La guerra della NATO contro la Jugoslavia, dieci anni dopo

Il 24 marzo 1999 la NATO scatenava, ininterrottamente per 78 giorni, la sua potenza di fuoco contro il territorio della allora R.F. di Jugoslavia – un paese già amputato con le secessioni iniziate nel 1991, e oggi ulteriormente smembrato tra Serbia, Montenegro e Kosovo. Per i suoi bombardamenti la NATO utilizzava armi vietate dalle convenzioni internazionali (es. bombe a frammentazione), armi di grave nocumento alle generazioni presenti e future (es. all’uranio impoverito), e mirava contro industrie chimiche, infrastrutture civili, mezzi di trasporto in servizio, ambasciate di paesi terzi, come la Cina… Quei bombardamenti rappresentarono l’apice in un processo di attacco a quel paese, multinazionale e sovrano, per il quale era stata programmata la disgregazione e la svendita al capitalismo straniero. Negli anni successivi, tutti i settori-chiave dell’economia e del sistema finanziario jugoslavo venivano ceduti. Mentre le storiche strutture militari jugoslave venivano in larga parte dismesse, le piccole repubbliche sorte dalla disgregazione erano gradualmente assorbite nelle alleanze militari euro- atlantiche, e piegate agli obiettivi di queste.

A sua volta, l’intera vicenda della crisi jugoslava, che dal 1991 non può dirsi conclusa ancora oggi, è paradigmatica della fase apertasi con l’abbattimento del Muro di Berlino: una fase che, lungi dal garantire pace e libertà, è stata caratterizzata da guerre e devastazioni, “vendute” alle opinioni pubbliche attraverso pelose retoriche dei “diritti” e disoneste campagne di disinformazione. Cosicché ad esempio l’Italia, dopo avere reiteratamente violato la propria Costituzione fungendo da base di lancio per i bombardamenti e partecipando a numerose missioni di guerra in paesi vicini e lontani, si ritrova ancora ad impiegare fette crescenti del proprio bilancio statale per finanziare la macchina militare, nonostante la crisi economica e sociale che incalza… e deve ospitare ulteriori basi militari straniere sul proprio territorio! Di qui la scelta di tenere (promosso dallaRete Disarmiamoli!, RdB CUB, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia/Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju, il Forum di Belgrado Italia/Beogradski Forum u Italiji, la Rete Semprecontrolaguerra, e con l’adesione di Rete dei Comunisti, Beogradski Forum/Forum di Belgrado per un mondo di eguali, G.A.MA.DI, SOS Yugoslavia/ SOS Kosovo Metohija, Associazione Most za Beograd/Un ponte per Belgrado in terra di Bari, L’Ernesto, Federazione di Vicenza del PRC, Sinistra Critica Vicenza), in una città nevralgica nell’ambito di questi processi come Vicenza, un meeting internazionale nel X Anniversario dei bombardamenti della NATO sulla Repubblica Federale di Jugoslavia:TARGET, per raccontare che cosa i bombardamenti hanno rappresentato, al di là della cortina fumogena creata dai media, e per discutere, con gli occhi rivolti al futuro, di attività e prospettive nel campo della solidarietà internazionalista tra i lavoratori e per il movimento che in tutta Europa si batte contro la guerra e contro le basi militari.

Pubblichiamo, tra le numerose relazioni delle diverse sessioni tematiche (tra le altre: Propaganda di guerra: tra disinformazione strategica e deriva politico-culturale, con Andrea Martocchia e Juergen Elsaesser; Le nuove crociate: crisi macroeconomica e politiche militari, con Andrea Catone, Diana Johnstone, Luciano Vasapollo; Ecocidio: gli effetti della guerra, con il sociologo Alberto Tarozzi e l’epidemiologo Valerio Gennaro; I crimini di guerra della NATO, col magistrato Domenico Gallo; Sulla condizione dei lavoraori nei Balcani e il movimento di solidarietà, con Zoran Mihajlovic, presidente del Samostalni Sindikat, Zastava Auto di Kragujevac e Rajka Veljovic, storica organizzatrice, nell’organizzazione del movimento di solidarietà con i lavoratori di Kragujevac; Il movimento contro la guerra, le basi militari e la NATO, con Nella Ginatempo, Vladimir Kapuralin, responsabile relazioni internazionali del Partito Socialista Operaio -SRP- Croazia, Paolo Consolaro, Walter Lorenzi), quella di Diana Johnstone, storica militante antimperialista negli USA dai tempi del movimento contro la guerra del Viet-nam, autrice tra l’altro de La crociata dei folli (2002), un’analisi delle cause della dissoluzione jugoslava ed una critica puntuale delle ambiguità della “sinistra” occidentale, subalterna all’imbroglio mediatico con cui si giustificò l’aggressione e lo smembramento della Jugoslavia.

