L’alternativa è un pranzo di gala?

1. Più volte su questa rivista abbiamo richiamato il rischio – ormai evidente – che alla probabile (anche se non scontata) sconfitta di Berlusconi possa seguire un’esperienza di governo del centro sinistra inadeguata, e incapace di offrire un’alternativa alla politica liberista che ha contrassegnato l’azione del centro destra. Un “berlusconismo senza Berlusconi”, insomma, con ciò alimentando nuove delusioni nel popolo della sinistra. Non intendiamo soffermarci sui segnali inquietanti che provengono dai gruppi dirigenti del centro sinistra e che stanno a dimostrare come tale rischio sia ben presente. Si va dal ritiro programmato del nostro contingente militare in Iraq; all’appoggio a politiche monetariste in Europa; al sostegno delle liberalizzazioni, in nome dell’esigenza di recuperare efficienza nei settori pubblici e di ridurre il deficit statale; al mantenimento di alcune disposizioni legislative in tema di flessibilità del lavoro, e così via. Quello che si può rilevare è che questa deriva moderata tende ad accelerare più ci si avvicina all’appuntamento delle elezioni politiche. Recentemente D’Alema, Fassino e il gruppo dirigente Ds hanno offerto a Roma una sontuosa cena ai rappresentanti della Confindustria e della borghesia italiana e nell’occasione Bersani ha svolto una relazione sulle questioni di politica economica diretta a “tranquillizzare” gli ospiti : l’ alternativa è un pranzo di gala?. Così, alla lotta indefessa al “relativismo etico” condotta dalle gerarchie vaticane si contrappone, a sinistra, la sostanziale accettazione della competizione fra stato e chiesa in tema di morale, quasi che oggi il pericolo fondamentale venisse dallo “scientismo” e non già da una propensione neo-integralista che rischia di far arretrare pericolosamente la società italiana. E’ il caso delle risposte deboli che sono venute da settori del centro sinistra di fronte al nuovo (ma preannunciato) attacco alla legge 194 che, spesso, hanno finito col fare il gioco delle forze conservatrici. E’ il caso della proposta Turco, Bindi – in tema di aiuto finanziario alle donne disagiate che rifiutano di abortire – che più che una scelta sbagliata costituisce un inutile e pericoloso segnale di disponibilità alla retorica dell’insufficienza della legge 194, proclamata a gran voce dalla chiesa cattolica e dalle forze di centro destra. Quest’escalation di moderatismo non si ferma alle questioni sollevate dalla nuova ondata di confessionalismo, ma si estende a quelle di natura economico sociale. E’ di questi giorni l’intervista di Carlo de Benedetti, supporter di indubbio prestigio delle componenti liberal dell’Unione, in cui si ribadisce: che in tema di scelte economiche è necessario andare ben oltre le attuali garanzie offerte alle imprese in tema di flessibilità del lavoro, che occorre ridurre sostanzialmente il cuneo fiscale relativo agli oneri contributivi, che si deve puntare sulle liberalizzazioni. A sua volta, segnali preoccupanti vengono anche su questioni delicate, come quelle degli interventi infrastrutturali. E’ il caso della posizione favorevole alla realizzazione della TAV espressa da Fassino e Rutelli – proprio nel momento in cui un movimento di massa pone fondamentali questioni di natura ambientale – o, ancora, delle posizioni espresse sulla realizzazione del ponte di Messina che fanno intravedere la possibilità che il prossimo governo di centro sinistra, assuma tali obiettivi. E, per finire, non va dimenticato l’impegno reiterato di Prodi a mettere mano alla legge elettorale per ripristinare il maggioritario, senza contare le incursioni di Rutelli che aggiungono a tale scelta la necessità di porre vincoli – di per sé giusti – alla modificabilità delle regole (costituzione e leggi elettorali), ma dopo che il centro sinistra abbia cambiato, appunto, legge elettorale. Né, infine, si può sostenere che dalla conferenza programmatica dei DS e da quella della Margherita siano venuti segnali di svolta ma, piuttosto, timidi accenni ad interventi di natura redistributiva, all’interno di un impianto del tutto inadeguato.
Nella sostanza, la propensione moderata tende a rafforzarsi e non si vedono segnali di inversione di tendenza. Le stesse anticipazioni – in tema di orientamenti di politica internazionale – sulla mediazione raggiunta fra le forze dell’Unione costituiscono elementi di ulteriore preoccupazione poiché il previsto ritiro delle truppe italiane dall’Iraq si tradurrebbe in un disimpegno condizionato dalla consultazione preventiva del governo di Bagdad e quindi, in ultima analisi, degli Stati Uniti.

