La situazione è in continuo e repentino cambiamento, a partire dal quadro internazionale, ed è impregnata di gravi pericoli ma anche di grandi potenzialità per le forze che si richiamano alla sinistra e al movimento operaio, sia nel mondo che nel nostro paese. Vi potrebbe essere una guerra devastante, persino con l’utilizzo di armi nucleari e non solo nei confronti dell’Iraq (come più volte ha minacciato l’amministrazione Bush), ma di contro si potrebbe finalmente creare – per reazione e per interessi opposti a questa pericolosa accelerazione unilaterale americana – un ampio fronte mondiale (fatto di Stati, popoli, religioni) in grado non solo di creare le condizioni per un mondo multipolare ma anche di fermare (o persino invertire?) la tendenza controrivoluzionaria e neoliberista avviata con il reaganismo e con la crisi e il crollo dell’Urss degli anni ’80-‘90. In Italia si potrebbe determinare una situazione di rischio per la stessa esistenza di una sinistra e persino di Rifondazione comunista, ma anche al contrario una situazione di rinascita di una vera sinistra degna di questo nome e al suo interno di un partito comunista più forte e combattivo. La situazione è apertissima e tanta parte dei destini della sinistra italiana dipende dalle vicende internazionali legate alla guerra. Pertanto farò solo alcune riflessioni destinate ad essere modificate dagli sconvolgimenti delle vicende internazionali e dal se e dal come inizia e si sviluppa questa nuova guerra, molto diversa dalle altre del decennio trascorso1.
I movimenti di lotta
Già dal giorno della vittoria elettorale di Berlusconi, la situazione della sinistra italiana è entrata in forte sommovimento. Qual è la causa principale, oggettiva di questo processo? Non è nel “teatrino” della politica italiana descritto dai mezzi di informazione che riducono tutto al balletto o al duello fra questo e quel leader e non vedono i movimenti profondi della società che determinano anche la dialettica nel ceto politico. La causa principale del sommovimento a sinistra sta nella incapacità (o nella non volontà) dei gruppi dirigenti delle forze principali della sinistra (emblematico l’esito dell’ultimo congresso dei Ds) di rappresentare il malessere sociale, politico, ideale del popolo o dei popoli di sinistra e delle classi sociali meno abbienti colpiti dal neoliberismo e dalla sua gestione politica reazionaria portata avanti dal governo Berlusconi-Fini-Bossi.
È un caso che vasti movimenti di massa siano esplosi solo dopo la vittoria del centro-destra alle elezioni del maggio 2001? Non è un caso, perché è evidente che il governo di centro-sinistra ha rappresentato una gabbia per il conflitto sociale, che pure covava sotto le ceneri. Grave errore, fatto sia nella sinistra moderata che in quella di alternativa, è stato quello di pensare che il popolo di sinistra fosse sparito, disfatto o imploso solo perché non faceva sentire la sua voce contro il governo di centro-sinistra oppure perché nelle elezioni del maggio 2001 non passava automaticamente dai Ds a Rifondazione. Subito dopo la vittoria di Berlusconi, chi era a dare per primo l’avvio alle danze del disgelo sociale e della crescita dei movimenti? Guarda chi si rivede: la classica classe operaia di fabbrica. Il 6 luglio la Fiom rompeva la gabbia della concertazione e della unità sindacale delle sigle con il coraggioso e riuscito sciopero generale per il contratto. Subito dopo, a Genova il 21 luglio 2001, irrompeva il nuovo movimento no-global con le sue masse sterminate di giovani e giovanissimi, dati troppo presto per acquisiti al pensiero unico capitalistico. Per giungere, passando per le manifestazioni contro la guerra di Assisi e Roma, alla storica mobilitazione della Cgil per l’articolo 18 il 23 marzo 2002 a Roma, allo sciopero generale unitario del 16 aprile, alle manifestazioni del nuovo movimento dei cosiddetti “girotondi”, al nuovo fermento del mondo della scuola contro la “riforma Moratti”, fino allo sciopero generale promosso dalla sola Cgil (il 18 ottobre 15 milioni di lavoratori in sciopero e 4 milioni nelle piazze) e alla manifestazione contro la guerra del 9 novembre a conclusione del Forum sociale europeo di Firenze. Vorrei ricordare per inciso che il governo Berlusconi è passato e sta passando come un carro armato su tutto, dal falso in bilancio, alle rogatorie, all’immigrazione, alla Cirami, alla finanziaria. L’opposizione parlamentare del centro-sinistra non gli fa un baffo. L’unico punto su cui per il momento è stato fermato è quello sull’articolo 18. E da chi è stato fermato? Non da Cofferati, come recita il teatrino della politica che vede solo i leader e la politica spettacolo, bensì dal vecchio, defunto, brutto, sporco e cattivo movimento operaio novecentesco, attraverso i classici strumenti di lotta del novecento, gli scioperi e le manifestazioni di piazza.
