli Stati Uniti mi considerano un pericolo per la loro sicurezza nazionale. Nel quadro della NATO, hanno chiesto ai servizi integrati dell’Alleanza di neutralizzarmi ed alcuni francesi sembravano volerlo fare con zelo. Ho dunque preso la decisione non soltanto di lasciare la Francia, ma l’area NATO. Dopo avere errato da Caracas a Damasco passando per Mosca, mi sono fermato a Beyrouth dove mi sono messo al servizio della resistenza.

– Su cosa lavorate attualmente?

Lavoro su un libro d’analisi dell’amministrazione Obama, le sue origini, la sua composizione, i suoi progetti, ecc. Una prima edizione, limitata ad alcune copie, sarà indirizzata ad alcuni leader il mese prossimo. Quindi un’edizione per il grande pubblico sarà pubblicata in diverse lingue in autunno. Vivo esclusivamente della mia penna e collaboro a giornali e riviste nel settore della politica internazionale.

– Quale analisi fate dell’evoluzione della politica americana?

Oggi vi è un consenso relativo sulla constatazione del fallimento della politica di Bush, il superdispiegamento militare, le conseguenze nocive dell’unilateralità nelle relazioni con gli alleati e la perdita della leadership USA nel mondo. A partire dal 2006, James Baker e Lee Hamilton, che presiedevano una commissione creata dal congresso per valutare la strategia in Iraq, hanno militato a favore di un ritorno ad una posizione più prudente. Hanno raccomandato un ritiro dall’Iraq ed un cauto ravvicinamento con i paesi confinanti (Siria, Iran) indispensabile per evitare che la partenza dei militari si muti in una rovina, come in Vietnam. Hanno fatto cadere la testa di Donald Rumsfeld, ed hanno imposto un membro della loro commissione, Robert Gates, a succedergli. Ma se hanno congelato la politica “di rimodellamento del grande Medio Oriente”, non sono riusciti a fare dimettere George Bush e Dick Cheney; ragione per cui è stato necessario organizzare una rottura con Barack Obama. In realtà Obama era stato lanciato nella corsa al senato federale ed alla presidenza fin dal 2004. Ha fatto la sua entrata in scena in occasione della convenzione democratica per il conferimento del mandato a John Kerry. Non era che un parlamentare oscuro dell’assemblea dell’Illinois, ma era già inquadrato e guidato da Abner Mikva e dai suoi uomini (Jews for Obama) e sostenuto dalla finanza anglosassone (Goldman Sachs, JP Morgan, Excelon…). Le multinazionali si preoccupano di perdere quote di mercato a causa dell’aumento dell’antimperialismo (Business for Diplomatic Action), i partigiani della Commissione Baker-Hamilton, i generali in rivolta contro le avventure sregolate dei neo-conservatori, ed altri ancora, si sono gradualmente uniti a lui. […] Nel sistema oligarchico statunitense, c’è un partito unico con due correnti: i repubblicani ed i democratici. Giuridicamente, non formano entità distinte. Così, sono gli stati che organizzano le primarie, non gli pseudo-partiti. Non c’è dunque nulla di sorprendente se Joe Biden e Barack Obama sia entrambi vecchi amici di John McCain. Così McCain, che presiede l’istituto repubblicano internazionale, un organo del dipartimento di Stato incaricato di corrompere i partiti di destra nel mondo; mentre Obama lavora nell’ambito dell’istituto democratico nazionale, presieduto da Madeleine Albright ed incaricato della corruzione dei partiti di sinistra. Insieme, Obama, McCain ed Albright hanno partecipato alla destabilizzazione del Kenia, nel corso di un’operazione della CIA per imporre un cugino di Obama come primo ministro. Tutto ciò per dire che Obama non viene dal nulla. È uno specialista dell’azione segreta e della sovversione. È stato reclutato per fare un lavoro ben preciso. Se gli obiettivi della coalizione eteroclita che lo sostiene sono globalmente gli stessi, non esistono consensi nel dettaglio tra le sue componenti. Questo spiega la battaglia incredibile alla quale hanno dato luogo le nomine, e l’aspetto sempre equivoco dei discorsi di Obama.

Quattro poli sono in battaglia:

