L’isola americana

LA QUESTIONE MILITARE IN SARDEGNA OGGI: LA CENTRALITÀ DELL’ISOLA NEI NUOVI SCENARI DELLA COMPETIZIONE INTERIMPERIALISTICA TRA USA E UE.

Se escludiamo la parentesi dei Giudicati medievali tra l’VIII e i X secolo, la Sardegna – per via della sua posizione strategica al centro del mediterraneo – dal I millennio a.C. fino ai giorni nostri, è sempre stata terra di conquista o pedina di scambio tra le potenze che si sono succedute nel dominarla ed asservirla: fenici, cartaginesi, romani, pisani, aragonesi, piemontesi, italiani e americani, tutti hanno sempre occupato e sfruttato la Sardegna anzitutto come avamposto militare. Persino Horatio Nelson scelse la Sardegna quale base privilegiata della sua flotta nel mediterraneo.
Non è forse questa la sede per trattare il tema dell’identità culturale, storica e nazionale da sempre misconosciuta a un popolo come quello sardo, tuttavia il dato dal quale è necessario partire in queste considerazioni è che la Sardegna continua ancora oggi ad essere soggetta ad un dominio che ha tutte le caratteristiche dello sfruttamento semi-coloniale, in virtù del quale buona parte del suo territorio è stato interdetto a qualsiasi uso civile e trasformato in servitù ad uso e consumo non solo delle forze armate, ma anche di fabbriche come Alenia, Thomson, Aerospatiale, Fiat, Meteor, CSM e tante altre, che in Sardegna testano le loro produzioni belliche e allestiscono immensi Show room dimostrativi all’aperto per la vendita “chiavi in mano” dei loro gioiellini a possibili acquirenti che vanno dalle stesse potenze occidentali ai “dittatorelli” e “signori della guerra” del terzo e quarto mondo.
La rivista l’ernesto ha da tempo avviato un interessantissimo dibattito sul processo di unificazione europea contestualmente al definirsi sempre più chiaro di una profonda divaricazione strategica di interessi tra l’Unione Europea e gli USA (1) .
L’unificazione economica, monetaria, politica e militare dell’Europa, la sua volontà di assumere un ruolo autonomo e di primo piano sullo scacchiere mondiale non hanno alla loro base soltanto scelte di natura politica, ma sono in gran parte la conseguenza di necessità affermatesi sul piano della produzione economica e dello sviluppo delle forze produttive, riguardano cioè un processo scaturito dalla competizione economica internazionale e dalla volontà del capitalismo europeo di garantirsi un suo spazio di penetrazione ed espansione economica non subalterno agli USA.
In tal senso i segnali sono tanti: anzitutto l’integrazione tra i due paesi che costituiscono la “locomotiva europea”, che è un’integrazione di interessi economici e di scelte strategiche sul piano internazionale, che trova una proiezione fondamentale nel rapporto privilegiato con la Russia e nelle relazioni sempre più strette con l’estremo oriente; ma anche le dinamiche del conflitto in Jugoslavia e la stessa guerra in Iraq: tanto nelle motivazioni a sostegno dell’intervento da parte di USA, Gran Bretagna, Spagna e Italia; quanto in quelle contrarie alla guerra, di Francia e Germania, che avevano alla loro base non certo un rifiuto politico e morale della guerra, o la volontà di salvaguardare il rispetto del diritto internazionale, ma la necessità di tutelare ben determinati interessi economici.
Tuttavia il segnale più evidente delle contraddizioni sempre più acute tra il polo imperialistico degli USA e quello della UE, lo ritroviamo proprio nel fronteggiarsi delle due diverse opzioni sul sistema di difesa: da un lato abbiamo la proposta della “Forza europea di reazione rapida” avanzata dall’asse franco-tedesco – un modello militare autonomo dalla NATO che già nel nome indica la volontà di creare un sistema di difesa che consenta all’UE di intervenire a livello internazionale per tutelare i propri interessi economici – e con esso il proposito di colmare il deficit qualitativo e quantitativo tra il potenziale bellico americano e quello europeo, attraverso l’aumento delle spese militari dei paesi membri. Un progetto tanto ambizioso da proporsi lo scorporo delle spese militari dai bilanci statali per aggirare i rigidi parametri del Patto di Stabilità. Contrapposta a questa ipotesi è la posizione di Gran Bretagna e Italia, talmente favorevole a mantenere i progetti di difesa integrata europea nell’ambito della NATO, da sostenere apertamente l’offensiva americana, che risponde all’estensione ad est dell’UE attraverso l’allargamento dei paesi membri della NATO fino ai confini con la Russia, e soprattutto con la creazione e l’ampliamento di proprie basi militari – non soggette al “Patto Atlantico” – sia nell’est europeo che nel cuore del Mediterraneo, come è appunto il caso della Sardegna.
