Le difficili relazioni tra America Latina e Unione Europea

*Senatore Prc-Se

“Enlazando Alternativas”, intrecciare alternative, così si è voluta definire la rete di movimenti sociali europei e latinoamericani che, in occasione dell’ultimo “Encuentro Hemisferico de Lucha contra los TLC y por la integracion de los Pueblos” tenutosi all’Avana nel maggio scorso, ha segnato un nuovo importante passo in avanti nella costruzione di un’agenda comune di resistenza contro le politiche commerciali dell’Unione Europea. La rete nasce in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo di Ue, America Latina e Caribe svoltosi in Messico, a Guadalajara, nel maggio 2004. Fino ad allora l’Europa di Lisbona, di Maastricht e della Costituzione Europea era lontana dalle preoccupazioni dei movimenti sociali latinoamericani. Anzi, sembrava quasi che l’Ue, con la sua forte enfasi sulla democrazia ed i diritti umani, potesse rappresentare una valida alternativa di partenariato agli Stati Uniti. Ad una prima fase focalizzata sugli aspetti politici, ne è seguita però una nuova, quella attuale, concentrata su quelli commerciali. Ciò avviene in un momento nel quale lo stallo nel negoziato interno all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) apre scenari inattesi, con una forte spinta dei paesi latinoamericani ad acquisire una propria autonomia negoziale e politica, per una integrazione commerciale continentale, ma anche con il rischio di un ritorno in grande stile di Washington nel suo storico “patio trasero”, con la Cina che incombe. Eppure è stata la ritrosìa europea nell’andare incontro alle richieste dei paesi produttori del comparto agroalimentare – quali il Brasile e l’Argentina – in tema di rimozione dei sussidi all’export ed il sostegno ai produttori europei a contribuire allo stallo nel Wto, così come ad impedire il rilancio dell’accordo con il Mercosur. Un accordo il cui negoziato è rimasto bloccato per anni, e che l’Ue intendeva rilanciare alla vigilia del vertice Wto di Hong Kong del dicembre 2006. Inizialmente gli accordi di associazione, quali quelli ancora pendenti con il Mercosur, la Comunità andina e l’America Centrale, avrebbero dovuto prendere corpo dopo il compimento del round di Doha al Wto, cosa che allo stato attuale non sembra affatto imminente. La realtà è che l’Unione Europea non si può permettere che dalla debacle interna a questa organizzazione si apra un più ampio spazio politico per la ridiscussione dei termini degli accordi, su spinta di governi progressisti e di movimenti sociali, usciti tonificati da Hong Kong dopo la resistenza attuata, con successo, contro il progetto di Area di Libero Scambio delle Americhe (ALCA). La stessa Ue aveva già dovuto incassare un’ulteriore battuta d’arresto alle sue velleità a Vienna, nel Vertice Eurolatinoamericano del maggio 2006, quando risultò evidente che i paesi dell’America Latina, seppur con le loro contraddizioni, avevano fatto blocco contro il rilancio di un negoziato per la costruzione di un’area di libero scambio con il Mercosur ed il Patto Andino. Da allora l’unica possibilità per Bruxelles è quella di spingere sull’acceleratore senza aspettare la conclusione del round negoziale del Wto. Così facendo però scopre le sue vere carte. Cade la retorica “buonista” e finalmente si va all’osso della questione. Basta leggere le “Conclusioni e raccomandazioni per aprire il negoziato con i paesi Asean, India e Nord Corea” del Consiglio Affari Generali del 23 aprile scorso, dove il Consiglio Ue sostiene fermamente la necessità di aprire il negoziato con la Comunità Andina ed il Centroamerica, con l’obiettivo di concludere una serie di accordi compatibili con il Wto. Accordi che dovranno andare ben oltre quelli esistenti, ed avere come scopo quello di aumentare la competitività e la crescita in Europa ed a livello globale e sostenere l’ulteriore integrazione dei paesi partner nel sistema di mercato globale. Gli accordi dovranno essere ampi, ed includere una radicale liberalizzazione degli investimenti e del commercio in beni e servizi. L’Unione Europea sta così cercando di risolvere su un piano separato gli ostacoli verso il perseguimento dell’agenda del Wto attraverso un approccio interregionale, ed includendo nella discussione tematiche quali quella degli investimenti, delle politiche sulla concorrenza, e privatizzazione dei servizi essenziali. E’ una strategia a tutto campo che si aggancia a quella teorizzata da Mandelson nel suo documento “Un’ Europa competitiva in un’economia globalizzata”, nella quale si propone un’agenda aggressiva di apertura dei mercati esterni, che prevede l’inclusione nei negoziati di questioni lasciate in sospeso nel Wto, ovvero i cosiddetti “Singapore Issues”, investimenti, competivitità e liberalizzazione dei s e rvizi. Quel che più conta per Mandelson è di fornire garanzie affinché le imprese europee competitive, sostenute da adeguate politiche interne, possano accedere ai mercati mondiali ed