L’elezione dell’imprenditore napoletano Antonio D’Amato alla presidenza della Confindustria ha suscitato più di qualche sorpresa. Dal nostro punto di vista il cambiamento è relativo (i padroni sono quelli di sempre) ma alla voglia di indagare un po’ più a fondo si accompagna la necessità di interpretare alcuni processi in corso nei rapporti di forza all’interno del capitalismo “italiano”. I dati fornitici dalla Banca d’Italia possono sicuramente aiutarci a fotografare una situazione già nota ma che con l’elezione di D’Amato assume un significato politico.
Dai dati forniti dalla tabella si conferma chiaramente l’anomalia del capitalismo italiano – che si regge soprattutto su piccole e medie imprese – rispetto agli altri paesi europei. Il CENSIS, che da almeno un quindicennio segue ed ha dato rilievo al fenomeno dei distretti industriali, è ancora più perentorio: più del 90% delle imprese italiane sono di media, piccola e piccolissima dimensione. Qual è dunque il nesso tra l’elezione di D’Amato e questa fotografia della realtà padronale in Italia? In fondo anche Fossa o Abete erano dei piccoli/medi imprenditori.
Eppure dentro la Confindustria qualcosa deve essere successo. D’Amato ha ottenuto 96 voti contro i 58 di Callieri che pure era sostenuto da big boss del calibro di Gianni Agnelli, Tronchetti Provera, De Benedetti, Marzotto. Sembrerebbe una rivolta dei piccoli contro lo strapotere dei grandi monopolisti che dominano la scena economica italiana. Era già successo nel ‘94 a Verona, quando l’intervento di Agnelli al convegno annuale della Confindustria era stato contestato dalla platea rappresentativa dei piccoli e medi imprenditori. Erano i mesi in cui “Berlusconi era entrato in campo” per rappresentare proprio il revanscismo di questo settore e la lealtà istituzionale di Agnelli verso l’establishment sottoposto al bombardamento di tangentopoli appariva un omaggio ai vecchi rapporti di potere tra la politica e la grande impresa. Questo risentimento verso le “grandi imprese” è stato un silenzioso mugugno in questi anni di terapie d’urto per l’ingresso dell’Italia nell’Unione Monetaria Europea.
L’introduzione dell’Euro e dei cambi fissi, ha liquidato le possibilità di svalutazioni competitive della lira ed esaurito in due anni il boom dell’export made in Italy che aveva tenuto a galla le piccole e medie imprese negli anni della recessione.
La vicenda della rottamazioni delle auto è stata vissuta come un vergognoso privilegio regalato dai governi e dalla politica alla Fiat. Indicativo in questo senso lo sfogo di un imprenditore meridionale, Jannotti Pecci, che dell’epoca Fossa vuole dimenticare la storia della rottamazione “Non si può fare solo quella dell’auto. O si rottama tutto o si fa una vera politica fiscale” (1).
Agnelli non ha gradito molto la sconfessione del suo candidato Callieri. L’editoriale del giornale di famiglia (La Stampa) affidato a Mario Deaglio è un capolavoro di equilibrismo che non risparmia certo i segnali di allarme ed ostilità a D’Amato. “Il nuovo presidente avrà successo se saprà leggere i segni, certo incisivi ma non privi di ambiguità, che vengono dal suo elettorato” scrive Deaglio. “Alla collaudata esperienza di Carlo Callieri che avrebbe dato certezza sulla gestione, i rappresentanti degli imprenditori italiani industriali italiani hanno preferito la speranza dell’innovazione” (2).
Significativo che l’amministratore delegato della FIAT, Cantarella, abbia rifiutato l’offerta di D’Amato di diventare vicepresidente. La risposta è apparsa quasi spezzante “Noi alla Fiat abbiamo tante cose da fare e quindi non posso dare una disponibilità in questo senso” (3).
Sembra che a spostare i voti a sostegno di D’Amato siano stati soprattutto i padroni e padroncini del Nord Est ma anche quelli lombardi dopo la rinuncia del presidente dell’Assolombarda Benedini. In quest’ultimo caso si parla di un ruolo chiave svolto da Michele Perini, vicepresidente degli industriali della Lombardia e vicino a Forza Italia e di Federico Confalonieri della Mediaset… il che è tutto dire.
Verso la fine della concertazione nazionale?
Ma chi rivendica un merito particolare è il “duro” Tognana presidente degli industriali del Veneto. In una intervista alla Stampa rivela che i veneti avevano preparato un progetto di cambiamento della Confindustria e che D’Amato era sembrato il tipo più adatto a rappresentarlo. Questo progetto del padronato del Nord Est incita la Confindustria a seguire la scia del federalismo e del decentramento avviata da Bassanini (sic!) e “il trasferimento di competenze dalla Confindustria centrale alle regioni”. L’ambiguità di questo progetto si è disvelata nel convegno della Confindustria a Genova qualche giorno dopo, quando è stata rilanciata l’idea della tendenziale liquidazione dei contratti nazionali di categoria e l’introduzione vincolante dei contratti aziendali e regionali. Questo progetto ha trovato l’immediato consenso del leader della CISL D’Antoni. Sembra essere questo il vero obiettivo della nuova Confindustria e della spinta che ha mandato D’Amato alla presidenza dell’organizzazione padronale. La piccola e media impresa non ha bisogno della concertazione con i sindacati ed anzi la vede come il fumo negli occhi. Ritiene le grandi famiglie come Agnelli etc. responsabili di eccessivi compromessi con la “politica” che scaricano sulla società i costi della loro tregua sociale e monopolizzano i benefici dei finanziamenti governativi alle imprese.
Da mesi la concertazione – così come l’abbiamo conosciuta dagli accordi del luglio ’93 a oggi – era nell’occhio del ciclone. I lavoratori non possono certo rimpiangerla ed il capitalismo italiano del XXI secolo visto che la strada era aperta non ha fatto altro che prendersi tutto quello che rimaneva da prendersi. Tra gli assalti iperliberisti dei radicali e la voglia di stravincere dei nuovi soggetti dominanti nella Confindustria, il lavoro è ormai una trincea di lotta per la sopravvivenza contro una modernizzazione capitalista guidata da veri e propri “cannibali”.
Note
1) Corriere della Sera Sette del 16 marzo 2000
2) La Stampa del 10 marzo 2000
3) Sole 24 Ore del 25 marzo 2000