La sfida del venezuela

Nell’America Latina, governata e impoverita dal neoliberismo, il popolo del Venezuela, attraverso un referendum, ha approvato il progetto di Hugo Chavez e ha rinnovato la speranza di quanti credono valga la pena lottare nel Continente per un futuro di progresso e libertà.
La rielezione del Presidente e i risultati del referendum sono andati oltre ogni più ottimistica previsione. Chavez ha superato Arias Cardenas, il candidato della destra, di oltre 20 punti; il Movimento V Repubblica ed i suoi alleati ha conquisto i governi di 15 dei 23 Stati del Paese ed ha eletto 165 suoi deputati all’Assemblea Nazionale.
Così, ad un anno e mezzo dall’assunzione della Presidenza, Chavez, parlando al popolo dal balcone dal Palacio de Miraflores, ha annunciato che la Rivoluzione Bolivariana sarebbe entrata in una seconda e decisiva tappa, quella delle grandi trasformazioni economiche e sociali. Non vi è una rivoluzione uguale ad un’altra . Distorcono la realtà i politici e gli analisti che, negli Usa, insistono a paragonare il Cile di Allende al Venezuela di Chevez. La forzata analogia parte da una considerazione che nessuno contesta. In entrambi i paesi un presidente eletto democraticamente propone e mette in campo un progetto di costruzione del socialismo attraverso una via istituzionale e pacifica. Ovviamente, l’idea di conquistare il potere attraverso le armi non è sostenuta oggi, nel Continente, da nessuna forza, da nessun partito o movimento di natura razionale. L’opzione strategica volta ad una via pacifica è una conseguenza logica della nuova correlazione di forze esistente nel mondo dopo la scomparsa dell’Urss.
A Washington si ammette che Chavez può contare su di un appoggio popolare massiccio, cosa che mancò al governo di Unidade Popular , appoggio che si concretizza a livello istituzionale attraverso una schiacciante maggioranza dei deputati e dei governatori degli stati. Nelle Forze Armate, al contrario di ciò che accadeva in Cile, gli ufficiali, in grande maggioranza, sono uomini legati al Presidente. Ha un valore fortemente simbolico il fatto che Chavez, dopo la grande vittoria elettorale, è uscito a salutare il popolo festante indossando la divisa vermiglia di paracadutista, la stessa che indossava quando si ribellò contro il potere corrotto e semicoloniale di Caracas.
È vero il fatto che la destra venezuelana, specie negli ultimi mesi, per combattere Chavez sia ricorsa ad una tattica simile a quella praticata dalle forze reazionarie che in Cile si opponevano al Programma di Unidade Popular.
Tanto Azione Democratica che il Copei – oggi ridotto alle condizioni di micropartito, con cinque deputati – assieme alla grande borghesia (soprattutto i maggiori imprenditori), ai latifondisti, ai banchieri, con l’appoggio delle transnazionali, tentano in ogni modo di sabotare l’economia nazionale. Puntano a portare il Paese alla bancarotta, a renderlo ingovernabile. La fuga di capitali ha raggiunto livelli allarmanti. Nel 1999 sono stati trasferiti all’estero 7.800 milioni di dollari; nel primo semestre del 2000 l’uscita illegale di capitali ha già raggiunto la cifra di 5000 milioni. A questo dissanguamento monetario si aggiunge il sabotaggio della produzione industriale e agricola. Il Pil nazionale è caduto circa del 9% in 18 mesi; la disoccupazione tende a superare il 14%. I mass media, controllati dalle destre, scatenano una ininterrotta campagna di calunnie contro Chavez, campagna prontamente raccolta nei paesi stranieri contrari alla Rivoluzione. Gli effetti di tale campagna nella coscienza popolare, però, non sono quelli che si produssero nel senso comune cileno. I venezuelani sembrano perfettamente comprendere ciò che sta accadendo. E la risposta popolare nelle elezioni è stato il segno probante di tale orientamento di massa, volto chiaramente ad appoggiare il progetto di Chavez, che ha raggiunto ancor più consensi di quelli ottenuti nel 1988.

La fase più difficile è in arrivo
Il governo ha fatto tutto il possibile, negli ultimi mesi, per rispondere all’offensiva scatenata sul fronte economico. Il Pil inizia a crescere, seppure molto lentamente. Si è fermata l’onda alta della disoccupazione. Ma solo ora Chavez può disporre di quella maggioranza necessaria per dare corpo al Programma di rinnovamento. La Costituzione Bolivariana, per la quale tanto Chavez e i suoi hanno lottato, è la più progressista dell’America del Sud, e offre per il cambiamento le indispensabili basi giuridico-istituzionali.
Quali sono le principali misure della rivoluzione “pacifica” che il Presidente vuol mettere in atto per il popolo venezuelano?
• Istruzione gratuita a tutti i livelli;
• Diritto alla salute, gratuito, garantito dallo Stato;
• Un sistema vasto e forte di garanzie sociali, entro il quale spicchi un sistema pensionistico riformato che sia il segno più grande del rispetto per la dignità umana;
• Una Legge per la Terra che ponga fine al latifondo e crei le condizioni per lo sviluppo di un’agricoltura moderna che veda un forte appoggio dello Stato nel settore cooperativo;
• La creazione delle condizioni per uno sviluppo industriale autonomo che si rafforzi a prescindere dalla dipendenza tradizionale dal petrolio; un sostegno alla piccola e media industria e ai piccoli commercianti ;
• Una politica salariale che risponda alla concezione sociale della rivoluzione bolivariana;
• Una lotta implacabile contro la corruzione e la criminalità, due flagelli nazionali del Venezuela;
• Una politica estera di difesa inflessibile dell’indipendenza e della sovranità nazionali .
Non è massimalista il progetto di Chavez. Il socialismo è una meta distante. Ma il progetto è sufficientemente ambizioso per allarmare la Casa Bianca. Chavez, nel discorso tenuto dopo la grande vittoria elettorale, ha dimostrato di essere consapevole che la fase più difficile è quella che sta per aprirsi.
La storia dell’America Latina ci ricorda come, nell’ultimo secolo, diverse personalità di sinistra abbiano (non sempre con il voto) conquistato il potere con l’appoggio popolare. Ma ci dimostra anche come l’imperialismo non abbia mai accettato (con l’eccezione di Cuba) che al potere andassero forze conseguentemente di sinistra, con programmi economici e politici rivoluzionari o, anche, semplicemente progressisti.
Lo scatenamento della reazione in Cile non è stato l’unico esempio della politica imperialista nei confronti di un desiderio di indipendenza e progresso di un popolo dell’Emisfero. Il Perù di Velasco, la Bolivia di Torres, il Brasile del ’64 hanno dimostrato che, con metodi diversi, il sistema di potere degli Usa ha sinora sempre trovato – con la forza o con altri mezzi – le “soluzioni” atte ad impedire lo sviluppo di progetti nazionali considerati incompatibili con gli interessi del grande capitale e della sua strategia di dominio continentale.
Nel Venezuela è apparsa una nuova sfida. Conta sull’appoggio entusiastico delle forze progressiste dell’America Latina. Nulla è deciso. Lo sviluppo della storia nella patria di Bolivar dipende in primo luogo, mentre le fasi cruciali si avvicinano, dal popolo venezuelano.
Per ora, la fermezza ed il coraggio di Hugo Chavez rievocano l’eroismo rivoluzionario dei giovani.