Mosca, 7 novembre 1941

Sono ormai più di 60 gli anniversari della rivoluzione d’ottobre che ho vissuto e ai quali, in un modo o in un altro, la mia memoria è associata.
Ma quello che mi è rimasto maggiormente scolpito, indimenticabile, è stata la profonda emozione con cui ho vissuto il mio primo 7 novembre.
Correva l’anno 1941. Incollato ad una radio dotata di 5 valvole termoioniche (un vero gioiello di tecnologia per quell’epoca) ascoltavamo quasi ogni giorno, e con un certo batticuore, Radio Mosca.

Il 7 novembre di quell’anno udimmo per la prima volta la voce di Stalin tradotta in simultanea per l’Europa intera occupata dai nazisti.

La macchina bellica tedesca sembrava invincibile. In pochi mesi le armate hitleriane avevano compiuto una avanzata travolgente in territorio sovietico e quel 7 novembre del 41 le truppe corazzate di Von Guderian si trovavano a 20 km. dal centro di Mosca . Il governo sovietico si era già trasferito a Kuybiscev ma Stalin era restato invece al suo posto.

L’immagine di Stalin solo dentro al Cremino, con i tedeschi alle porte di Mosca, resta nella storia del secolo 20° – qualunque sia il giudizio su Stalin – come il migliore esempio su come un leader sappia guidare il suo popolo nei momenti più difficili.

Persino Churcill lo ricorda nelle sue memorie.

Per ben due volte quel giorno, mentre Mosca era sotto il fuoco dei bombardieri tedeschi, Stalin fece sentire la sua voce. Al mattino, in una stazione della metropolitana di Mosca, davanti ai quadri del Partito e del Komsomol. Poi, più tardi, dall’alto del mausoleo di Lenin davanti alle truppe di riserva dell’Armata Rossa e ai reparti di operai delle officine di Mosca che si apprestavano a raggiungere il fronte, distante pochi kilometri, pronunciò uno dei discorsi più celebri, mescolando in una stupefacente simbiosi i passaggi gloriosi della storia russa con quelli della Rivoluzione d’Ottobre.

“Compagni soldati e marinai rossi, comandanti e lavoratori politici, partigiani e partigiane! Il mondo intero vede in voi una forza capace di annientare le orde dei banditi tedeschi. I popoli asserviti d’Europa, caduti sotto il giogo degli invasori tedeschi guardano a voi come dei liberatori. Una grande missione liberatrice vi attende. Siatene degni. Quella che state conducendo è una guerra di liberazione, una guerra giusta. Possa ispirarvi in questa guerra il glorioso esempio dei nostri antenati, da Alexander Nevsckij che sconfisse gli invasori svedesi, a Michail Kutusov che sconfisse sulla nostra terra l’armata di Napoleone”

Dopo quel discorso, ai suoi collaboratori che lo scongiuravano di abbandonare Mosca e di partire per Kuibiscev, Stalin rispose tranquillo: “Nessuna evacuazione. Resteremo qui fino alla vittoria e voi tutti resterete con me”.

Per evitare di essere frainteso, ricordando quel lontano episodio che ha marchiato a fuoco la mia coscienza di giovane militante (e milioni di altre), non intendo dire che dopo l’Ottobre l’intera storia sovietica sia stata sempre una serie di lotte nobili ed eroiche e men che meno un pranzo di gala. Mi sono tuttavia chiesto tante volte come sarebbe finita l’Europa e il mondo intero se quel 7 novembre 1941 le cose fossero andate in modo diverso e se al posto del tanto detestato georgiano ci fosse stato il Mahatma Gandhi. C’è materia su cui meditare.

Mi fermo qui poiché sappiamo tutti come è andata e come è finita quella storia. Credo comunque che l’insieme dei passaggi che segnano un periodo storico come la Rivoluzione d’Ottobre non possano essere esposte o nascoste a seconda delle convenienze politiche del momento. Tutto deve essere osservabile e giudicabile entro un unico campo visivo che partendo da Marx ed Engels, e passando per Lenin, Gramsci, ma anche Stalin, Mao e Ho Ci Minh, arriva fino ai giorni nostri.

Anche nella Russia contemporanea, pur avendo subito una controrivoluzione devastante, il popolo non dimentica e si appresta a celebrare come merita questo 90° anniversario.

Quello che invece stupisce è l’ottusa caparbietà con cui qui da noi, persone molto colte, dirigenti di partito, giornalisti, cerchino di stendere – nel migliore dei casi – un semplice velo di oblio – nel peggiore – equiparando la storia del comunismo a quella del nazismo.