Perché ho ricordato quasi due anni di fermenti e movimenti della società? Perché non è pensabile la rinascita di una sinistra degna di questo nome (neanche di una sinistra riformista seria), la costruzione di una sinistra di alternativa, la ricostruzione di un partito comunista di nome e di fatto, fuori da questi movimenti e in particolare fuori dal movimento dei lavoratori. La qualcosa non è scontata perché la malattia del “politicismo” ha contagiato un po’ tutte le forze di sinistra, perché c’è un politicismo moderato ma anche un politicismo alternativo. Persino noi di Rifondazione non siamo immuni, purtroppo, da questo virus, altrimenti non si spiegherebbe l’eccessivo spazio politico che abbiamo lasciato negli ultimi due anni a Cofferati a sinistra del duo Rutelli-D’Alema. Il pregio di Rifondazione (e questo è bene che tutti a sinistra lo riconoscano) è di aver visto prima di tutti le potenzialità e la non transitorietà del movimento no-global contribuendo alla sua nascita; il suo difetto è di aver sottovalutato, anche per l’influenza eccessiva di alcune sbagliate teorie “innovative” come quelle di Marco Revelli, non solo la permanenza ma persino l’accentuazione della centralità della contraddizione fra capitale e lavoro e del movimento dei lavoratori nell’epoca della globalizzazione, difetto questo ancora non superato del tutto (la qualcosa non è un difetto da poco per un partito di sinistra e per di più comunista). Se non fosse così non vi sarebbe neanche da discutere se c’è spazio in Italia per un ipotetico “partito del lavoro” fra Rifondazione e i Ds o se il “progetto Cofferati” ha uno spazio. Purtroppo se si lasciano aperti gli spazi politici prima o poi qualcuno li riempie.
La sinistra di alternativa
L’ulteriore spostamento (e competizione) al centro di Rutelli e D’Alema e i vizi di “minoritarismo” di Rifondazione hanno lasciato per mesi e mesi uno spazio vuoto a sinistra, ancora più evidente a fronte non solo dell’aumento del malessere sociale, ma anche della crescita dei fermenti e dei movimenti di massa. Chi rappresenta politicamente il 70-80% di italiani contrari alla guerra? Chi rappresenta il 60-70% di favorevoli all’articolo 18? Chi rappresenta quel vasto popolo di sinistra e democratico sconcertato e colpito profondamente dalle scandalose iniziative del governo a favore degli interessi privati di Berlusconi? Non certamente la maggioranza del gruppo dirigente diessino, che si è collocato con coerenza nell’alveo della tradizione e della cultura della socialdemocrazia di destra italiana (il craxismo) ed europea, e che guarda con fastidio o perlomeno con imbarazzo a questi movimenti. Chi sta tentando di occupare questo spazio è la sinistra Ds in tutte le sue articolazioni politiche e sindacali. Ma cos’è la sinistra Ds ? Anche qui mi aiuta a capire se esco dagli schemi del tipico provincialismo italiano. La sinistra Ds, da Salvi a Cofferati, da Tortorella a Folena, è l’espressione in Italia (coerente e dignitosa) della sinistra della socialdemocrazia che si agita in tutta Europa e non solo (che per esempio è copromotrice dei Forum di Porto Allegre). Non mi ha aiutato invece a comprendere cos’è la sinistra Ds né a prevedere e a capire il “fenomeno Cofferati” la tesi che la socialdemocrazia (o riformismo che dir si voglia) non esista più né che gli spazi di riformismo si siano esauriti (al più si sono ridotti). Come sempre nella sua storia, la socialdemocrazia ha al suo interno diverse tendenze e correnti (di destra, di centro e di sinistra) e Cofferati e buona parte dei gruppi dirigenti del correntone Ds o della Cgil possono essere considerati socialdemocratici o riformisti di sinistra2.
