La sinistra di fronte alle elezioni

È possibile invertire la tendenza che – sulla base dei risultati delle elezioni europee e regionali degli ultimi due anni e tenendo anche conto delle indicazioni che vengono dai sondaggi – induce a ritenere che lo schieramento di centro destra sia destinato a conquistare la maggioranza in Parlamento (e dunque il Governo) nelle elezioni politiche della prossima primavera? E che cosa si può fare, per lo meno, per contrastare questo orientamento ed evitare, comunque, che esso si traduca in un vero tracollo per le forze di sinistra e democratiche?
C’è chi, nel centro sinistra, pare riporre le sue speranze in varianti superficiali, come il relativo miglioramento della congiuntura economica o il grado di maggiore o minor consenso che sembra raccogliere questo o quel candidato. Si trascurano, in questo modo, i processi strutturali e gli orientamenti culturali di fondo che in questi anni hanno portato al rafforzamento, nell’opinione pubblica e nell’elettorato, delle posizioni di destra.
In realtà, se si considera con attenzione l’arco di tempo rappresentato dall’attuale legislatura, è evidente che un momento decisivo di svolta è stato segnato dalla rottura, alla fine del 1997, della maggioranza che, attraverso il patto di desistenza tra il complesso del centro sinistra e Rifondazione comunista, aveva portato alla vittoria del 21 aprile. Non tutti, allora, avvertirono il carattere profondamente negativo di quella svolta, e del conseguente passaggio dal Governo Prodi al Governo D’Alema. Ci fu anzi chi si illuse, tra i fautori di quell’operazione, che venendo meno il condizionamento esercitato da Rifondazione, si aprisse la strada per una politica più moderata capace di indebolire in modo consistente la destra sia acquisendo alla maggioranza settori centristi già schierati col Polo (l’operazione Cossiga, l’ingresso al Governo dell’Udeur di Mastella, i transfughi della Lega, ecc.) sia rendendo più incisiva e coerente l’adesione a una linea di modernizzazione di impronta sostanzialmente liberista.
In realtà i risultati della svolta furono, nell’opinione pubblica e nel paese, di tutt’altro segno; e si dimostrano decisamente non favorevoli per il centro-sinistra. Ciò che l’opinione pubblica e in particolare l’elettorato di sinistra in quel momento attendevano era, infatti, che una volta operato l’aggancio all’Euro, che era l’obiettivo che aveva rappresentato un punto di forza e di coesione per il Governo Prodi, si cominciasse finalmente a dare avvio alla cosiddetta fase due; cioè a un più incisivo impegno riformatore così in campo sociale come per uno sviluppo indirizzato all’incivilimento del paese (ricerca, formazione, grandi infrastrutture civili, ecc.). Vi fu invece un ristagno dell’attività di Governo, con molte affermazioni sull’innovazione e sulla modernità ma con pochi risultati. Ma fu soprattutto negativa per gli elettori, l’immagine di una maggioranza e di un Governo che si reggeva non più sulla coerenza col voto popolare del 21 aprile, ma sull’acquisizione di voti in Parlamento attraverso manovre trasformistiche, fenomeni di ribaltonismo, iniziative clientelari. E infatti divenne subito palese, nelle elezioni europee e nelle amministrative parziali della primavera del ’98, che la conseguenza di quella svolta era, a sinistra, la crescita della disaffezione per la politica e della tendenza all’astensionismo; e d’altra parte che il passaggio al centro sinistra, in Parlamento, di molti deputati e senatori già eletti dal centro destra non determinava affatto, nel paese, un travaso di voti dal Polo o dalla Lega verso la maggioranza di Governo. È proprio da quel momento, invece, che prende avvio a destra un processo non solo di ricerca più o meno improvvisata di intese elettorali (come era avvenuto nel ’94) ma di creazione di un blocco politico e sociale capace di operare compattamente e di consolidare la propria presa sull’elettorato. L’asse portante di questa operazione (favorita dal disarmo culturale e ideale di tanta parte della sinistra) ha trovato la sua traduzione politica e dottrinale nella combinazione tra liberismo e teoria della sussidiarietà: ossia passaggio di funzioni, compiti, finanziamenti dal pubblico verso il privato e dallo Stato alle Regioni e agli enti locali; concessioni al localismo, al municipalismo, all’ostilità per il diverso: compensazione del conseguente indebolimento del ruolo dello Stato con un’ideologia presidenzialistica e plebiscitaria. Attorno a questi principi è stato possibile saldare, a destra, il moderatismo postdemocristiano e leaderistico di Forza Italia con il localismo e l’antistatalismo della Lega e con il populismo regressivo e nazionalistico di An. Si è così formato un blocco che è saldamente maggioritario in quasi tutto il Nord e che aspira ad esserlo anche nel Centro Sud.
