Questo sito è sommerso in questi giorni da e-mail mandate da iscritti del partito che protestano contro la volontà del gruppo dirigente di sopprimere il simbolo nella prossima competizione elettorale, che rifiutano la deriva del partito unico e che non accettano queste ricorrenti lesioni alla democrazia interna. Sono compagni dell’Ernesto, di Essere comunisti ma anche iscritti che non appartengono ad aree o che, fino a ieri, si riconoscevano nelle posizioni di maggioranza.
Questi compagni ci chiedono risposte, non sono particolarmente interessati alle articolazioni interne del partito. Vogliono una speranza, vogliono che ci si batta per la sopravvivenza di questo partito.
Hanno ragione e colgono nell’essenza il pericolo che grava sul nostro partito. La loro posizione è lucida e razionale. E, infatti, quello che sta avvenendo è un passaggio decisivo. Sminuirne il significato impedisce di comprenderne la gravità. Con le dichiarazioni del segretario che invitava alla presentazione elettorale con un simbolo unico della sinistra senza la falce e il martello e con la proposta di avviare da subito il tesseramento al soggetto unico della sinistra salta definitivamente la proposta della confederazione, e cioè di una modalità di raccordo fra i quattro partiti della cosa rossa che salvaguardasse l’identità di ognuno. Noi come Ernesto non abbiamo mai creduto che quella proposta potesse realizzarsi, altri l’hanno sostenuta. Oggi, tuttavia, dopo questa mossa della maggioranza di Rifondazione la via è segnata. E’ chiaro che dopo le elezioni col simbolo unico inizierà l’escalation del “superiamo ogni appartenenza… rimescoliamo le carte… diamo spazio alla società civile… e via dicendo”. Le solite ricette che si utilizzano quando si vuole giustificare il superamento di un partito per farne uno diverso.
Sarebbe irresponsabile, da parte di chi ha sempre rivendicato la necessità del mantenimento dell’esperienza di Rifondazione Comunista, non prendere atto dell’eccezionalità della situazione. Penso alla nostra area, l’Ernesto, ma penso anche all’area Essere comunisti, che ha condiviso con noi un percorso comune per molti anni. La divisione che si è prodotta, in circostanze anche molto dolorose, non fa venir meno l’esigenza pressante di condurre insieme una battaglia per impedire la liquidazione del partito. E penso anche ad altre sensibilità. Penso, in particolare, al movimento di Firenze, esperienza eccezionale, dalla quale è venuta una domanda di rinnovamento del partito e un’opposizione tenace al superamento dello stesso. E penso anche a compagni da sempre nella maggioranza che in questi ultimi mesi hanno assunto posizioni autonome importanti.
Queste diverse sensibilità devono oggi ritrovarsi per condurre una battaglia comune per la sopravvivenza di Rifondazione Comunista, del suo simbolo sulla scheda elettorale, del suo nome, ma anche della sua struttura organizzativa e, soprattutto, del suo patrimonio politico-culturale. E devono rivendicare il diritto della base ad esprimersi, rifiutando una buona volta inammissibili pratiche antidemocratiche.
Non si tratta – come abbiamo ripetuto spesso – del riflesso di chi nostalgicamente non sa rinunciare alla propria identità; è invece un’esigenza che muove dalla consapevolezza che quello che dovrebbe sostituire Rifondazione Comunista è una formazione più moderata, incline al governismo, disomogenea e costruita intorno alle esigenze di perpetuazione di ceti politici. Una forza che oggi può presentarsi anche autonomamente, ma che poi riconfluirà in un rapporto organico col PD, perché ciò su cui poggia non è una proposta alternativa ma la possibilità di giocare un ruolo sul mercato della politica. Non vi è anima nella cosa rossa. Siamo alla riproposizione d’immagini già viste all’epoca dello scioglimento del PCI. La ripresa del nuovismo, l’accanimento contro le identità, la vaghezza della proposta politica, la preminenza della manovra sui contenuti. E’ la storia che si ripete come farsa, ma che conduce allo stesso approdo, nonostante molti discorsi roboanti. L’approdo è quello dell’omologazione. Per questo non ci stiamo e vogliamo che anche altri con noi conducano questa battaglia.