No, non è l’inquisizione, ma ci assomiglia

Direttivo Cgil:

Si manifesta esplicitamente e teatralmente l’insofferenza e l’ostracità di questa maggioranza verso ogni forma di dissenso interno.

Nel documento conclusivo di decide a maggioranza (col voto contrario di Fiom, Rete28aprile e Lavoro-Società) di avviare una verifica interna ed a tutti i livelli per l’individuazione delle responsabilità formali e politiche di chi, in dissenso col capo, ha sostenuto il NO all’accordo del 23 luglio.

No, non è l’inquisizione, ma ci assomiglia ……..

Tutto come da copione.

C’è un gruppo dirigente che ha deciso di voler disporre totalmente ed incondizionatamente di una organizzazione che, essendo movimento di massa e non “partito”, è invece, per sua natura plurale.

E’ ora di finirla (pensano) che un gruppo dirigente sia costretto a rappresentare, a rendere conto, ed a garantire nella pratica di tutti i giorni la linea che un democratico congresso decide. Questo gruppo dirigente ambisce a essere riconosciuto come “leader” ossia proprietario dell’organizzazione che dirige e non semplicemente il rappresentante di decisioni che solo una partecipazione democratica può definire.

Ma una storia come minimo centenaria, una cultura antica che ha formato generazioni di dirigenti sindacali, una organizzazione di massa, democratica, partecipativa, che è cresciuta con la partecipazione, col sudore (e col sangue) di tanti militanti e lavoratori non può essere cambiata, nella forma e nella sostanza, se non per via coercitiva.

Così succede che si apre una trattativa senza una piattaforma discussa e votata dai lavoratori

Così succede che si conduce una trattativa in condizioni dove è sempre più evidente che le possibili conclusioni sono lontane anni luce dalle stesse parole d’ordine di questo gruppo dirigente, senza che questo senta la necessità di fermarsi un attimo a fare una verifica tra i lavoratori e nei vari livelli dirigenti della sua organizzazione.

Così succede che si arriva a firmare un accordo (tanto brutto che questo stesso gruppo dirigente lo firma con vistoso imbarazzo e titubanza) senza alcuna consultazione di mandato dei lavoratori e dei vari livelli dirigenti dell’organizzazione.

Ma questo gruppo dirigente aveva già deciso di firmare questo accordo, non già per il merito sindacale dello stesso, ma perchè così si poteva partecipare a pieno titolo a quel processo di trasformazione della società in senso neocorporativo a cui già aderivano le altre organizzazioni sindacali (Cisl-Uil), le forze politiche liberiste (presenti sia nel centrosinistra che nel centrodestra) e la Confindustria.

Certo un passaggio non facile, sopratutto se pensiamo che questo gruppo dirigente è stato per anni impegnato a contrastare questo processo, anche spinto dalla mobilitazione della sua base, contro l’abrogazione dell’articolo 18, contro il “Patto per l’Italia”, contro la Legge 30, difendendo la Fiom costretta a subire accordi separati proprio per difendere la coerenza con gli obiettivi confederali.

Un passaggio non facile quindi che poteva realizzarsi solo escludendo dalla gestione della trattativa che ha portato all’accordo del 23 luglio sia la partecipazione dei lavoratori che la discussione con i vari livelli dirigenti dell’organizzazione. Una gestione democratica e partecipativa gli avrebbe legato le mani. Cosa inaccettabile perchè era grande l’urgenza di questo gruppo dirigente di potersi schierare dentro al nuovo contesto neocorporativo.

Sappiamo che il referendum ha infine approvato l’accordo, ma sappiamo anche come è stato gestito questo referendum.

Ai lavoratori non è arrivata una corretta informazione ma solo messaggi e pressioni di tipo propagandistico, paventando scenari disastrosi e pericolosi in caso di non approvazione.

Si è fin dall’inizio attaccata ogni voce critica che su quell’accordo, accusata di perseguire progetti destabilizzatori, decisi e complottati all’esterno, da oscure operazioni politiche.

Si è con determinazione voluto presentare un risultato finale esageratamente celebrativo del consenso all’accordo la cui reale consistenza potrà essere verificata solo quando e se saranno resi pubblici i dati disarticolati per azienda e seggio esterno, una consistenza comunque ridimensionabile se verificata solo sui lavoratori attivi (cioè sugli unici il cui voto può essere certificato e verificato)

Ma tutto questo non basta.

