Ad osservare quanto accaduto nelle Poste Italiane nel corso degli ultimi anni si direbbe che il sindacato, la Cgil in particolare, abbia giocato un ruolo determinante al punto che solo con la fattiva collaborazione dei livelli nazionali del Slc-Cgil Poste, ma anche di tutte le altre sigle ammesse al tavolo del confronto tra Azienda e sindacati, quella che fu la più grande Azienda statale del Paese può oggi dire di essere realmente nel pieno di un processo che porterà alla totale privatizzazione, regolata soltanto dalle leggi di un mercato tanto più virtuale quanto più è globale, di una struttura produttiva pubblica che da sola riesce a movimentare fondi per tremilionisettecentomila miliardi (dati ’97) preparandola, dismissione su dismissione di settori e servizi ed a colpi di crescente flessibilità e destrutturazione contrattuale e dei diritti dei lavoratori, allo spezzatino aziendale che prelude alla svendita, col meccanismo della quotazione in borsa, di un bene pubblico di inestimabile valore economico e sociale. Che a preparare questa operazione si cimentasse la Cgil con i massimi esponenti nazionali della segreteria del sindacato di settore, espressi dalla maggioranza interna ad essa e particolarmente vicina al partito maggiormente rappresentato nella coalizione di governo, c’era da aspettarselo. Quel che difficilmente poteva essere previsto che accadesse in termini così marcati è che tale operazione avrebbe trovato concreta continuità ed avvallo da parte di quei quadri sindacali nazionali di categoria che oggi rappresentano, contemporaneamente, i massimi livelli nazionali dell’opposizione interna alla maggioranza filo-governativa ed aziendalista di Slc-Cgil che, prima di loro, avviò questo discutibile progetto.
Una trasmutazione alchemica, quella dei vertici nazionali di Alternativa Sindacale, che può essere compresa solo se inquadrata nelle mutate posizioni del quadro partitico delineatosi durante e dopo il governo Prodi, alla luce delle nuove compatibilità e della pretesa di governabilità introdotte dalla nascita di forze di sinistra, segnatamente il PdCI, che pretendono di essere tali pur governando fianco a fianco con i partiti che hanno costretto tutti a sorbirsi persino una guerra. In questo le logiche di governo hanno trovato, in Cossutta e compagni, piuttosto che un atteggiamento critico un perfetto alleato ed un eccellente alibi, a sinistra. In Slc-Cgil, come nelle altre categorie, esiste una parte di sindacato che, dopo l’ultimo congresso, ha dato vita ad aree programmatiche. Solo una, però, può dirsi in qualche modo organizzata: Alternativa Sindacale. Questa unica presenza di opposizione che vede i suoi vertici aderire, sia pure senza tessere in tasca, al partito di Cossutta, non ha dato fino ad oggi alcun segno di stravolgente discontinuità col passato. Anzi! Prigionieri, quei vertici, di logiche e collateralità con il governismo cossuttiano, non hanno potuto far altro che spingere maggiormente verso il soddisfacimento delle esigenze del mercato globale e del puro profitto aziendale, a dispetto della tanto proclamata autonomia dell’Area dai partiti politici e dagli equilibri di potere che questi ultimi si sono votati a mantenere, spesso con buona dose di scellerata sudditanza in cambio di qualche profittevole poltrona.
Eppure, in Alternativa Sindacale, la maggior parte dei compagni non si riconoscono in quel partito e tanto meno vi appartengono. Ben altre idee e ben altre presenze della sinistra popolano quell’area.