Dunque è in questo spazio che si è creato fra Rifondazione e D’Alema che va collocato il progetto e il processo di una sinistra di alternativa, affinché questa non si riduca ad una Rifondazione allargata o trasformata, ma invece abbia dimensioni di massa e sia in grado di competere con la sinistra moderata per l’egemonia. La sinistra di alternativa dunque non può e non deve essere cosa separata dalla sinistra Ds, non può che comprendere cioè settori della socialdemocrazia di sinistra, come è stato fatto a Porto Allegre. È d’altronde evidente che affinché la sinistra di alternativa possa comprendere partiti o parti di partiti (dei Ds, Verdi, Pdci), movimenti e sindacati o parti di essi (come la Fiom, settori della Cgil, sindacati di base), la sinistra di alternativa non può essere un partito o qualcosa che vi assomiglia (un cosiddetto soggetto politico), né una federazione come ha in testa Cossutta come passo intermedio per il partito unico, bensì una rete aperta ma coordinata di diversi soggetti autonomi, politici, sociali, di movimento, che si uniscono e si mettono in azione su comuni contenuti concreti. Più si vogliono mettere le braghe politiche ed organizzative alla sinistra di alternativa e meno forze e soggetti si rischia di aggregare e più il progetto diventa impraticabile e irrealistico.
La lotta contro la guerra
I contenuti sono decisivi per costruire una rete più stabile di sinistra alternativa, affinché anche questa non prenda la malattia del politicismo. Il primo contenuto non potrà che essere la lotta contro la guerra. Tuttavia questo obbiettivo va ridefinito per distinguere la sinistra di alternativa da quella moderata, perchè oggi anche i Ds e l’Ulivo dicono di essere contro la guerra3. Questo non può che essere positivo, anche se le forze del centro-sinistra vanno incalzate a passare dalle parole ai fatti, dall’intenzione di voto in parlamento alla mobilitazione per la pace nelle piazze, e prima che scoppi la guerra, non dopo. Tuttavia, premettendo che è bene creare il più vasto e unito movimento contro la guerra, anche oltre il centro-sinistra verso settori cattolici in sofferenza del centro-destra (del resto Chirac non è di centro-destra?), è anche necessario contemporaneamente dotarsi di obbiettivi più avanzati sia per una sinistra di alternativa che per il movimento no-global, entrambi interni al più vasto movimento per la pace. Quali possono essere questi obbiettivi? Provo sinteticamente a proporne qualcuno: 1) il disvelamento delle cause vere della guerra, degli interessi americani sia economici (il petrolio) che geopolitici (il predominio militare sul mondo), il legame fra sistema capitalistico, globalizzazione e guerra; 2) la necessità che il movimento dei lavoratori prenda in mano la lotta contro la guerra, l’obbiettivo dello sciopero generale europeo, tutte le connessioni fra guerra e massacro sociale, fra aumento delle spese militari e riduzione delle spese sociali; 3) la rimessa in discussione della Nato che è la prigione dell’Italia e dell’Europa, l’organizzazione di manifestazioni alle basi Nato e Usa in Italia, come il movimento ha fatto a Camp Derby in apertura del Forum europeo di novembre; 4) la difesa strenua e coerente dell’articolo 11 della Costituzione italiana. È su questi contenuti che la parte più avanzata del movimento per la pace può e deve caratterizzarsi, non invece nella radicalizzazione delle cosiddette forme di lotta, come viene proposto da talune parti del movimento no-global4.