Il polo della difesa, attorno a Brent Scowcroft, e ai generali oppositori di Rumsfeld e certamente di Robert Gates, oggi il vero padrone a Washington. Raccomandano la fine della privatizzazione dell’esercito, un’uscita “onorevole” dall’Iraq, ma la prosecuzione dello sforzo statunitense in Afganistan, per non dare l’impressione della rotta, e infine un accordo con gli iraniani ed i Siriani. Per loro, la Russia e la Cina restano concorrenti che occorre isolare e paralizzare. Affrontano la crisi finanziaria come una guerra durante la quale perderanno dei programmi d’armamento e diminuiranno le dimensioni delle forze armate, ma devono mantenere una superiorità relativa. Poco importa se perdono in potenza, se restano i più forti. I dipartimenti del Tesoro e del Commercio, attorno a Tim Geithner e Paul Vo l c k e r, protetti da Rockefeller. Sono seguaci della Pilgrim’s Society (Mont Pélerin Society – – Società del Monte Pellegrino) e sono sostenuti dal Gruppo dei Trenta, dal Peterson Institute e dalla Commissione Trilaterale. Sono sostenuti anche dalla regina Elisabetta II e vogliono salvare allo stesso tempo Wall Street e City. Per loro la crisi è un duro colpo poiché i redditi delle oligarchie finanziarie sono in caduta libera, ma è soprattutto l’agognata occasione per concentrare il capitale e per fare ristagnare le resistenze alla globalizzazione. Sono obbligati a ridurre temporaneamente il loro tenore di vita per non suscitare rivoluzioni sociali, ma possono simultaneamente arricchirsi riacquistando infrastrutture industriali per un boccone di pane. A lungo termine, hanno il progetto di instaurare – non un’imposta mondiale sul diritto di respirare, sarebbe grossolano, ma una tassa globale sul CO2 ed una borsa dei diritti d’emissione, cosa che fornisce un ritorno, sembrando un discorso ecologico. Contrariamente al Pentagono, militano per un’alleanza con la Cina, soprattutto grazie al fatto che detiene il 40% dei buoni del tesoro USA, ma anche per impedire l’emergere di un blocco economico estremo-asiatico centrato sulla Cina, che si accaparri le materie prime africane.

IL CLAN DI HILLARY

Il polo del dipartimento di Stato attorno a Hillary Clinton, una cristiana fondamentalista, membro di una setta molto segreta, la Fellowship Foundation (detta “La Famiglia”). È il rifugio dei sionisti, l’ultima riserva dei neo-conservatori in via di estinzione. Raccomandano un sostegno incondizionato ad Israele, con una punta di realismo, poiché sanno che l’ambiente è cambiato. Non sarà più possibile bombardare il Libano come nel 2006, poiché Hezbollah dispone ora di armi antiaeree efficienti. Non sarà più possibile penetrare a Gaza, come nel 2008, poiché Hamas ha acquisito i missili anticarro Kornet. E se gli Stati Uniti hanno difficoltà a pagare le fatture di Tel- Aviv, è poco probabile che i Sauditi possano compensarvi a lungo termine. Occorre dunque guadagnare tempo, se è il caso con alcune concessioni, e trovare un’utilità strategica ad Israele. La principale missione della signora Clinton è migliorare l’immagine degli Stati Uniti, neanche facendo relazioni pubbliche (cioè giustificando la politica di Washington), ma con la pubblicità (cioè elogiando le qualità reali o immaginarie del modello USA). In questo contesto, i sionisti dovrebbero spingere il progetto Korbel-Albright-Rice per la trasformazione dell’ONU in una vasta tribuna impotente e di creazione di un’organizzazione concorrente, la Comunità delle Democrazie, sostenuta dal suo braccio armato, la NATO.
Attualmente, si sono occupati di sabotare la conferenza di Durban II che, anziché celebrare “la sola democrazia del Vicino-Oriente”, ha denunciato il regime di segregazione al potere a Tel-Aviv. Con il segretario di Stato aggiunto, James Steinberg, vedono la crisi finanziaria come un Blitzkrieg. Ci sarà molto danno, ma è il momento di distruggere i concorrenti ed prendere di sorpresa le leve di comando. Il loro problema non è accumulare ricchezze con acquisti e fusioni, ma imporre i loro uomini ovunque nel mondo, nei ministeri delle finanze ed alla testa degli istituti bancari.

Infine il Consiglio nazionale di sicurezza su cui esercita influenza Zbignew Brzezinski, che fu il professore di Obama alla Columbia University. Il consiglio dovrebbe abbandonare il suo tradizionale ruolo di coordinamento per diventare un vero centro di comando. È diretto dal Generale Jones, che è stato comandante supremo della NATO ed ha battezzato l’Africa Command. Per loro, la crisi finanziaria è una crisi della strategia imperiale. È l’indebitamento faraonico sottoscritto per finanziare la guerra in Iraq che ha precipitato il crollo economico degli Stati Uniti. Contrariamente al 1929, la guerra non sarà la soluzione, è il problema. Occorre dunque condurre tre azioni simultanee: forzare i capitali a rientrare negli Stati Uniti distruggendo i paradisi fiscali concorrenti e destabilizzando le economie dei paesi sviluppati (come è stato provato in Grecia); mantenere l’illusione della potenza militare USA proseguendo l’occupazione dell’ Afganistan; e soffocare le alleanze nascenti tra Siria-Iran-Russia e, soprattutto, Russia-Cina (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai). Il Consiglio privilegerà ogni forma d’azione clandestina, per dare al Pentagono il tempo necessario per la sua riorganizzazione. Obama cerca di soddisfare tutte queste spinte, da qui la confusione attuale (inclusa quella concernente le relazioni con Cuba: prima blandita con alcune aperture, poi reinserita nella lista dei “paesi che sostengono il terrorismo” – ndr). […]

– Ormai siete molto conosciuto in Russia, dove avete raccolto quasi 30 milioni di telespettatori in occasione della trasmissione sull’11 settembre. Come valutate la situazione della Russia?