operare con sicurezza. A tal fine è stato creato un gruppo di lavoro per il commercio e gli investimenti tra Commissione, ambasciate Ue e imprese transnazionali. Di fatto gli accordi di libero scambio riformulano le priorità reali di Bruxelles, prima fra tutte quella di favorire l’accesso delle imprese europee alle risorse naturali. È per mettere a nudo questa trama che vede la Commissione mettersi al servizio delle imprese europee e della loro progressiva penetrazione in America Latina che si sta svolgendo il lavoro del Tribunale Permanente dei Popoli. A Vienna il Tribunale aveva ascoltato le denunce di decine di rappresentanti di movimenti sociali e comunità indigene minacciate dalle attività delle transnazionali europee. La storia dell’America Latina è fatta di cicli, che accoppiano colonizzazione e sfruttamento di risorse naturali e di esseri umani. Su tutti svettano il ciclo della soya e quello della carta, e più di recente quello degli agrocombustibili, che rischiano di generare un processo di progressiva distruzione degli equilibri ecologici, nonché di marginalizzazione culturale e sociale delle comunità locali. Terra e comunità cadono sotto il rullo compressore delle transnazionali europee, da quelle petrolifere (YPF Repsol in Bolivia, Ecuador) a quelle dell’acqua (Suez a Manaus, El Alto, Santa Fe, Saltillo), dell’energia (quali Union Fenosa in Messico o Colombia) o a quelle del tabacco (BritishTobacco), o ancora delle miniere (Monterrico Metals, inglese in Perù) o dell’agribusiness (Monsanto, Cargill, Bunge) o della pesca (Calvo in El Salvador). Obiettivo del Tribunale, che sta tuttora continuando le sue sessioni in Colombia e sta raccogliendo elementi per una sessione in Perù nel 2008, è quello di contribuire a rendere giustizia alle comunità, ma anche di fare chiarezza sui veri obiettivi delle politiche commerciali dell’Unione Europea verso l’America Latina. Nella dichiarazione finale della sessione di Vienna del 2006, il Tribunale ha riconosciuto l’esistenza di gravi violazioni di diritti umani quali il diritto all’accesso ai servizi essenziali (acqua, energia), alla terra, alla sovranità alimentare, ai diritti del lavoro e dei lavoratori, ai diritti dei popoli indigeni, civili e politici, alla tutela ambientale. Le responsabilità sono plurime: da quelle dei governi dell’Ue a quelle dei governi locali, dalle ricette di Banca mondiale e Fondo Monetario Internazionale a quelle contenute negli accordi bilaterali. Mettendo insieme tutti i pezzi di storie conosciute o meno, prende forma un progetto dai contorni ben definiti e dalle conseguenze devastanti. Un duro attacco ai diritti economici e sociali di un intero continente, al nucleo stesso della sovranità degli Stati. E’ evidente che di fronte a questi nuovi ulteriori sviluppi, i movimenti sociali dovranno affinare ulteriormente l’analisi e le proposte alternative. Questo è stato l’obiettivo dell’ incontro “hemisferico” di Cuba. Oltre a denunciare i rischi e gli impatti degli accordi di libero scambio, statunitensi ed europei, molto tempo è stato dedicato alla discussione ed allo scambio su come rafforzare i nuovi processi di integrazione dei popoli che rompano con la pratica economica del libero commercio e della liberalizzazione finanziaria. In altre parole, processi che affermino nuovi valori di pensiero, solidarietà e cooperazione al posto del virus neoliberista. E’ questo il senso dell’ALBA – “Tra tado de commercio de los pueblos” -, al qual hanno aderito 4 paesi ed altri 8 hanno dichiarato interesse. E’ molto di più di un trattato di commercio giacché persegue un progetto di integrazione in settori nei quali più alto è il debito sociale accumulato dai popoli. Altro progetto è il Banco del Sur, che prevede la costruzione di un’istituzione finanziaria continentale che possa permettere ai paesi di liberarsi dal giogo della Banca mondiale e del Fmi. Cosa che hanno già fatto, seppur in maniera discutibile – ovvero pagando tutti i debiti arretrati -, Brasile ed Argentina. Come nei casi più recenti di Venezuela, che addirittura ha annunciato la sua uscita dalle due istituzioni internazionali, ed Ecuador, che ha espulso come persona non gradita il rappresentante della Banca mondiale nel paese. Si tratta, in ultima istanza, di rompere un circolo infernale. In realtà, i paesi dell’America Latina finanziano il deficit degli Stati Uniti e subiscono poi gli effetti del rientro di quei capitali nei loro paesi sotto forma di prestiti determinati da condizioni fissate dalla Banca mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Il processo di integrazione continentale dovrà quindi passare attraverso nuove rotture e la costruzione di alternative. Non si tratta più solo di opporsi al neoliberismo, ma di conquistare la giustizia sociale, come il diritto allo sviluppo, con idee proprie e non mutuate né dagli Usa né dalla Ue. E’ una prospettiva ineludibile ed una chiamata all’azione per i movimenti sociali in Europa e nel nostro paese.