In questo contesto va dunque collocata la questione della presenza militare in Sardegna, che – con il suo 66,7% rispetto all’intero territorio nazionale – detiene l’inquietante e non certo invidiabile primato assoluto in Italia per le installazioni militari della Nato, degli USA e del sistema di difesa nazionale ed europeo (2).
L’attuale configurazione delle servitù militari in Sardegna trae la sua origine nel varo della dottrina Truman nel 1947, e il suo principio negli accordi bilaterali tra Italia e USA nella metà degli anni cinquanta, gestiti e attuati dai rispettivi servizi segreti militari del SIFAR e della CIA; in base a questi accordi l’isola diviene l’arsenale di retrovia rispetto alla “cortina di ferro” e un fondamentale centro del sistema dell’Alleanza atlantica in Europa per l’addestramento e le esercitazioni militari, ma anche un potenziale campo di concentramento destinato, in base all’operazione “Staybehind”, ad essere il punto di raccolta della deportazione coatta di politici della sinistra, sindacalisti, giornalisti, uomini di cultura ed oppositori in genere, nella ipotesi in cui l’avanzata del PCI si fosse spinta fino alla vittoria elettorale.
È così che la Sardegna ha assunto nuovamente il ruolo che per essa volle Mussolini nella seconda guerra mondiale, vale a dire una “formidabile portaerei naturale sul mediterraneo” nella quale impiantare basi militari e sofisticati sistemi di rilevamento e telecomunicazioni. L’imponente processo di ricolonizzazione militare ha potuto avvalersi, a costo zero, delle terre che l’Ente di Riforma Agraria della Sardegna aveva espropriato per favorire un diverso modello di sviluppo nelle campagne, ma ha anche proceduto ad espropriarne altre per proprio conto, pagandole con somme ridicole o non indennizzandole per nulla. La presa di possesso dell’isola da parte dei militari nel secondo dopoguerra si è abbattuta come una calamità su alcune comunità rurali spazzate via con la stessa drammatica virulenza che la “legge delle chiudende” ebbe nella prima parte dell’ottocento, vale a dire migliaia di famiglie di pescatori, contadini e pastori, cacciate dalle loro terre e costrette ad emigrare; in questo caso però, la sopraffazione arrogante dei nuovi padroni è stata accuratamente occultata dietro l’opera “umanitaria” del piano Marshall negli anni della ricostruzione post-bellica. La sottrazione ai sardi di porzioni significative della propria terra, in gran parte dei casi è avvenuta in base ad accordi segreti di dubbia validità costituzionale mai ratificati dal Parlamento, e contro essa a nulla valse la lotta organizzata dal PCI tra gli anni cinquanta e sessanta e i tentativi di resistenza posti in essere.
Con il crollo del Patto di Varsavia e la fine della guerra fredda iniziò a diffondersi tra i sardi la speranza di un possibile ridimensionamento della presenza militare nell’isola in ragione del mutato scenario mondiale e della necessità di ridisegnare le stesse funzioni della NATO, ma ben presto il rapido processo di integrazione europea, e il formarsi di un polo imperialistico distinto dagli USA, ha di colpo reso nuovamente il mar Mediterraneo assolutamente centrale, specie in relazione alla lotta per l’egemonia sul vicino e medio oriente.
Attorno al “sistema dei Tre mari” (3) – Caspio, Nero e Mediterraneo – ruotano le principali risorse di gas e petrolio del pianeta e soprattutto i corridoi energetici (4) su cui si basa, ed è destinato a basarsi sempre di più in futuro, gran parte del sistema di approvvigionamento mondiale; tutte le recenti guerre a guida americana (Jugoslavia, Afghanistan e Iraq) e molte delle frizioni che contrappongono gli USA da una parte ed Europa, Russia e Cina dall’altra, sono proprio riconducibili alla lotta per controllare questi corridoi energetici, ed è fin troppo chiaro come il dominio sul “sistema dei Tre mari” passi anzitutto attraverso il controllo del mar Mediterraneo. Non sono necessari troppi giri di parole per spiegare per quale ragione le postazioni militari della Sardegna siano tornate ad essere centrali e perché il Governo Berlusconi e il Ministro Martino abbiano dato via libera al raddoppio della base americana per sommergibili nucleari di La Maddalena, vale a dire alla costruzione di 52.000 metri cubi di cemento armato in una base sulla quale vige una extraterritorialità totale, che vanno ad aggiungersi alle precedenti installazioni militari; il tutto in un parco naturale con vincolo di inedificabilità assoluta, e con il parere contrario espresso da un Consiglio Regionale messo alle strette dall’indignazione dell’opinione pubblica e dalle lotte popolari.