LA “CROCIATA DEI FOLLI” CONTINUA

Per questo tragico anniversario ho voluto venire qui, perché l’Italia ha una responsabilità particolare, dovuta alla sua prossimità alla Jugoslavia. Prossimità geografica e storica. Non solo a cagione dello scandalo che un governo detto “di sinistra” abbia permesso agli Americani di utilizzare il suolo italiano come base di bombardamenti che hanno ucciso uomini, donne e bambini senza difesa e rovinato un paese che non aveva attaccato, e nemmeno minacciato, nessun paese straniero. Ma anche perchè gli Italiani devono sapere, più di altri popoli più lontani, la storia dei Balcani e dei suoi popoli. Un Ministro degli esteri italiano “di sinistra” che dice con fierezza che questa guerra ha permesso all’Italia di “sedersi al tavolo dei grandi” mostra un cinismo e un servilismo estremi anche in questa compagnia di satelliti detti “alleati” degli Stati Uniti che è la NATO. Ma era forse più onesto dagli altri. Ad ogni modo, questo servilismo è l’espressione di una debolezza morale e intellettuale che conduce l’Europa alla rovina. Come americana, voglio parlare delle ragioni che stanno dietro la guerra degli Stati Uniti contro i serbi – forse la Crociata peggio indirizzata dopo la quarta, quella che assestò un colpo fatale alla capitale del cristianesimo ortodosso, Costantinopoli. La guerra del 1999 contro la Jugoslavia ha aperto una nuova fase della storia. È stata pari a una nuova dichiarazione di indipendenza da parte degli Stati Uniti – l’indipendenza dal sistema del diritto internazionale costruito dopo la seconda guerra mondiale. Conflitti complicati, con molteplici cause, sia interne che esterne, sono stati presentati come una mera lotta tra il bene e il male. Il conflitto in Kosovo tra lo Stato jugoslavo e i secessionisti albanesi armati è stato sfruttato al fine di mettere in atto una piccola guerra “fuori area”, al di là del perimetro di difesa dell’Alleanza Atlantica. Era una guerra che la NATO era sicura di vincere. Ciò ha avviato una nuova era in cui gli Stati Uniti si sono sentiti liberi di perseguire una politica di conquista mondiale, trascinandosi dietro i propri alleati. Naturalmente, non è mai chiamata “conquista del mondo”. A volte è chiamata “intervento umanitario”, a volte è chiamata “guerra al terrore”, a volte si tratta semplicemente di “garantire la stabilità”, o “promuovere la democrazia” attraverso un “cambiamento di regime”. Ma se si esamina con attenzione, ciò che sta accadendo è un progetto per la conquista del mondo. Probabilmente non potrà avere successo – di rado tali progetti hanno successo -, ma di questo si tratta. Come e perché gli Stati Uniti stanno perseguendo la conquista del mondo? È un argomento troppo vasto perché possa essere affrontato qui, ma vorrei suggerire che questo progetto di conquista del mondo è in larga misura un prodotto di inerzia istituzionale e, naturalmente, di arroganza ideologica: la convinzione, tipica dei leader americani, di essere “la migliore speranza del genere umano”. Non tanto del popolo americano. Infatti la maggioranza dei cittadini americani si cura molto poco del resto del mondo. Essi probabilmente non vogliono questa politica di conquista. Ma essi sono bloccati in un sistema che il generale Dwight D. Eisenhower, nel gennaio 1961, nel discorso di commiato dalla presidenza, chiamò il “complesso militare-industriale”. Egli mise in guardia la nazione dalla “indebita influenza” di quel complesso e dalla possibilità di un “disastroso aumento di potere mal collocato”, messo cioè nelle mani sbagliate.