Questo gruppo dirigente vuole il controllo totale dell’organizzazione ed usa teatralmente il risultato referendario come una clava, come un 11 settembre sindacale, per poter dire e giustificare che è ora di farla finita con la dialettica interna all’organizzazione.

La linea è una sola (quella decisa di volta in volta dalla segreteria nazionale e non quella congressuale) e chi la critica è fuori dall’organizzazione. Saranno tollerate solo le manifestazioni critiche che si esprimono sottovoce nei sottoscala della sede sindacale o nelle battute da bar, ma non saranno tollerate quelle che verranno rese esplicite anche all’esterno delle sedi sindacali. Nessuno, infatti, deve sapere che il capo non ha il completo controllo dell’organizzazione e che anche al suo interno non gli mancano le critiche.

Alla Fiom viene quindi contestato l’obbrobrietà del fatto che un pezzo importante della organizzazione abbia permesso al suo direttivo nazionale di discutere e di esprimere un parere diverso da quello sostenuto dal “leader” maximo. Alla Fiom viene quindi chiesto se intende continuare così oppure se accetta di smetterla di contraddire sempre il vertice confederale.

A Lavoro e Società si chiede se voglia rimanere o no in quella maggioranza con cui ha firmato un patto precongressuale che le ha permesso di mantenere il suo apparato senza dover passare per una verifica congressuale, minacciandola di considerare decaduto quel patto con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe in termini di posti in apparato in meno.

Alla Rete28 aprile, semplicemente, si chiede di togliersi dai coglioni, preannunciando un ricorso formale alla commissione di garanzia con l’accusa di “tradimento” per aver contestato evidenti e circonstanziate incongruità nell’applicazione delle regole che dovevano governare il referendum e per aver preannunciato che continuerà la sua azione critica verso la svolta imposta alla Cgil dal suo attuale gruppo dirigente.

Il sindacato è per sua natura un organismo di massa, dove non esistono verità sacrali ed immutabili, e dove l’unico riferimento della discussione è “come meglio rappresentare il quadro dei bisogni espresso dai lavoratori e dalle loro famiglie”. Per sua natura quindi il sindacato è una struttura aperta e partecipativa che si manifesta attraverso lo svolgimento di confronti tra opzioni diverse legittimate dall’essere espressioni di posizioni e proposte che derivano dal confronto con la propria base.

Lo stesso Statuto della Cgil permette non solo il diritto alla critica ma anche il diritto di questa ad organizzarsi ed a rendersi visibile anche attraverso l’utilizzo dei mezzi e delle strutture disponibili nell’organizzazione.

In un sindacato normale quindi tutte le posizioni hanno pari dignità e solo il voto dei lavoratori, nei congressi e nelle consultazioni, può produrre una sintesi tra queste diverse posizioni, dando loro un peso ed una misura.

La maggioranza governa quindi ma non può impedire ad una minoranza il diritto di continuare ad esistere ed a rappresentare il diverso sentire che emerge dai luoghi di lavoro.

L’alternativa è infatti una specie di centralismo democratico nel quale una maggioranza accetta il dissenso interno ma non ne tollera il suo essere visibile.

Il Direttivo Cgil conclusosi ieri ha deciso che la Cgil non è più un organismo di massa ma una struttura nella piena disponibilità del suo gruppo dirigente. Una vera rottura con la tradizione della Cgil ed una omologazione al modello Cisl e Uil.

Si è quindi aperta una grossa battaglia il cui esito sarà la riconquista di un modello sindacale contrattuale e rivendicativo oppure la definitiva trasformazione dell’organizzazione sindacale in una organizzazione autoreferenziale al suo gruppo dirigente.

Fiom, Lavoro e Società, Rete28aprile sono realtà e percorsi distinti e diversi ma rappresentano oggi, tutti assieme, l’unico fronte di resistenza alla deriva della Cgil verso un’organizzazione centralistica e ordinata non già attorno ad una piattaforma discussa e condivisa ma attorno al suo gruppo dirigente ed al ruolo che questo vuole giocare nelle nuove relazioni neocorporative.

Pur nella loro diversità possono rappresentare i soggetti di una piattaforma comune in difesa della libertà di critica e della difesa di un modello sindacale basato sulla partecipazione e su una democrazia che si fonda nel diritto dei lavoratori di decidere sulle piattaforme e sugli accordi.

Una battaglia che ha il peso di una discussione congressuale che in qualche modo dovrà trovare forme e percorsi di espressione comune. L’alternativa è il disastro, è la fine definitiva del sindacalismo contrattuale e partecipativo.

24 ottobre 2007

COORDINAMENTO RSU