Ma, allora, dove sono? Perché non parlano? E se parlano ed agiscono, perché non riescono a determinare radicali mutamenti nelle politiche di quel Sindacato? La risposta potrebbe trovarsi nella enorme frammentazione esistente nel mare magnum della sinistra sindacale presente nel Paese al di fuori della Cgil. È come se tutte quelle forze, indubbiamente mosse da una legittima necessità di ridare un senso all’azione sindacale svincolata dal laccio soffocante delle logiche concertative e spinte dalla necessità di ricostruire un modello di sindacato di classe si siano trasformate, ove più ove meno consapevolmente, in altrettanti microcosmi. È in questi microcosmi, in queste Aree programmatiche esterne alla Cgil nelle quali la gestione di un potere di rappresentanza di per sé notevolmente limitato, la costituzione di gruppi dirigenti ancorché limitati nell’essenza del proprio ruolo complessivo, la assoluta ed inevitabile parzialità di diffusione tanto territoriale quanto nelle varie realtà produttive, che potremmo tentare di rintracciare un modello importato, sia pure parzialmente, in Cgil. Comprenderemmo, forse, il perché anche in Cgil si riveli tanto complesso il percorso per la costruzione di una, ed una sola e vera, Sinistra Sindacale. L’idea di voler affermare tante, forse troppe, egemonie paritetiche rappresenta di fatto la pretesa assurda e senza scampo, un ossimoro davvero improponibile!
Tale idea è la negazione stessa della volontà di costruire l’unica egemonia possibile in un sindacato: l’egemonia dei diritti dei lavoratori. Pretendere di incarnare in questo o quel gruppo dirigente la verità in proposito fa il paio con la sconfitta. Solo la rinuncia all’autoaffermazione ed alla sopravvivenza di questo o di quel gruppo dirigente precostituito, tanto dentro quanto fuori Cgil, può condurre ad un confronto realmente capace di rifondare l’idea stessa di sindacato. Il rischio è che il mancato scioglimento delle varie aree della sinistra sindacale dentro e fuori della Cgil, possa riprodurre l’assurdo alchemico che si è prodotto nel Sindacato storico della Sinistra Italiana. Per questo è necessario e non più rinviabile che si affrontino due questioni cruciali per la sinistra e strettamente interdipendenti tra loro. La prima questione attiene ad un necessario chiarimento, e cioè che non si tratta di stabilire un dove stare ma come stare all’interno di un’organizzazione sindacale. La seconda, invece, comporta un duplice sforzo. Comporta, cioè, il dover tracciare con chiarezza un vero progetto comune che la sinistra scelga di seguire in qualunque sindacato ove siano presenti soggetti organizzati della stessa e, contemporaneamente, l’elaborazione di pratiche comuni.
È tempo che si avvii l’elaborazione di qualcosa che potremmo definire , con termini evidentemente impropri, una sorta di Manifesto della rifondazione sindacale.
Quanto accaduto nell’ambito della storia recente delle politiche sindacali che hanno caratterizzato la vicenda Poste è davvero significativo ed esplicita meglio di qualunque analisi teorica il senso, ed in parte le dinamiche, di quanto detto.
Come si è concretizzato questo assurdo sortilegio?
Ecco la formula magica: un’Area Congressuale Cgil ben chiusa nel proprio guscio (Alternativa Sindacale è l’unica chance); una manciata di dirigenti sindacali compiacenti; pochi militanti purché siano in perfetta buona fede; un ex comunista convertito al governismo cossuttiano;mille proclami di pluralismo interno ben sbandierato in Cgil; 180.000 dipendenti allo sbando, nella più grande Azienda di servizi del Paese (le Poste, per esempio); qualche decina di migliaia di miliardi da gestire insieme al padrone; disperazione da disoccupazione (specialmente al Sud); povertà latente dei lavoratori; vacanza contrattuale: anni tre o più; parole vuote: abbondanti; collateralità: abbondante e ben diluita con molto clientelismo indotto; concertazione, flessibilità, lavoro in affitto, avvalli alla dismissione di interi segmenti produttivi, connivenze, accordi capestro e sottobanco raccolti di fresco possibilmente in buona compagnia di altri sindacati (insomma tutta la spazzatura contrattuale reperibile): a volontà!
Procedimento mescolare a lungo nel crogiuolo di quel governo allargato che chiamano Sindacato (uno qualunque va bene, se è la Cgil è meglio perché nessuno oserà mai affermare che è di destra).