UN PROGETTO PER LA CONQUISTA DEL MONDO

Eisenhower non suggerì lo smantellamento del complesso militareindustriale. Chiese solo che i “cittadini vigili e ben informati” lo mantenessero sotto controllo, senza farselo sfuggire di mano. Bene, è da mezzo secolo che quei “cittadini vigili e ben informati” non sono stati né attenti né vigili. L’espressione originale di Eisenhower era: “il complesso militare-industriale e del Congresso”, ma Eisenhower decise di togliere il riferimento accusatorio al Congresso. Tuttavia, il Congresso è una parte essenziale di tutto il complesso, perché i senatori e deputati votano regolarmente stanziamenti militari a beneficio delle loro circoscrizioni. Il Congresso vota per sistemi di armi che il Pentagono non ha neppure chiesto e di cui non sa cosa fare. Questo è il sistema di spesa pubblica per interessi privati che mantiene la spesa militare in vertiginosa ascesa e sostiene una crescente ricerca, sviluppo e produzione di armi. Questo complesso militare-industriale e del Congresso richiede che le armi costose vengano utilizzate, perlomeno qualche volta. Le armi devono essere testate in situazioni di vita reale, consumate – per far posto ad altre e la loro efficacia deve esser dimostrata visibilmente per poter essere vendute agli stati clienti. Però ci vogliono pretesti più nobili per giustificare la loro produzione. Pertanto, il Complesso militare-industiale crea il bisogno di nemici, di minacce, la giustificazione ideologica per costruire armi ed essere pronti ad usarle. Per oltre quaranta anni, ha funzionato il trucco della “minaccia comunista”. Il Complesso è stato colto brevemente da shock quando Gorbaciov ha rovinato tutto ponendo fine bruscamente alla “guerra fredda”. Come fare senza una guerra fredda? I famosi “think tank”, finanziati dagli industriali, si sono messi al lavoro per individuare nuove “minacce”. Hanno trovato il terrorismo, gli Stati “canaglia” e l’estremismo islamico. Recentemente hanno cercato di far rivivere la “minaccia russa”. Ma nei primi anni 1990, gli Stati Uniti erano a corto di nemici e minacce. Si sono rivolti, in loro vece, all’ « intervento umanitario», come un modo per ravvivare la NATO – indispensabile strumento di egemonia degli Stati Uniti in Europa – e riabilitare la guerra di aggressione come un buon modo per risolvere i problemi politici. La logica del complesso militare-industriale può essere fondamentalmente economica e auto-sufficiente, ma gruppi e singoli strateghi emergono con idee su come utilizzarlo. Uno dei più influenti è Zbigniew Brzezinski, il cui padre fu ambasciatore polacco in Canada. Brzezinski ha precisato il suo pensiero strategico in un importante libro intitolato La grande scacchiera. Egli dà la priorità all’isolamento della Russia dall’Europa occidentale, al fine di impedire una armoniosa unificazione dell’Eurasia, che significherebbe la fine della egemonia degli Stati Uniti. Brzezinski è a volte in conflitto con la potente lobby filo-israeliana, il cui potere nel Congresso è impossibile esagerare. Vi è poi la lobby cubana, la cui virulenza è in calo, col cambio generazionale. Per quanto riguarda la Jugoslavia, vi era un’influente lobby croata, e un’attiva lobby albanese, ma nessuna lobby serba. Ora, il senso del mio discorso è che le varie lobby, con la pretesa di rappresentare alcuni gruppi etnici negli Stati Uniti, influenzano la politica degli USA, a condizione che esse possano contribuire a soddisfare il bisogno vitale del complesso militare- industriale di trovare nemici e proclamare crociate. Le lobby antiserbe erano funzionali a convincere gli ingenui membri del Congresso che i serbi fossero comunisti al governo della Jugoslavia, e che tutti gli altri popoli stavano cercando di sfuggire al loro dominio. Altrimenti, l’aver scelto proprio i serbi come nemici dell’Occidente sembra una scelta stranissima, ed è sembrata strana soprattutto ai serbi stessi. I serbi sono stati alleati storici dei francesi e degli statunitensi. Ironia della sorte, una ragione per cui i serbi erano un bersaglio perfetto è stato che in fondo, a loro parere, consideravano gli statunitensi loro amici. I serbi possono aver creduto talora di star combattendo contro i croati, i musulmani, gli albanesi e i tedeschi, ma mai contro gli statunitensi. Persino Milosevic sembrava pensare che aiutando a por fine alla guerra in Bosnia, avrebbe potuto dimostrare agli statunitensi che egli era la loro carta migliore nei Balcani.

