Nelle scelte congressuali, non sottovalutare la gravità del momento storico che stiamo vivendo

Ringrazio per l’ospitalità sulla Tribuna Sindacale de “L’Ernesto” e provo a spiegare perché ho scelto il 1° documento.

Credo che una cosa fondamentale ci divida dai compagni che sostengono il 2° documento: il giudizio sulla gravità del momento storico che stiamo vivendo. Ho sentito i compagni del 2° paragonare il momento attuale ad altri passati, dal secondo dopoguerra in poi. Messaggio: questa non è la prima né la più grave delle fasi che abbiamo attraversato; non c’è pertanto ragione di mettere tra parentesi le differenze di linea; anzi, questo è un riflesso condizionato di difesa e arroccamento che ci spinge a non correggere le nostre storture.

Dissento profondamente. Questa fase storica non è paragonabile ad altre che abbiamo vissuto nel recente passato, bisogna risalire al 1929 per trovare una gravità sufficientemente comparabile. E dal ’29 si uscì con la IIa guerra mondiale (tocchiamo ferro…). Ne consegue che siamo in una di quelle torsioni della Storia in cui bisogna avere il coraggio e il buon senso di badare “ai fondamentali”. In questo momento la Cgil rappresenta un elemento di resistenza o di arretramento per la classe dei lavoratori? La suddetta classe dei lavoratori esprime un livello di consapevolezza alto o basso? Esistono differenze di linea apprezzabili al punto da giustificare due documenti contrapposti e tra loro alternativi?

Abbozzo alcune risposte, con una piccola premessa che vale per le questioni sindacali così come per quelle politiche. In momenti così difficili (almeno per chi si professa comunista) ogni opzione proposta da compagni in buona fede andrebbe vista per quello che è, cioè un tentativo di uscire dal baratro in cui siamo precipitati, dove è soprattutto la forza dei nostri avversari e del ciclo storico avverso a determinare le nostre difficoltà. Rispetto a questo, le diverse soluzioni proposte sono delle varianti più o meno efficaci. Ma mi pare davvero illusorio che tali varianti assurgano al rango di contrapposizioni assolute, dove ci sarebbe chi “tradisce e abiura” e chi “interpreta la purezza della linea”.

Detto questo, provo a sfrondare alcune questioni, senza alcuna pretesa che non sia quella di un punto di vista personale e in quanto tale limitato. Perché solo un punto di vista collettivo potrebbe vantare qualche punto in più, ma proprio questo è mancato!

Allora. I due documenti (entrambi) hanno delle firme eterogenee. Sono da 30 anni nella Fisac e faccio fatica a immaginare Rocchi e Moccia come dei rivoluzionari. Però anche nel 1° documento le posizioni di partenza sono diverse, io stessa mi sono trovata a fianco di compagni con cui negli anni passati ho condiviso ben poco.

Ma il 1° documento fino ad un certo punto ha pensato di essere non il 1°, ma l’unico. E in una sintesi unitaria l’eterogeneità è del tutto normale. Assai meno in un documento di opposizione. Nel 1° documento c’è chi ha pensato di costruire la posizione più avanzata possibile, penso soprattutto al contributo di “Lavoro & Società”, di cui si riconosce la mano in ampi stralci del documento stesso . C’è chi ha pensato che, in un momento così drammatico, una ragionevole mediazione in Cgil fosse preferibile ad una divisione che rischiava di indebolirci di fronte ad un ampio fronte di forze reazionarie (il governo, i vari padronati, le divisioni in seno alla classe lavoratrice, il senso comune di destra…). I comunisti che aderiscono al 1° documento hanno anche pensato (almeno, io l’ho pensato) che andassero apprezzate le ultime posizioni della Cgil, a partire dalla mancata firma sul Nuovo Modello Contrattuale. Chi conosce bene l’elefante Cgil, la sua prudenza, la sua lentezza decisionale, la sua avversione alla rottura dell’unità sindacale, non avrebbe scommesso un soldo bucato su questa mancata firma. Ci ha preso in contropiede, ammettiamolo! Merito della fermezza di alcune categorie, i cui Segretari Generali sono promotori del 2° documento? E parlo soprattutto della Fiom? Bene, ragione in più, per queste categorie, per rivendicare una sorta di primogenitura ed entrare a pieno titolo nella sintesi unitaria. Scusate, non riesco proprio a capire chi, quando vede riconosciute le proprie ragioni, pensa comunque che non basti ancora. Cos’è, la sindrome di chi deve dire sempre “più uno”?