Lasciar cuocere, rimestando, fino a quando dalla pelle dei lavoratori non saranno usciti tutti i rimasugli di dignità e di volontà rivendicative!
Lasciare scoperto perché il clientelismo indotto, evaporando, lasci il posto ad una densissima ricattabilità.
Far riposare fino alla definitiva approvazione del Contratto e relativa avvenuta ratifica di esso.
Successivamente servire tiepido ai lavoratori guarnendo con foglie di cicuta spacciando il tutto per la migliore soluzione possibile.
Evitare accuratamente di sottoporre al giudizio preventivo dei lavoratori. Non serve!
Cari sindacalisti alternativi e di sinistra, ricordatevi che siete voi a rappresentarli! Quindi, assaggiatene una piccolissima quantità. Se avvertirete quel retrogusto salaticcio che precede il momento in cui il conato si trasforma in atto compiuto potrete essere certi di aver fatto un buon lavoro!
Vantatevene apertamente e pretendete l’applauso! Certo, i lavoratori potrebbero rifiutarsi di bere. Non preoccupatevene, non hanno scelta! Lo faranno … lo faranno! Li avete convinti? Bene! Era inevitabile, voi siete l’alternativa di sinistra in questo sindacato! Chi oserà dire male di voi? La maggioranza interna alla Cgil? Mai! Avete certamente fatto meglio di loro quel che a loro voi stessi avreste apertamente contestato da sinistra che siete! I lavoratori? Ma no…! Sono troppo impegnati a dirsi l’uno con l’altro che in fondo, a guardar bene in giro, mica stanno poi tanto male, tutto sommato stanno solo ingoiando amaro come fanno ormai da tempo!
E poi, c’è persino chi non può ingoiare un bel niente, poverino! E se poi devono lavorare tutta la vita in uffici fatti di amianto, ammalandosi oggi per saperlo tra venti o trent’anni non è poi così male! E se hanno lavorato di notte per una vita come fossero zanzare che, però, almeno di giorno dormono, hanno pur sempre guadagnato qualche soldino in più! E se la sicurezza nei luoghi di lavoro non c’è, anche questo è in linea con il mercato e le sue esigenze prioritarie. Mica si può pretendere di avere un posto fisso per quarant’anni! Qualcuno, crepando prima, dovrà pure essere da esempio di flessibilità massima per gli altri! Tredicimila morti di lavoro in dieci anni, milletrecento in un anno, tre o quattro al giorno, in Italia, mica sono colpa vostra! Voi, in fondo, col vostro silenzio, state solo dando una mano alla collettività. Mica si possono pagare le pensioni per tutti! Qualcuno dovrà pur rinunciare a favore di tanti. E perché aspettare che crepi domani e di fame? Perché farlo soffrire da vecchio? Meglio una morte che arriva lavorando, rapida se possibile, piuttosto che la lunga agonia della vita! La vecchiaia, carogna ed improduttiva, non può far parte del vostro progetto di spiccata modernità! In fondo collaborate ad una sorta di caritatevole eutanasia della classe operaia sofferente! E poi, perché restare lavoratori dipendenti a vita? Non è forse questo che avete raccontato loro per anni? Non si era detto che avrebbero dovuto imparare ad essere imprenditori di se stessi? Siete riusciti a distruggere quella vergognosa messa in scena, la loro identità di classe operaia, trasformandoli in una classe imprenditoriale bonsai e virtuale. Oggi fate alla grande i loro interessi, cioè degli imprenditori, quasi meglio di Confindustria, di che avete paura? È giusto aspettarsi da voi che a dirigere pezzi di sindacato, come accade in Postel, chiamiate gli stessi funzionari che avrebbero dovuto presidiare l’altra parte del tavolo! Loro, in fondo, sanno meglio di voi quel che serve fare! E poi, perché stare dall’altra parte del tavolo se, concertando, si sta già tutti dalla stessa parte? Avete persino risolto il problema del finanziamento delle vostre attività sindacali in quel pezzo di produzione, che prima delle vostre firme era tutto delle Poste, visto che Postel S.p.A. vi paga persino le trasferte per le vostre attività sindacali (quando vi consente di farle). Sindacato giallo? Ma no, suvvia! Violazione dello statuto Cgil e dello Statuto dei lavoratori? Non esageriamo!