Lo stesso discorso vale poi per il Poligono Permanente per le esercitazioni terra aria di Capo Teulada, settemila ettari sul mare e venti chilometri di costa nel sud ovest della Sardegna gestiti dall’Esercito e messi a disposizione della NATO, sui quali per dieci mesi all’anno si svolgono imponenti esercitazioni militari. Tutto questo si traduce nell’interdizione verso qualsiasi uso civile che abbia una minima ricaduta economica sul territorio: non è possibile l’agricoltura, il turismo, la pesca. La lotta che contrappone la popolazione locale alla presenza della base è arrivata fino al punto che il 3 giugno un corteo di pescherecci che protestava per il mancato pagamento degli indennizzi per il fermo della pesca, è stato bersaglio di undici cannonate provenienti dal poligono militare, ed appena una settimana prima, nel corso delle esercitazioni, un missile è giunto in piena mattina nel bagnasciuga di una spiaggia pubblica fortunatamente deserta in quel momento. Anche in questo caso alle proteste della popolazione e delle due amministrazioni locali sul cui territorio ricade il poligono militare, fa da contraltare l’intenzione raddoppiare la base da parte delle autorità militari e del Governo Nazionale.
E che dire del Poligono di addestramento e sperimentale di Quirra Capo S.Lorenzo. Qui l’Aeronautica gestisce per conto del Ministero della difesa una zona con un “poligono a terra”, uno spazio aereo ad interdizione assoluta e un “poligono a mare” che si estende dalle vallate interne sino alle acque internazionali per un area sconfinata. Si tratta di un’immensa area messa a disposizione della NATO, di paesi stranieri e delle fabbriche di armi per l’addestramento, ma anche per la sperimentazione e il collaudo di missili, esplosivi e materiali bellici di ogni genere, tra le quali verrebbero sperimentate anche le famigerate armi all’uranio impoverito.
Le conseguenze di un tale uso del territorio sono ben visibili nel fatto che in esso si registra un’insorgenza altissima di leucemie, tumori al sistema emolinfatico e nascita di bambini con malformazioni talmente gravi da non consentirne la sopravvivenza, il tutto su una popolazione che nei due centri di Escalaplano e Quirra non supera i 2800 abitanti, e tra militari e civili che hanno prestato servizio i questa base. Anche in questo caso tutte le lotte per recuperare la piena sovranità su un’area naturale di rara bellezza quotidianamente violentata da un uso criminale che la sta avvelenando irrimediabilmente, si scontrano con il muro di gomma eretto dai vertici militari e dal Governo che, per “segreto militare” e “ragion di Stato”, nascondono o manipolano i dati rilevati all’interno del Poligono militare e non lasciano trapelare alcuna informazione sul tipo di armi sperimentate.
Ma al di là di questi singoli esempi – ai quali andrebbero aggiunti anche i casi di altre basi come quella aerea di Decimomannu, la fabbrica di armi di Domusnovas, e la stessa città di Cagliari – il dato significativo che emerge dall’intera vicenda è uno solo: nonostante in Sardegna insista una percentuale di territorio occupata da basi militari di gran lunga superiore alla stessa regolamentazione legislativa nazionale, e senza alcun altro esempio in Italia, la prospettiva di riqualificazione del sistema di difesa italiano e americano è orientata verso l’ulteriore espansione (si parla in molti casi di raddoppio) delle basi.
In termini politici tutto ciò significa che la Sardegna e il suo popolo, dopo aver subito già nel corso di tutta la guerra fredda una sopraffazione rispetto alla quale lo Statuto Autonomistico di Regione Speciale ha avuto – per Governi Nazionali, classe politica locale e autorità militari – la stessa capacità vincolante della carta igienica, si trovano oggi a dover pagare in misura ancora maggiore le conseguenze nefaste di una nuova fase di acute contraddizioni interimperialistiche tra USA e UE.
Di fronte ad un quadro tanto drammatico va però registrato un risveglio sempre più consapevole dell’opinione pubblica in Sardegna, un risveglio che è rafforzato dal recupero orgoglioso della propria identità culturale e che si sta traducendo in lotte sempre più significative. Su tutto questo bisogna segnalare il merito indiscusso del Comitato Sardo Gettiamo le Basi che dal 1996 ad oggi (spesso anche in assoluta solitudine), ha avuto la forza di sviluppare con forza, coerenza e continuità le lotte contro la presenza militare nell’isola, tra le quali spicca senz’altro quella che ha fatto scoppiare lo scandalo dell’uranio impoverito che proprio questo comitato per primo a condotto quando ancora nessuno in Italia ne parlava. Ma oltre alle lotte, il Comitato ha avuto l’intelligenza di indagare e scavare negli archivi militari, raccogliere dati ed elaborare dossier, fino a realizzare un lavoro d’inchiesta e documentazione che costituisce oramai un patrimonio enorme per tutte le lotte antimperialiste del popolo sardo. Ci è parso quindi logico articolare questo approfondimento chiedendo al Comitato Sardo Gettiamo le Basi un contributo importante in termini di documentazione tecnica, storica e politica della questione militare in Sardegna, come quello che potete leggere qui di seguito.

