Le rotte del poder popular

* Docente Università di Macerata esperto questioni America Latina

L’11 settembre di trentaquattro anni fa, il piombo dell’esercito cileno, manovrato dall’allora segretario di Stato statunitense, Henry Kissinger, mise fine all’esperienza di governo di Unidad Popular, la coalizione di socialisti, comunisti e cattolici democratici guidata da Salvador Allende. Anche se la dottrina dominante metteva ancora il centralismo democratico alla base della prassi politica, nelle Alamedas di Santiago l’esigenza delle masse di militanti di UP aveva chiamato incessantemente alla creazione del ìPoder Popularî. ìCrear, crear, poder popularî era uno degli slogan pi? importanti che percorsero quella stagione politica cilena, apparentemente lontana e invece tornata di attualità. Oggi, con una presidente socialista, Michelle Bachelet, figlia di un generale assassinato da Pinochet, il concetto stesso di Poder Popular appare pi? lontano che mai in Cile. Appena dieci giorni prima dell’11 settembre la Presidente, che solo i bugiardi di professione, da Repub – blica a Liberazione al Corriere della Sera, hanno mai potuto definire ìuna novitàî o addirittura annoverare come ìdi sinistraî, ha ordinato di reprimere la pi? grande manifestazione contro il neoliberismo della storia del paese, convocata dal sindacato unitario, Central Unica de Trabajadores (CUT), e alla quale hanno preso parte anche spezzoni della sua maggioranza di governo. Con la brutalità di 760 arresti, ha detto ìNOî ad ogni dialogo che possa anche solo ritoccare il modello neoliberale. L’11 settembre poi, per evitare che si potesse lasciare una corona di fiori al numero 80 della Via Morandè, dove c’era il portone d’ingresso della Moneda nel 1973, ha ordinato pi? repressione; altri 147 arresti, tra i quali decine di familiari di detenuti desaparecidos, dei quali formalmente la Presidente dovrebbe fare parte. Avessero arrestato a Cuba 900 persone in 10 giorni per motivi politici, gli editorialisti di tutti i giornali ìdi sinistraî d’Europa si sarebbero dati fuoco come bonzi. Lo avessero fatto in Venezuela avrebbero chiamato alla crociata e allo scontro di civiltà contro il negraccio megalomane vestito di rosso. Per i lavoratori e i familiari di detenuti desaparecidos cileni non hanno speso una parola. E la signora Bachelet non ha mai speso una parola su quel Poder Popular che, chissà, anche lei aveva evocato in piazza da ragazza. Peccati di giovent?. Eppure il dibattito sul ìPoder popularî da decenni non era mai stato cosÏ intenso in America Latina. Il passato 15 agosto, il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chavez, ha presentato una riforma costituzionale che, anche se non dovesse diventare un modello diretto per altri paesi, apre un dibattito ineludibile (basta pensare al grillismo in Italia) e una prospettiva concreta su come riequilibrare la relazione tra volontà popolare e poteri esecutivo e legislativo, sempre pi? succubi dell’ortodossia economica liberale. Il testo, che sarà sottoposto a referendum, all’Art. 136 recita testualmente: “Il popolo è il depositario della sovranità e la esercita direttamente at – traverso il Potere Popolare. Questo non nasce dal suffragio nÈ dalle elezioni, ma nasce dalle condizioni dei gruppi umani organizzati come base della popolazione. Il Potere Popolare si esprime costituendo le comunità, i comuni e l’autogoverno delle città, attraverso i consigli comu – nali, i consigli operai, i consigli conta – dini, i consigli studenteschi e ulteriori entità che fossero segnalate dalla legge.” E’ la continuazione, e il compimento costituzionale, di un dibattito sulla democrazia partecipativa iniziato in Venezuela nel lontanissimo 1989, prima della caduta del muro di Berlino, quando il cosiddetto popolo di Seattle e/o no global non era ancora uscito dalle caverne. Era il tempo del Caracazo, quando Carlos AndrÈs Pérez, presidente venezuelano e vicepresidente dell’Interzionale socialista – in carica quando presidente era Willy Brandt -, fece trucidare impunemente in un solo giorno dai 3 ai 10.000 lumpen venezuelani, che si opponevano all’ennesimo giro di vite neoliberale. Da uno a tre volte i morti fatti da Pinochet, ma in un giorno solo e nel silenzio generale delle sinistre europee e con il plauso del Fondo Monetario Internazionale e dell’Internazionale Socialista. Pochi mesi dopo, cadendo il muro di Berlino, Cuba si trovò completamente sola. La Rivoluzione cubana si trovò di fronte al pi? titanico