Linea antioperaia, crisi sindacale e autorganizzazione del conflitto

L’azienda nella quale sono impiegato come operaio conta 245 dipendenti e produce macchine automatiche per l’imballaggio della carta igienica. Il processo di produzione ha subito le prime importanti modifiche a partire dai primi anni ’80, quando è stata decentrata l’intera parte produttiva e, da allora, l’ambito di attività diretta dell’azienda si limita alla progettazione, assemblaggio e collaudo macchine. Conseguenze dirette di questo processo di decentramento sono state l’aumento del numero degli impiegati rispetto agli operai (ad oggi, 100 operai contro 145 impiegati) e un aumento preoccupante dei ritmi di lavoro nella fase di collaudo dove, non a caso, si registra il maggior numero di infortuni sul lavoro, anche se, fortunatamente, non gravi.

A partire dalla fine degli anni ‘70, abbiamo tentato come Consiglio di Fabbrica di opporci al progetto padronale di decentramento della produzione sia attraverso la lotta sindacale (scioperi e piattaforme rivendicative) sia coinvolgendo l’Ispettorato del Lavoro per denunciare appalti di manodopera all’interno dell’azienda. Nella lotta sindacale, che ha raggiunto il culmine nella prima metà degli anni ’80, abbiamo trovato un importante sostegno nella Fiom-Cgil, reso possibile senza dubbio dalla strategia sindacale di lotta e rivendicazione su importanti temi quali la politica economica, l’occupazione e le condizioni di lavoro. Questa impostazione, che partiva dalla discussione preventiva con le lavoratrici e i lavoratori tanto delle piattaforme rivendicative quanto delle azioni di lotta per raggiungere gli obiettivi fissati, spesso in risposta alle posizioni arroganti del padronato, ha consentito al sindacato di entrare nei luoghi di lavoro e di accreditarsi come organizzazione di classe per la conquista di nuovi diritti e la difesa degli interessi dei lavoratori. A partire dalla lotta specifica in ogni luogo di lavoro, il sindacato ha costruito piattaforme nazionali per l’applicazione del concetto di professionalità legata al salario, per la solidarietà del collettivo a sostegno dei singoli lavoratori, la capacità di utilizzare al meglio lo sciopero articolato, la lotta per la riforma sanitaria e contro la monetizzazione della salute.

A partire dalla fine degli anni ’80, il processo di ristrutturazione e di espansione del capitale si è concluso con la sconfitta del movimento operaio e sindacale. Da una parte, lo scioglimento del Pci ha rappresentato, anche simbolicamente, la “sconfitta”della classe operaia; una sconfitta che ha avuto e continua ad avere non poche ripercussioni sull’intero movimento sindacale, producendo, di conseguenza, effetti negativi in ogni luogo di lavoro. Questo, a partire dalla Fiat, azienda simbolo delle lotte rivendicative del decennio precedente, dove i lavoratori e il movimento sindacale hanno subito una pesante sconfitta, seguita non a caso dal taglio di 4 punti di contingenza ad opera del governo Craxi, dall’avvio di licenziamenti di massa e dal ridimensionamento occupazionale in numerosi e importanti distretti industriali. Nemmeno la Casmatic di Bologna ha costituito un’eccezione. La lotta sindacale che avevamo intrapreso negli anni precedenti contro il decentramento dell’intera parte produttiva si è conclusa con una sconfitta, che ha provocato un primo e sostanziale allontanamento dei lavoratori dal sindacato, ritenuto non più in grado di affrontare con strumenti adeguati i processi di ristrutturazione in atto.