Note

1 In particolare mi riferisco ai saggi Per un’Europa neutrale, scritto da Andre a Catone nel numero 5 del 2003, e Tra Impero e Re di Prussia, scritto da Sergio Cararo nel numeo 6 del 2003.

2 “Il demanio militare, permanentemente impegnato, ammonta a 24.000 ettari a fronte dei 16.000 ettari di tutto il restante territorio della penisola italiana. A questa cifra si sommano i 12.000 ettari di terra gravati da servitù militare. In mare le “Zone Interdette o Dichiarate Pericolose per la Navigazione” superano in estensione la superficie dell’intera isola, kmq 23.812. Solo una delle zone di mare annesse al Poligono Interforze Salto di Quirra si estende per kmq 28.400. Il volume degli spazi aerei sottoposti a interdizione o restrizione è incommensurabile. (Vedi schede e mappe sui poligoni e sulle zone interdette o pericolose per la navigazione AEREA e MARITTIMA)”. Comitato Sardo Gettiamo le Basi;

3 Il quarto mare, Margherita Paolini Limes, n. 4 / 2002, ed anche La Serbia serbata, Limes n.5/2000.

4 in questa scheda non è possibile trattare in dettaglio l’argomento, per un approfondimento si rimanda saggio, molto ben documentato, di Raffaella Coletti L’ottavo corridoio energetico e la scacchiera eurasiatica, in Il mondo dopo Manhattan, La città del Sole, Napoli 2002.