L’eredità di Piergiorgio e di Giovanni

La scomparsa di Piergiorgio Welby lo scorso dicembre e di Giovanni Nuvoli il 23 luglio, ha commosso e addolorato non solo me, ma un paese intero, per più di una ragione. Perché sono venuti meno due uomini che avevano risposto con forza, coraggio ed intelligenza alla sfida dolorosa della malattia. Perché le loro sofferenze indicibili ci riducevano a spettatori impotenti. E, ancora, perché non siamo stati all’altezza di rispondere alle loro richieste di aiuto.
Quando, negli ultimi mesi, il male era divenuto insostenibile, Welby ci ha chiesto di lottare al suo fianco per vedere riconosciuto il suo diritto a rinunciare a cure che per lui non erano altro che accanimento e prosecuzione di un calvario disumano.
Ci ha coinvolto in una battaglia civile alla quale ha prestato con dignità il suo dolore e il suo corpo straziato. E’ di conforto sapere che aveva consapevolmente accettato la fine della propria vita e desiderava una morte naturale come liberazione dalla sua incurabile malattia.
Giovanni Nuvoli era altrettanto determinato ad accogliere la fine della sua esistenza che non considerava più degna di essere vissuta e si è lasciato andare per non dovere prolungare oltre la sua agonia.
Nonostante alla fine sia stata compiuta la volontà di entrambi i pazienti, la loro morte è causa di grande frustrazione. Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli ci chiedevano di poter rinunciare a quello che loro ritenevano un accanimento e di staccare l’apparecchio che li manteneva in vita artificialmente. Hanno chiesto aiuto alle istituzioni, ma non siamo stati in grado di offrire loro una risposta chiara.
La lucida e inflessibile determinazione che i due uomini hanno dimostrato, fino all’ultimo, ci pongono di fronte a interrogativi ancora senza risposta, evidenziando l’esistenza di un vuoto legislativo nel nostro ordinamento. Una lacuna che lascia disatteso il diritto fondamentale dell’uomo di poter decidere in autonomia quali cure ritiene accettabili per sé.
Dobbiamo fare in modo che ognuno si veda riconosciuto il diritto di scegliere le terapie che giudica accettabili, di accettare o rifiutare la tecnologia che la scienza mette a disposizione, di dire basta ad un accanimento che ritiene per sé intollerabile. Il fatto che una tecnologia esiste non può costituire un obbligo al suo utilizzo. Scelte di questo tipo dovrebbero potersi compiere come naturale accettazione del decorso di una malattia terminale.
Si tratta del resto di un diritto affermato chiaramente dalla nostra Costituzione, dove, nell’articolo 32, si dice che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento se non per legge” e che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Lo stesso principio è riconosciuto anche dal diritto internazionale attraverso la Convenzione di Oviedo, approvata dalla maggior parte dei paesi europei nel 1997, che all’art. 5 dice “un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. (…) La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente, ritirare il proprio consenso”.
Ora che Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli non ci sono più, mi auguro che il Parlamento sappia assumersi la responsabilità di una scelta normativa che riconosca quel diritto.
E’ più che mai necessario dare seguito alle loro testimonianze approvando una legge sul testamento biologico e contro l’accanimento terapeutico che consenta ad ognuno di indicare le cure e i trattamenti che ritiene accettabili e sopportabili per sé. Voglio credere che tutte le forze politiche sapranno proseguire in modo sereno ed equilibrato il dibattito. Anche ora che è venuta meno la pressione dell’urgenza, ora che non abbiamo più di fronte gli occhi sofferenti di Piergiorgio e di Giovanni.

*Professore di chirurgia Jefferson Medical College (Philadelphia) e Presidente della Commissione sanità del Senato