Questa già difficile situazione si è aggravata nel corso degli anni ’90, quando Cgil-Cisl-Uil hanno avviato una nuova stagione di relazioni sindacali, culminata con gli accordi del 31 luglio 1992, sottoscritto con il governo Amato per la cancellazione della scala mobile; e del 23 luglio 1993, che impostava la nuova strategia sindacale sulla sostituzione della lotta di classe con la concertazione insieme a padronato e governo per il raggiungimento di presunti “obiettivi comuni” in vista dell’ingresso nell’Euro. Da qui, ad esempio, l’accordo su una politica di controllo dei redditi che si è rivelata sostanzialmente a senso unico e valida solamente per il contenimento dei salari dei lavoratori. Risultato: il sindacato si è allontanato sempre più dagli interessi dei lavoratori, divenendo gradualmente subalterno al quadro politico, e i lavoratori a loro volta si sono e si stanno allontanando sempre più dal sindacato. Nonostante la Casmatic continui ad essere un’azienda sindacalizzata, abbiamo registrato un calo di adesioni ai sindacati confederali, con particolare riferimento alla Fiom, di più del 10% in meno di un decennio. Il solo elemento di tenuta, che ha impedito alla situazione di degenerare ulteriormente, è rappresentato dalla Rsu, che continua, pur tra mille e crescenti difficoltà, ad organizzare azioni semplicemente a difesa delle attuali condizioni di lavoro, continuamente messe in discussione. Impensabile, ad oggi, proporre azioni di miglioramento, dato il continuo arretramento delle posizioni generali della Cgil. Da qui la necessità di una svolta, che permetta ai lavoratori e alle lavoratrici di divenire di nuovo protagonisti. Anche per questo l’intera Rsu della Casmatic ha aderito ad Essere Sindacato, nel tentativo di determinare dal basso modifiche a una linea ritenuta sempre più subalterna agli interessi dominanti della Cgil, per una ripresa del conflitto di classe in grado di contrastare la graduale precarizzazione dei rapporti di lavoro e i processi di flessibilità di orario e salario in atto. Io stesso ho pagato questa mia decisione con l’esclusione dal direttivo della Fiom di Bologna al penultimo congresso, dove i sostenitori della linea di Cofferati hanno tentato di isolare quei delegati e quei luoghi di lavoro che, come la Casmatic, si sono schierati contro la linea del segretario. Nonostante questo, ho continuato la mia attività sindacale nella Rsu dell’azienda e, al Congresso Cgil del 1996 abbiamo sostenuto il Documento di Alternativa Sindacale, partecipando insieme ad altri delegati a decine di assemblee nelle fabbriche più significative della provincia bolognese (GD, Sabiem, Acma, Ima, Casaralta, Arcotronics, Ceam, Fini, Calzoni, Ducati, Corazza, ecc.); dove abbiamo ottenuto un risultato apprezzabile, segno evidente che non tutto è perduto. Nonostante il risultato ottenuto, che ha permesso ai rappresentanti di Alternativa di entrare in tutti i direttivi e in alcune segreterie di categoria e nella segreteria della Camera del lavoro di Bologna ; l’azione della sinistra sindacale si è gradualmente indebolita e, di conseguenza, i lavoratori e le lavoratrici, che hanno pagato a caro prezzo la nuova ristrutturazione capitalistica, non riescono più a capire quali sono gli elementi che caratterizzano Alternativa Sindacale rispetto alla maggioranza della Cgil. A conferma di questo, il lavoro sindacale che abbiamo fatto in questi quattro anni non ha modificato i rapporti di forza nelle fabbriche e nei gruppi dirigenti sindacali, ma, al contrario, le nostre posizioni si sono indebolite e offuscate. Da qui la necessità di una ripresa dell’iniziativa dal basso per costruire una sinistra sindacale a partire dalle Rsu e dai luoghi di lavoro, in grado di dare nuovo protagonismo alle lavoratrici e ai lavoratori e di imporre una modifica sostanziale alla linea fino ad oggi tenuta dalla Cgil e dalla Fiom. Solo in questo modo possiamo pensare di ottenere un buon risultato al prossimo Congresso Cgil della primavera del 2001 e spostare quello che continua ad essere il più grande sindacato italiano su posizioni conflittuali e di classe. Quale può essere, in questo contesto, il ruolo del Prc, il solo partito che tenta di rappresentare gli interessi della classe lavoratrice? Questo costituisce un argomento di discussione assai complesso, ma penso che l’azione del nostro partito possa dispiegarsi su due fronti: da una parte, costituire un pungolo per le organizzazioni sindacali, tentando di raccogliere consensi a sinistra, e, dall’altra, la costruzione di una presenza organizzata (sia attraverso circoli aziendali sia attraverso nuclei o cellule) in grado di produrre maggiore iniziativa politica nei singoli luoghi di lavoro e confrontando in questo modo la linea del partito direttamente con le lavoratrici e i lavoratori.