Semmai compenetrazione, concertazione, comprensione e condivisione! Potreste persino presentarla come una conquista della classe operaia che riesce, grazie a voi, a spillare quattrini ai capitalisti! Non è geniale? State tranquilli! Fate con calma! Tanto al governo c’è chi, da voi ricambiato, vi vuole un bene dell’anima! In Azienda sono tutti dalla vostra parte, soprattutto quei dirigenti che sono lì grazie alla vostra devota ed interessata compiacenza! Voi state dalla loro stessa parte, di che avete paura? Mica c’è una sinistra sindacale più sinistra di voi che potrebbe dire qualcosa di sinistra, piuttosto che di sinistro come avete fatto voi! Tutto sommato, poi, state in una botte di ferro. Siete l’alternativa sindacale che detiene la segreteria nazionale della categoria e siete l’opposizione che governa come fosse la maggioranza, anche meglio, senza una maggioranza che faccia opposizione!
Non ci capite più niente neppure voi, come potrà capirci qualcosa un povero lavoratore? Tranquilli…! State tranquilli! ….. Compagni!
Sarà bene, tuttavia, non distrarsi troppo. Perché può sempre accadere che quell’involucro auto-ghettizzante che chiamate Area Programmatica si rompa! Può capitare che, esaurito il ruolo di moltiplicatore di gruppi dirigenti, le aree come tali perdano definitivamente di significato. I lavoratori, quelli di sinistra per davvero, i comunisti che non governano la fianco della Nato, per intenderci, possono lavorare per costruire in Cgil qualcosa di tanto nuovo quanto antico: la sinistra sindacale. Senza chiudersi nelle gabbie di una o più aree. Con la volontà di essere di sinistra ed antagonisti piuttosto che fingendosi tali, come avete fatto voi, e ricercando, proprio per queste ragioni, un dialogo nuovo anche con quei lavoratori che, fuori dalla Cgil sono, anche loro, sinistra sindacale. Sapendo che la Cgil non ha bisogno che al proprio interno vi siano tracce di sinistra, quasi residui o scorie. No! La Cgil potrebbe essere davvero il sindacato dei lavoratori piuttosto che dei suoi 14.500 funzionari sindacali. Perché la Cgil può e deve essere la casa comune di donne e di uomini che, consapevoli di essere uniti da una comune identità, possono tornare a sentirsi classe sociale piuttosto che ceto politico; e questo vi fa tremare i polsi! Si percepisce tra i compagni comunisti presenti in Cgil, ma pure tra i lavoratori non così fortemente politicizzati, la crescente consapevolezza che un sindacato come quello non può avere solo delle aree interne di sinistra mantenendo inalterato nei fatti tutto il resto. Esattamente così com’è oggi. Perché Cgil o è tutta di sinistra o, molto semplicemente, non è la Cgil! Dite che non può accadere? Che è impossibile? C’è chi dice che, invece si può! Specialmente oggi, in vista del prossimo Congresso. Certo non sarà moderno, non secondo i vostri canoni di modernità; e neppure caratterizzato dalle vostre orrende flessibilità, ma potrebbe accadere. Nel frattempo assaggiate l’intruglio, moderno e flessibile, che avete preparato, ridendo sopra a tutto questo, se credete. Se poi qualcuno (chissà perché poi dovrebbe provarne interesse) volesse sapere che fine avrà fatto, dopo la pubblicazione di questa pagina, il coordinatore regionale di Alternativa Sindacale Poste-Puglia che fin qui ha scritto, chiedete pure in giro! Qualcuno sicuramente vi risponderà.
In Cgil, naturalmente!