La Repubblica ex-jugoslava di Macedonia dopo le elezioni

Le ultime elezioni politiche nella Repubblica ex-Jugoslava di Macedonia (FYROM) si sono tenute il 15 settembre scorso in un clima tutt’altro che disteso. Ben 57 partiti si sono distribuiti tra 26 liste singole e sette liste di coalizione, cui vanno aggiunte altre cinque liste civiche, in un panorama di frastagliamento e confusione molto indicativo di come le”regole del gioco democratico” siano applicate nei paesi “in transizione”, soprattutto in quelli che pochi anni fa erano parte della Repubblica Federativa Socia-lista di Jugoslavia (RFSJ).

Terrorismo incessante

Ma il dato principale, più preoccupante, è quello del persistere della violenza di matrice nazionalista e secessionista, prima, durante e dopo le elezioni. Nel corso della campagna elettorale vari attentati contro le sedi dei partiti hanno mirato evidentemente ad ostacolare il pacifico confronto politico, e quindi anche ogni possibile esito elettorale risolutivo e legittimo. Questa operazione non è riuscita, ma atti mirati alla destabilizzazione del paese sono comunque proseguiti, dimostrando ancora una volta che il “disarmo” delle formazioni terroristiche è stato fittizio, e che gli “accordi di pace” stipulati ad Ohrid nell’agosto 2001 sono serviti per adesso solamente a legittimare la presenza delle truppe NATO sul territorio, senza portare alla pacificazione. Gli “accordi di pace” di Ohrid – splendida località situata sull’omonimo lago, sede di un famoso Festival internazionale di poesia – hanno fatto seguito ad una intensa stagione di guerriglia scatenata dai terroristi pan-albanesi dell’UCK di Macedonia (febbraio-agosto 2001). Essi consentono oggi la presenza di 700 soldati della NATO sul territorio macedone, 200 dei quali italiani.
La nuova ondata di violenze pre-elettorali è culminata quando due poliziotti sono stati uccisi, il 25 agosto, ad un posto di blocco nei pressi della città meridionale di Gostivar. Secondo fonti governative, gli arrestati, due albanesi-kosovari bloccati subito nei pressi del posto di frontiera di Jazince, viaggiavano a bordo di un’autovettura Golf targata Roma!… L’Armata Nazionale Albanese (AKSH) – nuova denominazione sotto la quale si nasconde il “disciolto” UCK di Macedonia (Esercito di Liberazione Nazionale, dove per “nazionale” si intende la nazione grande-albanese) – si è affrettata con un comunicato a smentire la vicenda dell’arresto e nel contempo a rivendicare l’attentato, definito “il proseguimento delle azioni militari contro il potere slavo-macedone”. Sparatorie non sono mancate nemmeno il giorno delle elezioni. E due giorni dopo è stata diffusa la notizia che lo stesso Ministro dell’Interno uscente era sfuggito pochi giorni prima ad un attentato dell’AKSH (AFP 17/9/02). Suonano perciò ridicoli i toni trionfalistici usati dal Segretario generale della NATO, Lord Robertson, secondo il quale i cittadini della FYROM “voted yesterday in free and democratic legislative elections. These elections, held in a generally peaceful environment [sic!], were largely conducted in accordance with international standards.”