2. Di fronte a questo scenario abbiamo, nel corso di questi mesi, riproposto ostinatamente la necessità di una convergenza unitaria delle forze che si collocano alla sinistra dei DS. C’era parso, peraltro, anche negli anni scorsi, che vi fosse un’aspirazione comune fra le forze in questione a costruire una sinistra di alternativa in grado di incidere sullo scenario politico. Pensavamo e pensiamo che l’unità programmatica, la convergenza su linee d’azione comuni e lo stesso raccordo organizzativo delle forze della sinistra critica costituiscano esigenze imprescindibili per porsi nella condizione di potere agire al meglio nell’attuale scenario possibile. Non si tratta, ovviamente, di determinare precipitazioni organizzative che rischierebbero di eludere le differenze che pure restano fra le impostazioni politiche di tali forze, né di sottovalutare l’esigenza di salvaguardare le singole identità – dei comunisti e delle altre forze – ma di scegliere con coraggio la via dell’unità nelle azioni e sui programmi. Abbiamo costatato invece, nel corso delle ultime settimane, come a quest’aspirazione apparentemente diffusa siano corrisposte, nei fatti, più accentuate divisioni e la scelta di percorsi per molti versi antitetici. Ma veniamo alle questioni di merito. Da un lato, l’annunciata convergenza elettorale fra Verdi e Comunisti italiani è venuta meno. Ognuno andrà per conto proprio. Significativamente, la rottura sembra essersi manifestata su una questione di identità e cioè la scelta del simbolo della nuova aggregazione. A nessuno sfugge, tuttavia, che quando si producono rotture di questo tipo in gioco vi è non solo la semplice condivisione di una modalità di presentazione ma lo stesso profilo politico della nuova formazione. Non a caso Pecoraro Scanio ha motivato il rifiuto dei Verdi con l’indisponibilità ad un’operazione di rinascita del PCI, ribadendo il carattere autonomo del proprio partito. In contemporanea, la stessa esperienza della Camera di consultazione promossa da autorevoli intellettuali di sinistra – come Asor Rosa e Rossana Rossanda – che aveva raccolto al suo avvio un consenso certamente lusinghiero, appare oggi esaurita per effetto del venir meno della prospettiva della Lista Arcobaleno a seguito della rottura fra Verdi e PdCI, ma anche per l’indisponibilità manifestata dal gruppo dirigente di Rifondazione comunista, impegnato in tutt’altra direzione, e per la disomogeneità delle forze che si dichiararono a suo tempo disponibili. E’ indubbio, in ogni caso, che la finalità generale da cui muoveva l’iniziativa – e cioè la necessità di raccogliere forze per spostare l’asse moderato dell’Unione – coglieva un’esigenza reale, che rischia a questo punto di rimanere senza risposta o di tradursi nella semplice adesione di alcune figure alla lista del PdCI. Per converso, la scelta compiuta da Rifondazione comunista nell’ultimo Comitato Politico Nazionale appare altrettanto discutibile. La decisione di costruire la Sezione italiana del Partito della Sinistra Europea, attraverso il coinvolgimento di alcuni esponenti della sinistra politica e sociale appare, più che un progetto di respiro, il tentativo di raccogliere alcune adesioni individuali per sostenere, nell’immediato, un’operazione di immagine in vista del prossimo confronto elettorale e, in prospettiva, per dar vita ad un nuovo soggetto politico, la cui identità è da definire, ma che dovrebbe ricalcare sostanzialmente quella assunta a livello internazionale dal PSE. Anche in questo caso l’approdo è quello di un percorso solitario che rafforza la diaspora della sinistra di alternativa, dato (fra l’altro) il vincolo (posto agli interlocutori esterni) rappresentato dall’adesione al Partito della Sinistra Europea.
Non solo, l’operazione ha in sé un carattere disunente giacché, evocando le condizioni per ” un nuovo soggetto politico”, rischia di mettere in dubbio la stessa ragione sociale del partito.

