La ragazza comunista

*Critico letterario – Collaboratore de il Manifesto

Una sottile tautologia, anzi un automatismo percettivo, sembra segnare la ricezione di un libro che peraltro ha riscosso un consenso largo di pubblico e critica, un libro oltretutto tra i più compiuti e intensi, sia detto a chiare lettere, che la letteratura italiana abbia proposto da diverso tempo in qua, vale a dire La ragazza del secolo scorso di Rossana Rossanda: come si trattasse solo delle memorie prestabilite e linearmente ordinate di una protagonista della scena politica interna alla vicenda del PCI, prima, e delle riflessioni politico-intellettuali, poi, di una delle fondatrici e maggiori animatrici del collettivo del manifesto. Di tutto ciò Rossanda ha dovuto rispondere, e in effetti ha risposto senza dissimulare alcunché, nelle più varie sedi, costretta a dar conto esclusivamente di una biografia ( cioè dei protocolli e dei documenti relativi) piuttosto che di una scrittura pensata/ripensata invece nei termini di una straordinaria autobiografia dove si combinano, con la forza della scrittura esatta, la verdad y la ternura, la verità e la tenerezza che nelle parole del vecchio José Martì corrispondevano più o meno all’oroscopo della poesia. Il problema della ricezione non è forse così tecnico o ozioso come potrebbe sembrare, visto che la biografia equivale sempre ad un assemblaggio di materiale documentario la cui rilevanza è fissata e interpretata dall’esterno, mentre l’autobiografia per sua natura seleziona i propri dati per focalizzazione interna e li ordina in base ad una procedura dichiaratamente soggettiva. In questo, i vecchi positivisti distinguevano opportunamente tra documentum e monumentum, laddove esigevano dal primo uno statuto di esclusiva “verità” fattuale e dal secondo la coerenza di un “senso” simbolico: perdere tale distinzione significa mancare, ovvero adulterare, la sostanza specifica e la qualità del libro di Rossana Rossanda. Il quale, sia detto in tutt’altri termini e magari paradossali, non è affatto un libro politico in quanto riferisce e rende espliciti situazioni e occasioni della sua pregressa vicenda di intellettuale proverbialmente engagée ma è politico nel suo ambito più strettamente formale, tanto nella scelta di genere e nel periodizzamento quanto nell’ intramatura e nella strategia narrativa. Si direbbe anzi che la sua scrittura è più politica nel momento in cui delude l’orizzonte d’attesa dei lettori già politicizzati, quando meno lo sembra e lo dichiara, infine quando pare introvertirsi fino alla riflessione muta o intransitiva per chiudersi orgogliosamente nei ricordi e negli emblemi di una privatissima parabola esistenziale. Simulando un memoriale, La ragazza del secolo scorso ha la struttura di un vero e proprio romanzo di formazione, visto che si interrompe con la fine della giovinezza, con un atto traumatico e con un prezzo esoso da pagare (l’esecuzione in effigie, la radiazione dal PCI del gruppo del manifesto); qui è il “dopo”, mai espressamente pronunciato, che irradia di una luce postuma e retrospettiva tutto quanto il “prima” della narrazione autobiografica. Lo stesso si potrebbe dire, tuttavia, circa qualcosa che il “fuori” fatalmente delude, percuote e offende talora fino all’annientamento, nel momento in cui interpella e persino reclama, a cadenza, i pensieri adulti e le emozioni che vivono “dentro” la protagonista . Non si tratta di una resa dei conti, e nemmeno di un bilancio virtuale. Piuttosto è una dialettica lacerante e cruenta (questa sì davvero secolare e tipica di più d’una generazione di comunisti) che Rossanda mette a nudo nel suo Bildungsroman fidando nel beneficio del ricordo, patendo le intermittenze crude della memoria, ed è il massimo conflitto tra io e non-io, individuo e realtà data, zone morte e vive entro di sé, è ciò che da una primordiale aspirazione alla totalità (la perfezione che già esigono gli adolescenti? la vita indivisa?) ridonda nel riconoscimento di una ferrea parzialità, è infine la dinamica di un’aspettativa che torna volentieri, con gli anni, nella forma dello spettro e dell’incubo. Rossanda sa oggi quel che la ragazza Rossana non poteva allora sapere ma cui essa segretamente, ostinatamente, aspirava fino a vagheggiarlo nei termini di un destino, cioè che il comunismo, prima che una dottrina, prima che un movimento organizzato, è l’istanza temeraria di una humanitas che sa se stessa fragile e caduca, ed è dunque una tensione alla compiutezza, alla vita inverata, liberata per sé e per ognuno. Scrive infatti: “Non ho fede e non posso che cercare di cambiare […] uno stato di cose al quale non posso stare. Non è una scelta, è una condizione. Me ne dicono di tutte, perché è vero che significa vivere assillati dall’incompiutezza – non hai il senso del limite, hai un delirio di onnipotenza, oppure la sciocchezza di moda, è tutta ideologia. Non me la prendo. Da tempo ho smesso di gridare alle persone cui voglio bene ‘Ma guarda, ma non vedi?’ però è vero che mi appaiono tanti struzzi, amabili struzzi, che cacciano la testa sotto la sabbia per sopravvivere. Chi ha sbattuto il muso nella tragedia non se la scorda. E’ più facile scordare la speranza”. Non avesse perciò rivelato i fondali dell’infanzia a Pola, i turbamenti relativi alla scoperta del corpo e del suo mondo affettivo, l’esempio dei maestri Marangoni e Banfi, il silenzio delle biblioteche claustrali dove incubava, a lei allora incognito, il “sogno di una cosa”, non li avesse poi trascritti con tanta vividezza pulsante, e con un pudore mai reticente, allora le pagine corrispettive su Pamiro Togliatti, su Fidel Castro, su tanti intellettuali e politici, si può dire sull’intero ceto dirigente del PCI, altro non sarebbero che appunti promemoria, pagine di diario, aneddoti. Ma questi ultimi (nella dinamica di prima/dopo, dentro/fuori, e viceversa) hanno senso proprio in quanto si riflettono sui primi, in perpetua contraddizione, fino a scalfirli e a farli sanguinare. E a non poterne avere requie, mai più. Perché quello che torniamo a leggere non è il profilo di un passato, bensì un riflesso incandescente declinato al futuro anteriore: forma futuri, diceva un poeta che Rossana Rossanda deve avere molto amato.