Lo scenario politico

Viceversa: la campagna elettorale È stata pesantamente condizionatadalle violenze, come anche dalle continue interferenze da parte dell’OSCE, di ONG “indipendenti” spuntate come funghi, da tanti media finanziati dall’estero, dall’International Crisis Group (ICG) di Morton Abramowicz… ed, ovviamente, sono “scesi in lizza” anche il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, con i loro comunicati, le loro pagelle, il loro continuo sabotaggio delle possibilità di accordo sulle condizioni da soddisfare per avere accesso a prestiti e finanziamenti (si vedano le dichiarazioni dell’incaricato per il governo macedone Sam Vaknin alla URL: http://www.antiwar.com/orig/deliso51.html). Queste pressioni hanno danneggiato in primo luogo le forze del governo uscente, e soprattutto quei politici slavo-macedoni che si sono troppo esposti con critiche esplicite al sostegno fornito dagli USA ai terroristi. Si pensi che il premier uscente Ljubco Georgevski, pure di destra, si era spinto fino ad accusare pubblicamente “certe strutture internazionali che appoggiano la pulizia etnica in Bosnia, come anche in certe parti della Macedonia e tra i serbi del Kosovo, sostenendo la creazione di un Kosovo indipendente e persino di una Grande Albania” (AFP 2/8/ 2002). Guarda caso, dopo pochi giorni l’ICG diffondeva per la prima volta una analisi dai toni molto pesanti sulla corruzione all’interno della coalizione di governo.
Il principale partito di quella coalizione è il VMRO-DPMNE, il partito di Georgevski. Si tratta di una formazione nazionalista che prende il nome da un’organizzazione storica dell’irredentismo slavo-macedone.
L’alleato più fedele nella ex coalizione di governo era il Partito Liberale, al quale appartiene Stojan Andov, presidente del parlamento uscente. Le sue posizioni sono oltranziste: ideologicamente quest’ultimo partito è considerato un partito pro-bulgaro. Questi partiti della destra nazionalista macedone si sono distinti, a pochi giorni dalle elezioni, per la inaugurazione di una megalitica croce metallica, alta 76 metri, sul monte Vodno (1.800 m), che domina Skopje: “illuminata da 550 riflettori, la croce, la più grande dei Balcani, è visibile a 80 km dalla capitale” (ANSA). Una mera assurdità ed una vergogna, per un paese tra l’altro in preda ad una crisi economica profonda.
Continuando nell’elencazione dei partiti in lizza: al centro-sinistra troviamo l’SDSM (Unione Socialdemocratica). È il partito di Branko Crvenkovski, che fu primo ministro fino al 1998, e si è presentato alle votazioni a capo della coalizione “Insieme per la Macedonia”, alla quale hanno aderito anche il Partito Liberal-Democratico ed altre otto formazioni minori. L’SDMS è anche il partito dell’ex presidente Kiro Gligorov, che fu figura di spicco nella Jugoslavia federativa e socialista, poi artefice della transizione pacifica verso una Repubblica macedone indipendente che di quella Jugoslavia doveva rappresentare una “versione ridotta”, essendo costituita, come quella, da decine di nazionalità diverse, tutte riconosciute e garantite nei diritti essenziali – linguistici, culturali, sociali –, diritti ai quali dal 1990 si era aggiunto pure il diritto alla organizzazione politica. Gligorov è un personaggio carismatico, tuttora molto apprezzato; l’SDSM, da taluni, è considerato un partito pro-serbo, in quanto “jugonostalgico”, benché ideologicamente sia da annoverare nell’ambito della sinistra moderata e filo-occidentale.
Alla sinistra dell’SDSM troviamo i socialisti di Ljubisav Ivanov-Dzingo che ha conquistato un seggio in Parlamento ed altre formazion minori, come il Partito Comunista di Macedonia.