Paradossalmente, nonostante la vittoria militare e diplomatica in Georgia, la Russia attraversa un passaggio difficile. Dopo la guerra del Caucaso, le banche anglosassoni hanno incoraggiato gli oligarchi a punire Mosca, muovendo i loro capitali verso Ovest. Quindi, gli anglosassoni hanno spinto i dirigenti ukraini a tradire il loro interesse nazionale e tagliare i gasdotti in occasione dei negoziati sui prezzi. Il Kremlino, che credeva di essere padrone del gioco e d’avere l’iniziativa di questi tagli, s’è fatto intrappolare. La perdita del fatturato di due mesi ha divorato le riserve monetarie. Il tutto ha causato una caduta rovinosa del rublo, mentre la crisi mondiale fa abbassare il prezzo delle materie prime e dunque i redditi della Russia. Medvedev e Putin hanno valutato questa situazione di debolezza con molto sangue freddo. Conoscono i vantaggi di cui dispongono…Sono convinti che gli Stati Uniti non si riprenderanno dalla crisi, ma si porranno, a medio termine, come il Patto di Varsavia e l’URSS degli anni 89-91. Sperano dunque di invertire i ruoli. Nonostante il periodo di vacche magre, equipaggiano le loro forze armate con nuovi materiali, ed aspettano senza agitarsi il crollo dell’Ovest. Pubblicamente o di nascosto, secondo i casi, riforniscono con le armi più recenti disponibili, tutti gli avversari degli Stati Uniti, dal Medio-Oriente al Venezuela. Economicamente, hanno fatto la scelta di costruire rotte commerciali verso la Cina, più che verso l’Europa occidentale, di cui osservo con rammarico il controllo ostinato degli anglosassoni. Questa situazione può avere importanti conseguenze sul piano interno, dove si affrontano la vecchia e la nuova generazione. I vecchi hanno un forte tropismo americano, mentre i giovani mostrano patriottismo.

RUSSIA E CINA

Paradossalmente, le elite di San Pietroburgo sono storicamente favorevoli ad un ancoraggio europeo della Russia, al contrario dei Moscoviti, la cui visione è più eurasiatica. Ma Putin e Medvedev, tutti due di San Pietroburgo, condividono questa visione eurasiatica. Sognano la Russia come protettore dell’Islam, che è entrata, come osservatore, nell’Organizzazione della Conferenza Islamica. Pur valorizzando il patriarcato ortodosso, hanno messo dei musulmani in numerosi posti di alta responsabilità. Anche se il trauma dello smantellamento della Jugoslavia e delle due guerre di Cecenia resta alto, e l’onda del razzismo che ne è seguita non è ancora controllata, la Russia ha fatto una scelta di civiltà ed ha intrapreso il cammino della sintesi tra l’Europa e l’Asia. Se la Russia riesce ad attraversare, nei prossimi anni, tutte le gravi turbolenze internazionali senza esserne troppo influenzata, si troverà nella posizione dell’arbitro in un mondo multipolare.

– Continuiamo questo interessante giro del mondo geopolitico con la Cina… Ci interroghiamo sulla loro strategia. Perché questi acquisti massicci di buoni del tesoro USA?

Pechino ha preso l’iniziativa di un ravvicinamento con Mosca attraverso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Molti contenziosi sono stati saldati. In cambio, i Russi hanno accettato di vendere ai cinesi l’energia ad una tariffa preferenziale ed hanno chiesto un controllo più rigoroso dell’emigrazione cinese in Siberia. La logica avrebbe voluto che i due grandi si rafforzino mutuamente rifiutando il dollaro come valuta di scambio internazionale.

Ma a Pechino ripugna a scegliere il suo campo e non vuole irritare Washington. I cinesi conducono una strategia morbida di rafforzamento delle loro alleanze globali. Ciò mi sembra alquanto strano, poiché ciò potrebbe costare loro caro. Gli USA potrebbero trascinarli nel loro prevedibile crollo. En passant, mi permetta di dirle della mia irritazione di fronte alla stupida denunzia sulle violazioni dei diritti dell’uomo in Cina. Sono senza dubbio possibili, ma tali diritti nel complesso sono assai meglio rispettati da Pechino che da Washington, il che non è una scusa per non migliorarsi, ma relativizza queste accuse. E poi bisognerebbe smetterla di dire che il Tibet è stato annesso dalla Cina nel 56, mentre esso è stato semplicemente ripreso dai comunisti cinesi ai cinesi di Chang Kaishek […].

Da una intervista a Thierry Meyssan, 14 aprile 2009.

Fonte : www.voltairenet.org Traduzione di Al.La., parzialmente integrata dalla nostra redazione

* Thierry Meissan, giornalista francese e attivista per i diritti degli omosessuali, deve la sua notorietà al suo libro (La grande menzogna) sugli attentati dell’11 settembre a New York, in cui contesta le tesi ufficiali dell’Amministrazione Bush. Su pressione degli USA e della NATO è stato costretto a lasciare la Francia dopo la svolta filo-americana dell’amministrazione Sarkozy.