il grande movimento dei mesi scorsi che ha riempito le piazze di tutto il Paese per impedire un nuovo terribile colpo alle condizioni di vita e di lavoro, purtroppo non è riuscito nel suo intento, se non in maniera alquanto parziale. Nel febbraio scorso, mentre le piazze si riempivano di nuovo, questa volta contro l’aggressione anglo statunitense all’Iraq e tutta l’attenzione politica era, come rimane, rivolta allo scenario di guerra, il governo Berlusconi ha varato la nuova Legge delega sul mercato del lavoro (848). Una legge grave, quasi epocale, per come ridisegna il lavoro nel nostro paese. Una legge in stretta continuità con il “pacchetto Treu” varato dal centro sinistra negli anni del silenzio totale del sindacato concertativo e quando il conflitto sembrava essere soltanto un lontano ricordo.
La legge contiene al suo interno sei deleghe su: collocamento e intermediazione di manodopera, contratti a contenuto formativo, part time, nuove tipologie di lavoro, certificazione dei rapporti e funzioni ispettive. Altre questioni rilevantissime come incentivi all’occupazione, arbitrato, articolo 18, ammortizzatori sociali sono stati invece rinviati ad un ulteriore gravissimo provvedimento (848 bis) attualmente in discussione.
Il primo elemento di gravità che emerge è che per la prima volta nel nostro Paese si utilizza lo strumento della delega per materie di grande rilievo e delicatezza. Non si era mai verificato prima che si utilizzasse la delega per modificare in senso peggiorativo ed incisivo una disciplina importante come quella sui rapporti di lavoro. Evidentemente la scelta di questo strumento è stata determinata dalla volontà di nascondere il più possibile i reali contenuti della legge e, quindi, contenere le proteste. Le deleghe infatti, per loro natura, sono generiche in quanto indicano i “principi” a cui i successivi decreti attuativi si dovranno informare. Lo stesso Parlamento è estromesso di fatto dalla discussione di merito.
La 848 ha, come compito, quello di portare in profondità l’attacco alle condizioni di lavoro e la sua ratio è quella, chiaramente espressa, di ridurre le tutele degli occupati in quanto ad esse si contrappone la sotto tutela dei disoccupati; vanno quindi “spostate” le tutele dal rapporto di lavoro al mercato individuando nei privilegi degli occupati la causa principe delle rigidità occupazionali.
E da qui un diluvio di nuove forme di precarietà (che gli educati chiamano flessibilità!). Si istituisce il lavoro a chiamata, cioè “ la disponibilità allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente”, quello a prestazioni ripartite “fra due o più lavoratori, obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro”, per le prestazioni di lavoro occasionale e accessorio, in generale e con particolare riferimento a opportunità di assistenza sociale, queste sono regolarizzabili attraverso l’erogazione di “buoni” in sostituzione del salario; si introducono prestazioni svolte a titolo di “aiuto”, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi soprattutto in agricoltura (una nuova forma di servitù della gleba) che esulano dal mercato del lavoro e dagli obblighi ad esso connessi. Intanto il lavoro interinale viene esteso anche al settore agricolo, si “normalizza” il contratto di Colla-borazione Coordinata e Continua-tiva e attraverso la certificazione della loro esistenza si impedisce anche l’apertura di vertenze al riguardo, si prevedono per i soci-lavoratori deroghe al contratto collettivo di lavoro e la non applicazione del titolo III° dello Statuto dei lavoratori (dell’attività sindacale) e dell’articolo 18.