Kumanovo sotto attacco

Un discorso a parte vale per le tante organizzazioni basate sulla caratterizzazione nazionalitaria schipetara (cioè albanese in senso etnico, e non nel senso della cittadinanza della limitrofa Repubblica di Albania). Si tratta di una costellazione all’interno della quale si sono verificate scissioni e scontri a ripetizione, così come pure fortissima è la conflittualità tra settori diversi della mafia e della guerriglia.
Il PDSH (Partito Democratico Albanese) è guidato da Arber Xhaferri, a lungo leader carismatico degli albanesi di Macedonia. Le sue quotazioni appaiono tuttavia in discesa da quando sono entrati in scena i terroristi, le bande armate. Pur essendo infatti una formazione di destra e nazionalista, il PDSH è stato l’alleato albanese più fedele della VMRO-DPMNE nella curiosa coalizione di governo uscente, che ha raccolto insieme nazionalisti fanatici delle opposte appartenenze, slava e schipetara (1998-2002).
In ascesa, anche nei favori della NATO, è invece, oggi, la DUI (Unione Democratica per l’Integrazione). È la diretta emanazione del “disciolto” UCK di Macedonia. È stato fondato solo nel giugno scorso, nei pressi di Tetovo, “centro” della Macedonia occidentale rivendicata dagli irredentisti che usano denominare tutta la regione come “Tetova” – “Kosova-Tetova” è uno dei loro slogan. Il leader È Ali Ahmeti, capo politico dell’UCK di Macedonia, leader indipendentista “storico”. Nel 1986 riparò in Svizzera per sfuggire ai tribunali jugoslavi; Le Matin (30/9/2002) ha rivelato che lo Stato elvetico ancora gli paga una pensione di invalidità per gravi problemi mentali. Nel 1998-1999 Ahmeti ha partecipato attivamente alle azioni dell’UCK kosovaro, e solo recentissimamente si è trasferito nella FYROM per destabilizzare anche questo altro brandello della ex-RFSJ. Nel febbraio 2001 l’UCK di Ahmeti si scatena: la primavera macedone viene insanguinata, intere comunità urbane vengono assediate e minacciate. Emblematico il caso di Kumanovo, seconda città della FYROM, forse la più rappresentativa del carattere multinazionale e tollerante, “jugoslavo”, della Repubblica di Macedonia. Kumanovo viene messa pesantemente sotto attacco: oltre alle decine di morti, ai rapimenti, ricordiamo che nelle settimane di assedio è stata fatta mancare l’acqua dai terroristi, con una operazione di strangolamento dal significato inequivocabile. Come in Bosnia, bisognava infliggere ferite insanabili, colpire con la violenza le realtà più “jugoslave”, persuadere con la forza che la convivenza non doveva più essere possibile. Contro Ahmeti, amnistiato nell’ambito degli accordi di Ohrid, alla vigilia delle elezioni è stato sporto un nuovo mandato di arresto per strage ed altri reati; ma lui replica tranquillo: “Sono troppo protetto perché possano arrestarmi”, e sicuramente non ha torto (AFP 16/9/02). Grazie all’appoggio della NATO, la DUI è diventata con queste elezioni il fattore determinante della scena politica, quello essenziale per costituire una qualsivoglia coalizione di governo.
Ci sono poi altre forze albanesi: il PPD (Partito per la prosperità democratica), altro storico e “naturale” alleato della SDSM, ed il PDK (Partito democratico nazionale) di Kastriot Haxhirexha. Quest’ultimo è nato all’inizio della stagione terroristica, e teorizza la creazione di una federazione macedone che dia agli albanesi un territorio autonomo.
Il suo nome è stato curiosamente inserito nella lista nera stilata dal Dipartimento di Stato americano all’indomani dell’attentato dell’11 settembre, come possibile sostenitore di movimenti terroristici, probabilmente perché non “in linea” con il filone irredentista “vincente”, quello sostenuto dagli USA, e che nella FYROM è per l’appunto rappresentato da Ahmeti.
Al quadro elettorale bisogna poi aggiungere una miriade di formazioni che rappresentano i tanti gruppi nazionali – turchi, rom, serbi, eccetera– e svariate sfumature ideologiche.

I risultati delle elezioni

Nei giorni immediatamente successivi al voto la incertezza è stata alimentata dalle proteste di rappresentanti governativi, che hanno denunciato manipolazioni e brogli, pur senza mettere in discussione l’esito, scontato, che li vede perdenti. Il ministro degli Interni ha persino inviato agenti dei servizi segreti a perquisire la Tipografia di Stato, dalla quale sarebbero sparite delle schede. Tuttavia, dopo qualche tira-e-molla su un seggio contestato, i risultati sono ormai ufficiali: all’Unione Socialdemocratica vengono assegnati 60 dei 120 posti in Parlamento. Alla VMRO-DPMNE 33 seggi, alla DUI 16 seggi, al Partito Democratico Albanese 7, al Partito per la Prosperità Democratica 2, infine al Partito Democratico Nazionale (albanese) e al Partito Socialista di Macedonia un seggio ciascuno.
Il leader dell’SDSM, non disponendo della maggioranza assoluta, ha annunciato l’avvio dei negoziati con la DUI, piuttosto che con i partiti albanesi più moderati o con gli ex-alleati socialisti: una scelta che sicuramente fa felici gli occidentali. Per facilitare questa ardua costruzione politica tra socialdemocratici e fanatici separatisti, l’ingombrante leader terrorista Ahmeti si è detto disponibile a farsi da parte, rinunciando al suo posto in Parlamento e conservando solamente il ruolo di leader simbolico del suo partito. Ma nella lista di Ahmeti risultano eletti almeno altri sette ex comandanti della guerriglia albanese.
Mentre scriviamo il candidato premier deve ancora annunciare programma e coalizione. Uscendo dalla sede della presidenza dove aveva ricevuto l’incarico Crvenkovski ha dichiarato che “la sfida che ci attende È molto grande, ci sforzeremo di non fare gli stessi errori commessi in passato”, ma non si capisce bene a cosa si riferisca… I negoziati tra SDSM e DUI sono in corso.
I più soddisfatti della situazione sono dunque i rappresentanti dell’“ala dura” del secessionismo, ed i “rappresentanti internazionali”: i Robertson, i Solana, i vari premier europei che non hanno disdegnato
lodi e complimenti per l’andamento delle votazioni. Tanta soddisfazione deriva in realtà dalla certezza che la NATO e le altre strutture che tengono la FYROM sotto tutela resteranno sul territorio. È stato il presidente della Repubblica Boris Trajkovski, di destra, a chiedere alla NATO di prorogare di nuovo la sua missione “Amber Fox”, fino al prossimo 15 dicembre: richiesta prontamente accettata.