dei compiti, di fatto mai affrontato da nessun paese al mondo: la sostituzione completa del proprio interscambio economico. Fu il periodo speciale. Nonostante le rigidità del sistema, è oggi opinione comune di molti studiosi, che proprio il dibattito costante aperto alla base nelle assemblee del Poder Popular cubano abbia permesso a Cuba di aggiustare il dramma economico che il paese visse per tutto il periodo speciale e salvare le basi del socialismo nell’isola e la Rivoluzione stessa. Il Cepal stesso, la Commissione dell’Onu per lo sviluppo dell’America Latina, arrivò a riconoscere che proprio l’opera di capillare dibattito e discussione tra tutta la popolazione cubana delle misure spesso draconiane necessarie, ebbe influenza nel rendere quelle misure stesse meno drammatiche per le condizioni di vita della popolazione rispetto alle conseguenze di misure corrispondenti prese dai governi fondomonetaristi per imporre il neoliberismo nel resto del continente. Quindi perfino la terribile autocrazia castrista ha dovuto ricorrere a quella che molti anni dopo a Porto Alegre avrebbero chiamato ìdemocrazia partecipativaî. Passarono ancora degli anni e in Venezuela Chavez vinse le elezioni promettendo una costituzione partecipativa. Oggi, che la volontà dei venezuelani spinge la democrazia partecipativa verso il socialismo (quanti anni tarderanno i poveri intellettuali europei per avere il coraggio di risdoganare il termine? E i politici?) la nuova riforma costituzionale bolivariana si domanda innanzitutto come si fa a restituire potere ai cittadini. Dando sostanza all’idea di Potere popolare e di democrazia partecipativa. E ovvio che si tratti di un dibattito appena all’inizio. Poder popular dunque: sicuramente perfettibile, ma chi blatera a casa propria di ìpoteri fortiî, di grandi interessi, di multinazionali, di precarietà, dovrebbe guardare con simpatia al tentativo venezuelano. Ma per chi è obnubilato dall’idea che la democrazia abbia una sola forma possibile nel tempo e nello spazio, quella anglosassone (e chissà perchÈ si debba copiare tutto da un solo paese, compreso il numero di elezioni di un presidente), e l’economia abbia un solo ordine naturale possibile nel liberismo, tutto è velleitario in Venezuela. E pericoloso. Ed esecrabile. E per fermare l’esperimento bolivariano, che sta restituendo dignità a milioni di persone, tutto è lecito, dal colpo di stato, come fecero l’11 aprile 2002, alla manipolazione sfacciata dell’informazione. E continuerà ad esserlo perchÈ la Costituzione bolivariana del 2000, con quella balzana idea della democrazia partecipativa, messa per la prima volta nella storia nero su bianco in una Costituzione, introduceva (e domani rafforza) un ribilanciamento di potere a favore del popolo minuto, i diritti del quale la tradizionale divisione di poteri ispirata dalla Costituzione statunitense, negava invece di garantire. Forse è improponibile al momento da noi, ma è necessario sottolineare che in America Latina si sta da anni ragionando su un nuovo meccanismo di controllo che garantisca chi non ha interessi economici ìsuperioriî e permetta se non di scegliere, almeno di controllare realmente il potere legislativo e anche quello esecutivo. Dopo un paio di secoli di discreta e a volte buona efficienza, l’economia, nella forma del neoliberismo, appropriandosi della politica, ha rotto il patto che garantiva l’equilibrio e il bilanciamento dei poteri. Questo non è pi? sufficiente, ed è bene prendere atto che il patto sociale fu rotto da Margareth Thatcher e Ronald Reagan oramai quasi trent’anni fa e oggi sono necessari strumenti partecipativi che ricreino o creino potere popolare e limitino la dittatura dell’economia. Il problema, In Venezuela e in tutta la regione, specialmente se si vuole sostanziare e non svuotare il termine socialismo e quello di trovare un nuovo bilanciamento di poteri che prenda atto che il potere economico, alieno alla democrazia, sta fagocitando tutti gli altri. La creazione del Potere Popolare come entità autonoma, secondo Chavez va oggi nella direzione della restituzione al popolo del controllo su decisioni che la democrazia rappresentativa, intesa all’anglosassone, già non garantisce. Nell’epoca neoliberale, la tradizionale divisione di poteri teorizzata nel XVIII secolo da Charles de Montesquieu, e perfezionata negli Stati Uniti, già non garantisce i cittadini che, anche in sistemi formalmente democratici, le decisioni possano essere realmente presi da questi.