“Lula ora”

La stampa europea ha riempito le sue pagine con le elezioni politiche in Brasile: alcuni giornali molto timorosi, altri giubilanti, la maggioranza perplessi. Un metallurgico, un leader popolare, veniva eletto alla presidenza della Repubblica di uno dei paesi più importanti del mondo. In verità non è la prima volta che un uomo proveniente dagli strati più sfruttati della società è eletto ad una carica importante in uno Stato. Ma l’elezione di Luiz Inácio Lula da Silva rappresenta qualche cosa di diverso. È la vittoria di una sinistra politica e sociale, che tra l’altro aveva nel candidato avversario, del Partito Socialdemocratico, appoggiato dal Presidente in esercizio Fernando Henrique Cardono, uno dei più legittimi esponenti della cosiddetta “terza via”.
Il sociologo e presidente Cardoso ha partecipato a tutte le riunioni della terza via, insieme a D’Alema, Blair, Schoereder, Jospin, Clinton, de La Rua e altri, e rappresentava in quella sede l’ala sinistra: sempre critico della globalizzazione e della politica di guerra portata avanti dalle socialdemocrazie.
Un primo aspetto importante da sottolineare, è che il risultato elettorale brasiliano rappresenta un’uscita a sinistra in rapporto alla terza via e che forze della sinistra alternativa parteciperanno al governo e vi avranno peso.
Inoltre, in un paese in cui le élites si sono storicamente appropriate del potere come se fosse cosa loro e in cui il patrimonio dello Stato serve solo come moneta di scambio e per giochi fra i diversi segmenti delle classi dominanti, si tratta di una rottura che crea una situazione completamente nuova.
Vi è stato anche un significativo ricambio del parlamento, con una spettacolare avanzata delle forze di sinistra; e questo può significare un rinnovato interesse per la politica, che porterà i partiti ad essere più robusti e alimenterà una rinascita culturale, un rafforzamento delle ideologie ecc., cose tutte necessarie per la costruzione di un nuovo Brasile.
Come sempre avviene nei processi sociali, molte sono le cause che determinano un risultato. Una di esse è il totale esaurimento del modello neoliberista, noto anche come “consenso Washington”, in America Latina. Secondo la Banca Mondiale, nell’ultimo periodo questa parte del pianeta ha avuto una crescita media annua dell’ 1,7%, mentre la popolazione è cresciuta dell’ 1,8%. Secondo lo stesso istituto internazionale, per cominciare ad avere una riduzione della povertà è necessario che lo sviluppo economico sia almeno doppio di quello demografico, cioè qualche cosa intorno al 3,6%. Risultato indiscutibile: con i dati attuali si è avuto un incremento della miseria. Nel caso brasiliano, l’incremento economico è stato solo dell’1% a fronte di quello della popolazione di 1,6%.
Aggiungasi a ciò una tempesta di privatizzazioni che ha indebolito lo Stato, distrutto servizi sociali, concentrato ulteriormente i redditi e inoltre è riuscita ad accrescere in modo smisurato il debito interno ed estero.
Le coseguenze sono state un dilagare della disoccupazione, della violenza e della disgregazione sociale. Parallelamente si sono anche moltiplicati i movimenti sociali nelle loro molteplici articolazioni: lotte per la riforma agraria, occupazione di terreni urbani, scioperi nelle fabbriche e nelle scuole, organizzazioni dei quartieri, comunità di base, gruppi di difesa dei diritti umani e contro il razzismo, amministrazioni democratiche e popolari che applicano il bilancio partecipativo ecc. Si è anche diffusa nella coscienza popolare la percezione del pericolo rappresentato dall’imperialismo per l’integrità nazionale.
Al riguardo un bell’esempio è stato dato dal referendum autoconvocato nel settembre 2002 da una serie di organizzazioni per dare un’opinione sull’ALCA (l’associazione latino americana di commercio): ad esso si sono presentati 11 milioni di persone che al 99% hanno votato contro l’ingresso del Brasile in tale organismo. Tutti questi movimenti, insieme ad una nuova sensibilità, sono sfociati nella candidatura Lula. Questo tuttavia non è sufficiente a dare conto di 53 milioni di voti. Nella formazione delle radici culturali brasiliane, fin dai tempi coloniali, è sempre esistita una forte componente messianica di attesa del “desiderato” che sarebbe venuto per risolvere tutti i problemi e per costruire la nuova Gerusalemme. Alcune delle principali rivolte popolari della storia locale sono state compiute con un fondamento ideologico nel messianesimo. Esso si può spesso trovare nella musica popolare, nella letteratura, nella teologia della liberazione e anche nel pentecostalismo.