La contesa USA – UE

A cosa è dovuto tanto interessamento occidentale per una regione così piccola dei Balcani? Come per tutta l’area circostante, la FYROM sconta la sua posizione geografica, di rilevante interesse strategico. Posta al centro di una “croce” formata da un asse orizzontale “turco” (Turchia, Bulgaria, Albania, lungo la direttrice del cosiddetto “Corridoio 8”), e da un asse verticale “bizantino” (Serbia, Grecia), la Macedonia slava è storicamente soggetta a innumerevoli pressioni dai paesi vicini.
Ma mentre sull’asse “verticale” essa trova le ragioni per restare unita o addirittura unirsi, tutta intera, a realtà multi-nazionali ancora più grandi, quale era la RFSJ, sulla direttrice “orizzontale” la Macedonia
si spacca drammaticamente in due, tra irredentismo bulgaro – cui il super-nazionalismo macedone dà man forte – ed irredentismo albanese.
Non è indifferente evidenziare che la Macedonia slava, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, fu per l’appunto smembrata tra Bulgaria ed Albania alleate del nazifascismo, mentre Serbia e Grecia pativano l’occupazione straniera, ma vivevano anche i momenti esaltanti della Lotta di Liberazione.
Oggi, i problemi non sono poi tanto diversi. Di nuovo, le spinte provenienti dai paesi vicini non sono che il riflesso di spinte ben più grandi, che arrivano da potenze lontane. In un prossimo contributo su questa rivista esamineremo in maggiore dettaglio le dinamiche della contesa tra imperialismo statunitense ed imperialismo europeo, per come essa si esplica nella FYROM: ne esamineremo i retroscena strategici, legati essenzialmente alla “torta” delle infrastrutture per il Corridoio 8.
In questa sede ci limitiamo a segnalare un recente episodio legato alla suddetta contesa tra USA ed UE: l’agenzia di informazione VPRO ed il Klingerdaar Institute, in Olanda, hanno rivelato che settori dell’intelligence europea stigmatizzano l’appoggio sfacciato fornito dagli USA all’UCK macedone, consistente in armi, forniture per le telecomunicazioni e addestramento militare.
Quest’ultimo è stato curato dalla Military Professional Resources Inc., con base in Virginia: 17 suoi istruttori erano ad esempio presenti nel comando UCK di Aracinovo nel corso degli scontri del giugno 2001.
Secondo quanto già apparso pure sull’“Hamburger Abendblatt”, tra i prigionieri fatti dai soldati macedoni in quella occasione c’era un tizio che, preso dal panico, sventolò il passaporto statunitense urlando: “Diplomatic immunity!”. Solo dopo pesanti pressioni USA costui fu lasciato andare col resto del convoglio UCK, scortato dalla NATO.
Secondo la nuova documentazione fornita al giornalista olandese Hub Jaspers, questo individuo era stato già impegnato nell’addestramento delle milizie bosniaco-musulmane… Non è un mistero d’altronde che la MPRI ha operato in diversi momenti delle guerre di secessione jugoslave, istruendo pure i miliziani croati. Dai documenti si evince anche come Ali Ahmeti abbia preso ordini direttamente da Hasim Thaci, detto “il serpente”, capo militare dell’UCK kosovaro, e come il disarmo dell’UCK kosovaro prima (1999) e di quello macedone dopo (operazione “Essential Harvest”, 2001) non siano stati altro che delle messe-in-scena.