Ma non ci si ferma a questa vera e propria devastazione delle forme tipiche del rapporto di lavoro, si introducono, come nuovi, strumenti che il movimento operaio aveva ridotto a residuali, quali l’apprendistato e il tirocinio, favorendo tra l’altro le convenzioni fra scuole e università da un lato e aziende dall’altro volte a facilitare le “ misure di inserimento al lavoro, non costituenti rapporti di lavoro” (sic!). In pratica le aziende potranno utilizzare gli studenti come forza lavoro, attraverso la forma soft dello stage e del tirocinio, gratis o quasi gratis in quanto potrebbe essere prevista “la eventuale corresponsione di un sussidio”. Sul fronte dell’orario facilita e favorisce il lavoro a tempo parziale, agevolando il ricorso agli straordinari (per i part time!), forme elastiche e flessibili del tempo parziale – anche per chi ha un contratto di lavoro a tempo determinato – favorendo l’utilizzo a tempo parziale di “lavoratori anziani” e, ciliegina sulla torta, il computo in proporzione dell’orario contrattuale dei lavoratori impiegati nell’azienda ai fini delle norme legislative e contrattuali collegate alla dimensione aziendale. Ovvero due lavoratori part time contano uno ad esempio per l’applicazione in azienda dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori!
Ma l’articolo 18 non viene messo in pericolo solo per i lavoratori delle aziende che utilizzano massicciamente il part time. L’introduzione dello Staff Leasing, cioè il lavoro interinale a tempo indeterminato consente alle imprese utilizzatrici una enorme flessibilità e le libera dai vincoli contrattuali e normativi, compreso quindi l’articolo 18. Gravissima è poi la combinazione della revisione della normativa sul trasferimento di ramo d’azienda con “l’ammissibilità della somministrazione di manodopera anche a tempo indeterminato” e la contestuale abolizione della Legge 1369/60 che vietava la “mera somministrazione di manodopera” che era il principale strumento legislativo per le vertenze contro il lavoro precario ed era il frutto delle lotte, in particolare bracciantili, contro il caporalato. Attraverso la revisione delle regole per l’accesso al lavoro si sancisce inoltre la definitiva scomparsa del collocamento pubblico e quindi la sua privatizzazione. Viene liberalizzata l’attività delle agenzie interinali che potranno estendere i loro servizi a qualunque tipologia di accesso al lavoro, dalla formazione a qualunque altra forma di intermediazione di manodopera.
Il regalo maggiore le aziende lo ricevono attraverso l’allentamento dei vincoli previsti attualmente dall’articolo 2112 del codice civile in materia di trasferimento di ramo d’azienda. Fino ad ora i padroni dovevano almeno dimostrare che “l’autonomia funzionale” del pezzo da trasferire o esternalizzare era preesistente, ora il requisito dell’autonomia funzionale deve esistere “al solo momento del trasferimento”. Si fornisce così ai padroni la possibilità di creare strumentali, fittizie e temporanee condizioni di autonomia di un settore di lavoro per trasferire singoli lavoratori, magari conflittuali e sindacalizzati, da un’azienda all’altra senza alcun limite e senza il loro consenso.
Il regalo maggiore i sindacati, soprattutto CISL e UIL, lo ricevono con l’attribuzione agli “enti bilaterali”, quindi con la partecipazione delle parti sociali, di compiti come la certificazione del rapporto di lavoro ed altre. Il contentino economico ha tappato la bocca di queste nobili organizzazioni sorte per tutelare gli interessi dei lavoratori e trasformatesi ormai da tempo in vere e proprie holding. La CGIL, che pure non ha sottoscritto il Patto per l’Italia, vero mostro generatore di tante nefandezze, ha comunque deciso una propria partecipazione da osservatore a questi enti!
In conclusione di questa prima e sicuramente incompleta disamina del provvedimento – la realtà supererà di certo l’immaginazione quando i “principi” contenuti nella legge diverranno decreti attuativi – si può dire che questa legge, e la 848 bis che la seguirà, completano la contro riforma del diritto del lavoro avviata con il pacchetto Treu rafforzata ideologicamente dal Libro Bianco di Maroni. Viene sovvertita completamente la ratio dell’impalcatura, storicamente determinata attraverso le lotte del movimento operaio e sindacale, delle tutele e del diritto del lavoro e cioè la necessità di tutelare il lavoratore in quanto soggetto debole nel rapporto di lavoro attuando così il principio costituzionale dell’eguaglianza “sostanziale”.
Con questa riforma il lavoro entra in un rapporto di tipo mercantile dove i detentori dei mezzi di produzione sono collocati sullo stesso piano dei prestatori d’opera. Ma ovviamente tutto ciò “è giusto perché e moderno”!