La lotta contro il neoliberismo
Anche l’obbiettivo della lotta contro il neoliberismo non può più essere di per se sufficiente a definire i contorni politico-programmatici di una rete di sinistra di alternativa. Qualche settimana fa anche Massimo D’Alema, di ritorno da un recente viaggio nel Brasile di Lula ha dichiarato di essere contro il neoliberismo. Intendiamoci, sono dichiarazioni positive e importanti che confermano la nostra analisi sulla crisi del neoliberismo. Tuttavia è evidente che la sinistra di alternativa deve trovare obbiettivi di lotta coerenti con l’opposizione dichiarata al neoliberismo. E qual è l’obbiettivo di lotta più coerente e con le più grandi potenzialità di massa se non la battaglia per far vincere il Si nel referendum per l’articolo 18? In questa battaglia la sinistra di alternativa e in essa Rifondazione può raccogliere, se si evitano minoritarismo e settarismo, tutti i frutti della grande mobilitazione popolare sviluppata dalla Cgil nell’ultimo anno. È quindi necessario evitare polemiche fra Rifondazione e il resto della sinistra politica e sindacale (e in particolare il manifesto e il gruppo di sindacalisti di sinistra attorno a Sabattini e Rinaldini), la quale non potrà non votare Si nello scontro che ci sarà con il governo Berlusconi. Alla battaglia per l’articolo 18 si può e si deve affiancare la riapertura della questione salariale a fronte della drastica riduzione del potere d’acquisto degli ultimi anni, la qualcosa è sentita fortemente dalla stragrande maggioranza della popolazione italiana.
La lotta per il partito comunista
La situazione attuale, come ho detto all’inizio, è densa di gravi pericoli ma anche di grandi opportunità non solo per l’intera sinistra ma anche per il mio partito, Rifondazione Comunista. Magari avessimo già vinto la scommessa per la nostra esistenza, come spesso si è detto in questi anni con una certa approssimazione. Al contrario proprio le prossime scadenze sono decisive per la nostra stessa esistenza. Un esito negativo del referendum coniugato con una perdita della bussola di fronte al fenomeno Cofferati può determinare anche un calo di consensi elettorali ed è bene aver presente che la soglia del 4% (per l’esistenza parlamentare) non è così lontana. Al contrario, un esito positivo della battaglia referendaria e lo sfruttamento a nostro favore dei processi sociali che hanno determinato il fenomeno Cofferati possono aprire la strada non solo alla costruzione di un campo ampio di sinistra di alternativa ma anche al rafforzamento politico, organizzativo ed elettorale del PRC, creando le premesse per la rifondazione e la ricostruzione di un forte partito comunista. Anche questo obbiettivo, tuttavia, non casca dal cielo ma è frutto di una lotta, dura, per riaffermare o rimotivare sia il valore del “partito” che il valore dell’aggettivo “comunista”. Una lotta che non può più essere soltanto difensiva, protesa a “difendere” o a salvaguardare l’autonomia del partito da qualcuno che la minaccia, ma anche all’attacco con coraggio per costruire un forte partito comunista fra gli operai della battaglia per l’articolo 18, fra gli intellettuali e i giovani del movimento contro la globalizzazione capitalistica e contro la guerra. Non possiamo sprecare la grande occasione dei prossimi mesi. Un forte partito comunista è ormai anche possibile oltre che necessario.
Note
1 Al momento in cui scrivo questo contributo che mi è stato richiesto al dibattito a sinistra (oggi è il 25 gennaio) vi sono appena state la presa di posizione di Francia e Germania e la dura reazione americana contro la “vecchia Europa”. Allo stato attuale non possiamo prevedere come si svilupperanno gli eventi, con quali altre pressioni politiche, economiche e militari il governo americano tenterà di “convincere” i più recalcitranti governi europei a dare il consenso alla guerra. Così come è successo con l’azione terroristica al Teatro Dubrovka di Mosca, non si possono escludere nuovi eventi drammatici anche nei paesi dell’Unione Europea tesi a intimidire i governi più esitanti e a creare ulteriori eclatanti pretesti per rendere più difficile opporsi all’attacco anglo-americano. Si veda l’articolo di due esponenti dello staff strategico del governo americano, R.D.Asmus e K.M.Pollac, “Rifondiamo la NATO per democratizzare il Medio Oriente”, in Limes n.4/2002. In esso i due autori giungono in sostanza ad invocare un grande attentato in Europa per convincere i riottosi alleati. Testuale a pagina 84: “Ma l’Europa è all’altezza di questa sfida? I nostri alleati non hanno ancora avuto la loro Pearl Harbor, che li avrebbe costretti a ripensare profondamente le loro priorità nazionali… Possiamo sperare solo che il vecchio continente impari dagli errori dell’America. Ma per arrivare a questo forse dovrebbe subire un grande attacco terroristico come quello delle Torri Gemelle”.