3. La situazione si presenta, quindi, allarmante poiché a queste divisioni corrisponde l’impossibilità di svolgere un ruolo significativo nella partita sul governo del paese. La – a questo punto virtuale – sinistra di alternativa, lacerandosi, si pregiudica la possibilità di sviluppare un’azione incalzante nei confronti delle componenti moderate dell’Unione e, quindi, si rassegna ad un ruolo di subalternità. Nelle posizioni che connotano le scelte delle singole formazioni si coglie abbastanza chiaramente come questo esito, prima ancora che legato a difficoltà oggettive (che certamente non vanno sottovalutate), deriva in realtà dalla sostanziale sfiducia nella possibilità di condizionare il centro sinistra, cui fa da corollario la ricerca di interlocuzioni privilegiate con le forze moderate dell’Unione. Certamente le responsabilità non sono tutte eguali, e vanno accuratamente individuate, ma in ogni caso l’esito resta lo stesso e cioè l’indebolimento del ruolo politico della sinistra di alternativa. D’altronde, alcuni segnali ci sembrano testimoniare questa propensione. E’ il caso della discrasia che si è potuta rilevare fra le dichiarazioni rese da esponenti della sinistra radicale – in ordine ad una serie di temi – e i comportamenti concreti tenuti nel confronto con le componenti moderate dell’Unione. Si pensi all’accettazione supina del documento di intenti dell’Unione anche nelle parti più controverse, come quelle sulla politica internazionale. Si pensi, ancora, al comportamento più che contraddittorio tenuto sulla questione della riforma elettorale, con uno schiacciamento sulle posizioni dei DS o, ancora, alla reticenza che ha accompagnato le dichiarazioni di Prodi sulla necessità di ripristinare il maggioritario. Accanto a queste ambiguità, vi sono poi dei silenzi significativi. E’ il caso della rivendicazione del ripristino di meccanismi automatici di adeguamento dei salari all’inflazione, come la scala mobile. Questo tema pare ormai definitivamente derubricato. O, ancora, la questione delle pensioni che pare ormai indirizzarsi verso l’accettazione della riforma adottata dal governo Berlusconi, o ancora, connessa a questo tema, la vicenda del TFR, rispetto alla quale ci si poteva attendere una reazione molto più forte. Ma vi è di più, perché all’enfasi posta sulla necessità di un programma costruito dal basso – con il coinvolgimento diretto dei soggetti sociali – ha fatto seguito un comportamento del tutto contraddittorio, al punto che allo stato attuale, a pochi mesi di distanza dall’appuntamento elettorale, nessuno sa cosa si siano detti gli esponenti delle varie forze politiche ai tavoli di confronto messi in piedi dall’Unione per elaborare il programma di coalizione. Il riserbo che si è mantenuto stride con l’annunciata trasparenza del confronto e con la necessità della sua apertura alle istanze sociali. Infine, lascia più che perplessi l’adesione alle “primarie” come strumento per selezionare i leaders e i programmi, e non solo perché con questo sistema si è ottenuta la legittimazione plebiscitaria di Prodi, ma anche perché – a seguito di quel risultato – è stata rilanciata la proposta del Partito democratico, e cioè di un’opzione il cui segno moderato è chiarissimo. La stessa adesione alle primarie sul programma dà da pensare perché, trattandosi di assemblee convocate regionalmente, è assai probabile che rafforzino il peso delle componenti moderate. Inoltre, risulta curioso che le stesse siano state previste per la fine di gennaio, e cioè in un momento in cui il confronto programmatico dovrebbe essere già stato concluso.

4. La tesi, insomma, che intendiamo sostenere è che non solo vi è una preoccupante tentazione moderata nelle forze più significative dell’ Unione, ma che la stessa sinistra di alternativa appare ancora, per molti versi, inadeguata. Se dietro ai comportamenti di alcune delle forze che ne costituiscono i punti di riferimento vi fosse un calcolo di convenienza che privilegia il risultato sul piano politico istituzionale alla salvaguardia della propria autonomia politica – non si può che sottolineare l’estrema fragilità dell’operazione. Basti pensare agli appuntamenti delicatissimi che ci stanno di fronte. All’indomani delle elezioni il nuovo governo dovrà pronunciarsi sul ritiro delle truppe dall’Iraq e, di lì a pochi mesi, dovrà essere presentata la proposta di DPEF e quindi la legge finanziaria. Occorrerà dare risposte immediate e impegnative.
Che ne sarà, a quel punto, delle forze comuniste e della sinistra radicale poste di fronte ad alternative secche, ben difficilmente superabili con sintesi pasticciate o con astuzie tattiche? I rischi di un’implosione sono evidenti, giacché quello che sarebbe messo a dura prova sarebbe il sostegno della base elettorale, propensa certamente alla salvaguardia dell’unità della coalizione ma non incline, per questo, a ripiombare in una versione edulcorata delle politiche berlusconiane. In uno scenario simile potrebbero venire al dunque le ambiguità di una scelta “alleantista” condotta a prescindere da un serio confronto programmatico. Né si può ragionevolmente ritenere che in simili drammatici frangenti correranno in soccorso i movimenti. Questo auspicio è privo di fondamenti, a maggior ragione nel momento in cui, come sta avvenendo, la base politico-programmatica della coalizione di centro sinistra si poggia su contenuti che sono stati, in larga misura, decisi al di fuori di un confronto di massa. Inoltre, è abbastanza evidente che dopo la fase in cui vi è stata una mobilitazione di massa intorno alle tematiche della globalizzazione e della pace siamo oggi alla presenza di un’attenuazione della iniziativa sociale.