Il vero problema, dunque, non è di immaginare di poter superare le difficoltà con qualche manovra diversiva, ma di incidere sui processi reali e sugli orientamenti di fondo per cercare di contrastare il consolidamento di questo rapporto di forze favorevole al centro destra. Qualche suggerimento ci può venire, in proposito, da ciò che accade nel quadro europeo.
Certo, praticamente in tutta Europa il cedimento dei partiti socialisti e socialdemocratici alla grande ondata liberista e neoprivatista ha creato condizioni di favore per la controffensiva di destra. Ma questa controffensiva ha potuto sfondare più facilmente là dove la sinistra si è presentata più divisa o dove le sue diverse componenti hanno trovato solo all’ultimo momento, in vista delle elezioni, qualche intesa superficiale e di carattere meramente tattico: come è stato il caso, in particolare, dell’Italia dopo il ’97 e della Spagna. E, soprattutto, più pesante è stato l’arretramento della sinistra là dove più marcata è stata l’adesione a un’idea di modernità e di innovazione sostanzialmente subalterna ai dogmi del liberismo; mentre una maggiore resistenza è stata possibile là dove, come in Francia, si è cercato di non deporre del tutto un’ispirazione che si richiamasse al riformismo e ai principi di equità sociale.
Da questa più ampia esperienza che riguarda l’Europa è possibile trarre qualche indicazione anche per il nostro paese. Innanzitutto (come dimostrano, del resto, le esperienze opposte delle elezioni del ’96 e delle successive elezioni europee e regionali) si può sperare di recuperare almeno in parte l’astensionismo di sinistra solo se si mantiene aperta la strada – anche, per esempio, utilizzando le possibilità offerte dal meccanismo del doppio voto, quello per la quota proporzionale e quello per la quota maggioritaria – a prospettive di convergenza elettorale che siano magari anche parziali, ma che possano apparire come la premessa non solo per un voto utile contro la destra, ma per una ripresa di confronto strategico a sinistra.
In secondo luogo (e le due condizioni, del resto, inevitabilmente si intrecciano) è indispensabile rendere più marcata la contrapposizione programmatica e di indirizzo rispetto al centro destra sia sul terreno economico e sociale sia su quello delle finalità ideali e dello sviluppo culturale e civile. C’è un grande compito che spetta, a questo riguardo, alle forze politicamente più avanzate che sono presenti tra i democratici di sinistra e negli altri partiti della maggioranza governativa: si tratta di riprendere con più decisione la critica all’attuale società e all’attuale tipo di sviluppo, facendo di questa critica il fondamento per una caratterizzazione programmatica che dia un carattere non contingente alla ricerca di una maggiore convergenza programmatica a sinistra.
Sarebbe ovviamente azzardato sperare che una correzione di linea come quella qui auspicata possa – anche per la vicinanza, ormai, della scadenza elettorale – modificare radicalmente una situazione che è già per tanti aspetti compromessa. E deve essere chiaro, soprattutto, che c’è – per ragioni oggettive e soggettive – un aspetto strategico della crisi della sinistra, non solo in Italia ma nel mondo; e ciò richiederà inevitabilmente un lavoro di lunga lena, così sul piano dei fondamenti teorici e culturali come su quello della concreta iniziativa politica, prima di giungere a determinare, attraverso un sostanziale rinnovamento, una effettiva ripresa della capacità egemonica delle finalità ideali e degli obiettivi programmatici di una sinistra radicalmente riformatrice.
Ma anche per contribuire al concreto avvio di un processo che vada in questa direzione è importante contenere e per quanto possibile contrastare l’offensiva conservatrice di destra; e soprattutto dare impulso a un rilancio di posizioni ideali e politiche di sinistra, così da evitare che una possibile sconfitta determini, in questo campo, un’ulteriore dispersione e disgregazione di forze che, almeno per il momento, sarebbe irreparabile.