2 Se si comprende la natura di queste importanti componenti di sinistra si individua meglio anche la differenza strategica con noi comunisti e si possono favorire così, come è necessario, le più forti convergenze unitarie fra diversi. Al contrario, se la differenza strategica fra Rifondazione e Cofferati, come ho sentito dire, è che quest’ultimo vuole spostare a sinistra l’Ulivo e Rifondazione vuole costruire la sinistra di alternativa, si rischia di mettere in campo non una vera differenza strategica ma solo una differenza politica, tattica, che peraltro domani potrebbe assottigliarsi e persino annullarsi (chi ci dice che l’Ulivo esisterà sempre? chi ci assicura che non si disarticolerà in un centro e una sinistra? e a quel punto quali saranno i confini fra questa sinistra e la sinistra di alternativa?). Contemporaneamente se non si chiariscono i veri confini strategici si rischia di aprire una competizione sullo stesso terreno (la costruzione della sinistra, della sinistra del lavoro o della sinistra alternativa) su cui invece bisognerebbe lavorare assieme, unitariamente, se fossero ben chiari e distinti i progetti strategici (il nostro progetto strategico che ci distingue e ci distinguerà sempre da Cofferati, che andrebbe ripreso e rilanciato, è secondo me che lui è – per sua ammissione – un riformista, noi siamo comunisti; lui vuole costruire un vero partito riformista, noi vogliamo rifondare e ricostruire un partito comunista).
3 Come mai la sinistra moderata, i Ds e persino tutto l’Ulivo sono contro la guerra ? E come mai questo fatto ha un po’ spiazzato la sinistra più radicale ? Per lo stesso motivo per cui si è rimasti un po’ spiazzati dalla collocazione di buona parte degli Stati europei, della Russia e della Cina, dati troppo frettolosamente per assoldati alla grande coalizione per la guerra assieme agli Usa. E non è che i Ds o la Francia, la Germania siano diventati pacifisti, c’è solo che l’Unione Europea e il capitalismo europeo sono, già da tempo, entrati in contrasto con gli interessi americani, in quella che si presenta come una nuova contraddizione interimperialistica. Aver dato per superata nella maggioranza della sinistra (già dall’ultimo decennio del Pci) non tanto la terminologia quanto le nozioni, i concetti marxiani di imperialismo e di contraddizioni interimperialistiche, aver dato troppo frettolosamente per superata la funzione degli stati nazionali, ha condotto la sinistra italiana ed anche le sua parti più radicali a non prevedere il forte contrasto fra Usa ed Europa di questi giorni e men che meno a capire il ruolo che possono giocare la Russia e la Cina per il sol fatto che questi due paesi ricordano in qualche modo l’aborrito contrappeso del “campo socialista”.
4 Mi sembrano totalmente assurde e datate le polemiche sulle forme di lotta apertesi all’interno del movimento contro la globalizzazione (una polemica aspra fra la Fiom e il Social Forum di Bologna dopo l’ultima manifestazione con incidenti con la polizia ed una polemica fra la Cgil e i Disobbedienti anche a Porto Allegre). Ci sono errori di fondo da entrambe le parti, in quanto entrambe pensano di determinare le forme di lotta sulla base di un principio ideologico valido in ogni luogo e in ogni tempo. Sbaglia chi nella Cgil sostiene la cosiddetta “non-violenza” come principio universale, non spiegandosi come si sarebbe comportato durante le grandi rivoluzioni del ‘900, durante la Resistenza e la guerra di liberazione dal nazifascismo, o come si comporterebbe, oggi non ieri, in Chiapas o in Colombia. Ancor di più sbaglia chi, fra i Disobbidienti, pensa che di fronte a determinati eventi (come una guerra o come un comizio di Forza Nuova) si debbano praticare le forme di lotta più radicali, o poiché una forma di lotta è giusta in Chiapas o in Argentina allora è giusta anche in Italia. L’unico parametro di giudizio sulle forme di lotta – che peraltro potrebbe tenere unito il movimento – è se, nell’analisi concreta della situazione concreta, una determinata forma di lotta è in grado di ottenere il risultato oppure no, e cioè se in un paese come il nostro allarga i consensi e la partecipazione di massa oppure no. E l’esperienza concreta insegna che non solo le azioni violente (come quelle dei black block a Genova) ma anche talune azioni dei Disobbedienti invece di allargare i consensi li riducono drasticamente, determinando così proprio il fallimento dell’obbiettivo politico che si propone una lotta.