Ancora, il rischio che il risorgere di potenti spinte concertative possa liquidare i sussulti di autonomia della CGIL è in agguato. Tutto ciò non implica l’azzeramento del conflitto sociale, se non altro perché vi sono spezzoni significativi del sindacato che resistono: l’esempio della FIOM è a tale proposito eclatante, specie dopo il successo del recente sciopero generale e della manifestazione tenutasi a Roma. Ma lo è anche la mobilitazione spontanea delle popolazioni della Val di Susa e di molte altre realtà locali impegnate sui temi ambientali, in cui il conflitto testimonia, fra l’altro, l’esigenza di riappropriarsi della propria condizione, dismettendo la pratica della delega incondizionata alle rappresentanze politiche. Fatto che, se di per sé è positivo, costituisce anche la dimostrazione del pericolo concreto che il filo che lega movimenti e forze politiche possa – nel crescere delle divaricazioni – rompersi, rigettando molti elettori delusi nel disimpegno o addirittura nell’anti-politica. Inoltre, saremmo superficiali se non cogliessimo come queste esperienze corrano il rischio di venire isolate se non troveranno nuovi sostegni a livello sociale – e in tal senso sarà certamente molto importante il risultato finale del congresso della CGIL, la maggiore fra le organizzazioni sociali presenti nel paese – e se non disporranno dell’appoggio di forze politiche in grado di condizionare l’azione del nuovo governo per consentire il raggiungimento degli obiettivi di lotta.

5. I pericoli insiti nella nuova fase sono squadernati di fronte a noi. Che fare dunque? Non vi sono molte scelte possibili. Esiste, anzi, una priorità iscritta nelle cose e cioè la necessità di produrre a sinistra un’iniziativa rilevante dal punto di vista politico e sociale. Questa iniziativa, per avere un impatto significativo, deve avere dimensioni adeguate. A nostro avviso, in prima battuta, deve riunificate i soggetti che sono stati protagonisti, a vari livelli e con gradi diversi di impegno, dell’appuntamento referendario per l’estensione dell’articolo 18.
E’ questa la base su cui lavorare per la costruzione di uno schieramento politico e sociale. Questi soggetti vanno raccolti su un progetto di trasformazione della società italiana, in grado di tradursi in alcune fondamentali linee programmatiche.
Occorre, insomma, dare un ben definito profilo a questa sinistra di alternativa. A tal fine, non solo sarebbe urgente avviare un tavolo di confronto ma sarebbe altrettanto essenziale che l’impegno non si limitasse al piano propagandistico e che investisse la questione del rapporto con l’insieme delle forze dell’Unione.
La battaglia politica nell’Unione è altrettanto indispensabile dell’impegno a salvaguardarne l’unità e sarebbe poco credibile che le proposte sostenute pubblicamente da alcune forze non fossero oggetto di un confronto adeguato all’interno della coalizione, né si può pensare di eludere per ragioni tattiche tale confronto. Ai comunisti e alle forze della sinistra di alternativa si chiede, perciò, non solo più coerenza ma anche più determinazione. A quanti sostengono che il rapporto fra le forze che attualmente costituiscono la sinistra critica italiana si tradurrebbe in un’operazione “politicista” fra gli stati maggiori dei partiti si deve rispondere che questo rischio non può essere evocato come alibi per rifiutare un confronto reso indispensabile dall’evoluzione della situazione. Se vi sono dei deterrenti al politicismo questi vanno ricercati nel pieno coinvolgimento dei soggetti sociali e in una pratica che non pone il conflitto sociale in una dimensione separata dalla sfera dei rapporti politici, ma che ne riconosce l’intima connessione con la battaglia politico istituzionale.
Per questo una sinistra critica dovrebbe sostenere politiche socialmente avanzate e, nel contempo, costruire insieme ai propri referenti sociali un’ iniziativa dal basso. Si tratta di un’agenda impegnativa rispetto alla quale ci si scontra con uno scenario di disgregazione ma non vi sono scorciatoie, pena il decadimento della stessa sinistra critica a forza complementare di un disegno bipolare costruito su basi politiche moderate. Ma se questo dovesse essere l’esito nessuno potrebbe illudersi di poterne trarre un vantaggio. Avremmo solo una sinistra più debole della già debole sinistra italiana.