Fra le masse più povere, disgregate e disperate, questa volta è esploso il motto “Lula ora”: la figura del salvatore che le porterà nella nuova Israele, che darà dignità di vivere e possibilità di futuro. È impressionante vedere il comportamento di questi segmenti sociali in rapporto a Lula, soprattutto dopo le elezioni. Lo circondano di affeto, portano a lui i loro figli affinchè li tocchi come se fosse un taumaturgo.
È evidente che l’amore dei poveri verso il principale governate può essere una grande ricchezza, ma in ciò è intrinseco anche un pericolo, poichè la delusione può avere effetti devastanti. Lula ha perfetta nozione di ciò quando dichiara che non basta essere un compagno Presidente, ma che è necessario essere anche un Presidente compagno. E giustamente quando, appena eletto, i giornali volevano a tutti i costi sapere quali sarebbero stati i suoi primi passi in rapporto al “mercato”, ha risposto che questo può aspettare, mentre il suo primo atto è stato di annunciare la formazione di una segreteria speciale per la lotta alla fame. Perché prima del mercato viene la necessità che ogni brasiliano abbia la possibilità di mangiare tre volte al giorno.
In termini di classe, forse, possiamo dire che il nuovo governo è l’espressione di un’alleanza fra il proletariato più avanzato e settori della borghesia industriale interessata allo sviluppo del mercato interno. In termini politici, la base di sostegno è una vasta area di 12 partiti, fra grandi e minuscoli, che dovrà esprimere maggiore compattezza nel congresso nazionale.
Le sfide sono molte: il diseguale sviluppo del capitalismo, che porta a enormi differenze fra gli stati della federazione, la disoccupazione, la violenza generalizzata nelle grandi metropoli, debiti interni ed esteri, e soprattutto concentrazione del reddito.
Ma il Brasile, con i suoi otto milioni e mezzo di chilometri quadrati di superficie e 177 milioni di abitanti, con ricchezze naturali e tecnologia medio-alta, può superare gli ostacoli. Il primo passo serio è una ridistribuzione del reddito e questo passa attraverso una riforma tributaria, l’innalzamento dei salari più bassi e la crescita economica.
Il Brasile , tuttavia, non può essere un’autarchia e questo impone di cercare una nuova politica estera.
L’area geopolitica naturale da prendere in considerazione è in primo luogo l’America Latina. Oggi questo insieme rappresenta una massa critica di 550 milioni di individui, 40% dei quali vive nella povertà. La questione di come costruire l’interscambio commerciale e le alleanze politiche è un problema immediato e difficile. Molti governi sono legati al neoliberismo e sudditi dell’impero statunitense. Ma il peso del Brasile è notevole e potrà influenzare, con il suo esempio, i movimenti delle masse latinoamericane, specie in Argentina, Uruguai e Paraguai. Ma già in altri paesi come Bolivia e Equador si notano effetti benefici.
È prevedibile il miglioramento delle relazioni, già buone, con il Venezuela del Presidente Hugo Chaves, e un consistende incremento degli scambi con Cuba.
Ma non basta. Il ministero delle relazioni estere dovrà guardare con attenzione al sogno di costruire alleanze e mercato lungo l’asse sud-sud, privilegiando paesi come l’Africa del Sud, l’India e la Cina, forse la Russia.
Tutto ciò produrrà inevitabilmente tensioni serie con l’amministrazione degli Stati Uniti. I primi segnali di ciò sono le dichiarazioni del segretario del Tesoro degli Usa, che ha detto di aspettare le prime misure del Presidente Luiz Inácio Lula da Silva per sapere se egli è davvero pazzo. O che se il Brasile non acceterà l’ ALCA, avrà come partner i pinguini dell’Antartico. Maleducato, aggressivo, imperiale.
In Brasile si apre una nuova opportunità e un nuovo fronte di battaglia, che va seguito, studiato e appoggiato da tutta la sinistra alternativa e dai movimenti sociali europei. Speriamo che sia così.