Io non sono convinta che la mancata firma sia esclusivamente frutto di equilibri interni, ritengo che fosse proprio in sé insostenibile per la Cgil tutta intera, ammetto di aver sottovalutato l’elefante.

Ho invece presente, per essere una sindacalista di provincia, che svolge l’attività sindacale a part-time con il mestiere di normale bancaria, le difficoltà che incontriamo nel rapporto con i lavoratori. Non è stato facilissimo spiegare perché non avevamo firmato il Nuovo Modello Contrattuale, e abbiamo dovuto puntare molto di più sulle perversità dell’Ipca che su quelle della bilateralità, se volevamo farci capire. Perché noi abbiamo i volantini e loro hanno sei televisioni. Perché il senso comune dominante va verso l’individualismo e non verso le soluzioni collettive che stanno nel DNA della Cgil. Perché dal punto di vista culturale l’egemonia aziendale è fortissima, e il tasso di identificazione con le ragioni dell’impresa è spaventoso. Perché siamo contenti quando riusciamo almeno a scalfire, ad insinuare qualche dubbio, in questa coltre spessa di consenso pilotato.

Atteggiamento difensivo? Certo che sì! Quando sei attaccato in modo mortale, cos’altro devi fare se non innanzi tutto difenderti? O è più razionale pensare di essere in una fase montante e passare all’attacco senza valutare lo stato delle truppe?

Per finire. Non vedo differenze di analisi e di proposte tali da giustificare l’esistenza di due documenti contrapposti. Vedo delle differenti soluzioni organizzative, certo importanti, ma non tali da motivare delle contrapposizioni frontali. E sono questioni da “addetti ai lavori”, sottoporle a degli iscritti, che non sanno assolutamente di cosa si stia parlando, non è un atto di democrazia, è arruolamento di persone che fanno atto di fiducia nei confronti del proprio delegato di riferimento, se non lo diciamo siamo ipocriti.

E poi c’è questa generica parola d’ordine della “discontinuità” (per la verità un po’ vuota e indeterminata), c’è questo generico appello ad una maggior nettezza nelle prese di posizione. Mah, posso anche concordare, ma bastava un più modesto ordine del giorno o discussione congressuale generica, non era il caso di spezzare l’organizzazione.

Vedo invece un reale pericolo nell’indebolimento del concetto di confederalità. Capisco che una categoria come la Fiom, che certo esprime un grado di consapevolezza e di combattività superiore alla media dell’organizzazione (ma cosa c’entra la Fisac???), possa scalpitare e avere la tentazione di correre per sé. Però la Fiom è la Fiom perché è la Fiom Cgil, altrimenti non sarebbe il tanto (tantissimo ) che è. In generale non accetto per nulla che la dialettica in Cgil debba essere affidata alle strutture, di categoria e/o territoriali. Io ho scelto la mia posizione in Cgil aderendo liberamente ad un’area programmatica, al di là del mio essere Fisac o dell’essere Cgil di Asti. Potevo essere l’unica, nella mia categoria o nel mio territorio, ad aderire alla sinistra sindacale, sarebbe comunque stato un atto politico riconosciuto. Se devo piegarmi alla logica, un pò tribale ed etnica, per cui sceglie per me il mio Segretario Generale (Rinaldini o Podda o Moccia), allora preferisco, per assurdo, il sistema delle componenti di partito. Perché almeno il Partito lo potevo scegliere, la categoria o il territorio no.

Credo che dobbiamo ricordarci, sempre, che la Cgil è un sindacato, non è il surrogato di partiti e movimenti che non ci sono più o non sono più all’altezza. Il suo compito è negoziare al meglio possibile le condizioni di lavoro, non fare la rivoluzione. Quella, la dobbiamo fare da un’altra parte, se ne siamo capaci. E non scarichiamo sulla Cgil le frustrazioni per l’assenza di soluzioni brillanti che non vengono da nessuna parte, meno che mai dalla classe degli intellettuali, a cui pure spetterebbe tale compito e che, invece, si caratterizzano per quello che Asor Rosa ha definito, in un suo bel libro, “Il grande silenzio”.

Se non altro, la Cgil, con tutti i suoi errori e difficoltà e insufficienze, prova a spezzarlo, il silenzio.