Ma perché tutti questi “segreti di pulcinella” escono fuori così, un anno dopo? L’Unione Europea evidentemente vorrebbe stabilità nella regione, per poterla inglobare in sé prima possibile; perciò essa si lamenta del comportamento degli USA, che continuano a fomentare instabilità e violenza. Gli USA al contrario sono espliciti rispetto alla loro strategia nella regione. “Voice of America” ha riferito che Steven Meyer, ex viceresponsabile dell’ufficio della CIA per i Balcani, in una Conferenza su “The Impact of U.S. Policy on the Balkans” tenutasi al Woodrow Wilson International Center for Scholars ha affrontato la
questione macedone in maniera spregiudicata, affermando testualmente che “i cambiamenti di confini nei Balcani non debbono essere un tabù” come se non ce ne fossero stati già abbastanza!
Ovviamente, la realizzazione di questi disegni strategici irresponsabili viene pagata a caro prezzo, e sulla propria pelle, dai cittadini dei Balcani. Oltre al sangue versato negli episodi di terrorismo, diventa inevitabile il deterioramento dei rapporti istituzionali e sociali, e soprattutto il peggioramento delle relazioni tra le varie componenti nazionali. Ed è così che, per la prima volta dopo decine di anni, migliaia di studenti di nazionalità albanese vengono sottoposti alle pressioni famigliari – in un contesto in cui, come in Kosovo, si va riaffacciando la cultura reazionaria, bigotta e maschilista dei “clan” – ed obbligati a rifiutarsi di frequentare le stesse classi e le stesse scuole frequentate dagli studenti delle altre “etnie”. A tutto questo si aggiungano i traffici di vario tipo – armi, droga, prostituzione– sui quali si basano gli introiti mafiosi delle organizzazioni armate, ed i sanguinosi incidenti alla frontiera con l’Albania, dovuti alla lotta contro i contrabbandieri.
Per concludere, dobbiamo ricordare che migliaia di soldati italiani stazionano nell’area. A quale scopo?
Lo scorso 29 agosto, a poche decine di chilometri dal confine macedone, in quello che è oggi il protettorato del Kosovo, retrovia e base dei terroristi dell’UCK di Macedonia, i soldati delle truppe italiane della KFOR sono intervenuti a bloccare una aggressione in atto, da parte di terroristi pan-albanesi, contro quattro contadini serbi disarmati che erano al lavoro nei campi. È successo presso Gorazdevac, a 55 chilometri da Pristina. I soldati italiani sono stati impegnati in una sparatoria per ben due ore, nel più spettacolare scontro a fuoco in cui siano state coinvolte le truppe di occupazione occidentali sin dal loro arrivo nella provincia serba, nel giugno 1999. Fortunosamente lo scontro non ha causato vittime, ed un solo terrorista È stato fermato (AP 30/8/02). Non ci risulta che alcun media italiano abbia riportato la notizia. Lo stesso sito internet ANSA sul Kosovo si è ben guardato dal riportarla. È meglio che gli italiani non si pongano interrogativi imbarazzanti.

Fonti
Bollettino JUGOINFO del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/
Dispacci ed articoli AFP, ANSA, Pravda. Reportages di Christopher Deliso
per Antiwar.com .

Altri siti utili
Emperor’s Clothes
http://emperors-clothes.com/
Centre for Research on Globalisation
http://www.globalresearch.ca/by-topic/balkans/
Macedonian Information Agency (MIA)
http://www.mia.com.mk/webang.asp
Elezioni Politiche 2002
http://195.26.131.100/izbori2002/en/index.asp
http://oscewatch.org/CountryReport.asp?CountryID=15&ReportID=184
Partito Socialista di Macedonia
http://www.spm.com.mk/