I SERBI USATI COME CAVIE

Di recente è stato rivelato che il suo capo di intelligence, Jovica Stanisic, ha regolarmente collaborato con la CIA. Ugualmente il capo di stato maggiore di Milosevic, il generale Momcilo Perisic. Non credo che si trattasse semplicemente di tradimento consapevole, ma era piuttosto il risultato dell’illusione che tutto quello che succedeva fosse stato un semplice errore, e che l’Occidente avrebbe infine riconosciuto che la Serbia era storicamente il suo migliore amico nella regione. Invece, i serbi sono stati utilizzati per più di quindici anni come cavie in un esperimento di grande potenza. L’esperimento ha molti aspetti. Permettetemi di elencarli. Prima di tutto, i serbi sono stati cavie in un esperimento di propaganda demonizzante. Essi sono stati cavie per l’uso di armi a uranio impoverito. Essi sono stati cavie per sperimentare come mettere in ginocchio un paese essenzialmente indifeso con l’uso di bombardamenti aerei. Poiché la stragrande maggioranza dei paesi del mondo è priva di difese contro i bombardamenti degli Stati Uniti, questo potrebbe accadere quasi a chiunque. Essi sono stati cavie in un esperimento giudiziario scandaloso al Tribunale dell’Aia, costituito da personale dei governi della NATO e finanziato da questi ultimi per giustificare i bombardamenti della NATO. Essi sono stati cavie in un esperimento di sovversione politica, capeggiato dal famigerato gruppo giovanile di Otpor, finanziato e addestrato dal governo degli Stati Uniti a interferire nel processo elettorale in Jugoslavia, al fine di mettere in scena una falsa “rivoluzione” per rovesciare Slobodan Milosevic. Otpor ha continuato poi a servire i suoi finanziatori USA nel propagare simili false “rivoluzioni” per mettere al potere in Georgia e in Ucraina burattini degli Stati Uniti. I serbi sono ancora cavie in un vergognoso esercizio di ricatto e di adescamento – la carota e il bastone – perseguito dall’Unione europea, che negli ultimi dieci anni ha agitato il miraggio di adesione all’Unione europea per costringere i leader serbi a fare sempre più concessioni, in cambio delle quali hanno ottenuto di tanto in tanto poche briciole, ma mai nulla di simile al riconoscimento del diritto della Serbia di avere giustizia, o persino di esistere. Potrei aggiungere che anche gli albanesi sono stati utilizzati come cavie. Tuttavia, negli esperimenti di laboratorio, alcune cavie sono alla fame, mentre altre vengono messe all’ingrasso. Le cavie del laboratorio albanese sono state ingrassate. Questo è stato certamente non per il loro bene. Gli albanesi del Kosovo sono stati usati come pedine, per raggiungere tre obiettivi:

CAMP BONDSTEEL

1. Indebolire ulteriormente e frammentare la Jugoslavia, che era stato l’unico paese socialista indipendente in Europa, che aveva rapporti stretti con il Terzo Mondo, in particolare con i paesi arabi, attraverso il Movimento dei non allineati. Sia il socialismo jugoslavo che il movimento dei non-allineati erano deboli e in via di dissoluzione. Ma gli Stati Uniti volevano cancellare ogni traccia di simili tendenze indipendenti, e indebolire la Serbia, considerata un potenziale alleato della Russia.

2. Per fornire una nuova missione “umanitaria” per la NATO, come pretesto per cambiare la natura dell’alleanza, da quella di difesa dei suoi membri a quella che fa operazioni “fuori area” in qualsiasi parte del mondo in cui gli Stati Uniti decidano di intervenire.

3. Per costruire Camp Bondsteel, in quanto parte dell’ampliamento delle basi USA verso Est, cioè verso la Russia e verso il Medio Oriente. I risultati umani della “crociata” sono disastrosi. Il peggiore di tutti, forse, è che l’odio etnico è stato portato al punto di ebollizione. Questa è la vera chiave del divide et impera. L’odio e la paura dell’altro inducono le comunità ad essere dipendenti da poteri esterni. I serbi non solo sono stati derubati della loro terra storica, ma sono stigmatizzati come criminali genocidi. C’è poco o nulla che essi possono fare per strapparsi di dosso questo ingiusto marchio.

Nel maggio 2000, Willy Wimmer, un onesto conservatore nel Bundestag tedesco, partecipò ad una conferenza ad alto livello a Bratislava sull’espansione della NATO nei Balcani, organizzata dal Dipartimento di Stato USA e dall’American Enterprise Institute, un influente think tank di destra. In una lettera a Gerhard Schröder, allora Cancelliere tedesco, Wimmer enumerò le conclusioni della conferenza, tra cui questi punti fondamentali:

– La guerra contro la Repubblica federale di Jugoslavia è stata condotta al fine di porre rimedio alla erronea decisione del generale Eisenhower, durante la Seconda Guerra Mondiale, di non far stazionare le truppe degli Stati Uniti in Jugoslavia. Per motivi strategici, le truppe americane devono stazionare lì, per compensare l’opportunità perduta nel 1945. In breve, la guerra è stata combattuta per costruire Camp Bondsteel.

– La guerra del Kosovo ha rappresentato un precedente, da seguire in futuro.

– La Serbia (probabilmente per garantire una presenza militare degli Stati Uniti senza alcun impedimento), deve essere definitivamente esclusa dallo sviluppo europeo.

– La NATO deve avere il controllo totale sull’accesso di San Pietroburgo al Mar Baltico.

– In tutti i processi, il diritto dei popoli all’auto-determinazione dovrebbe essere favorito su tutte le altre disposizioni o norme del diritto internazionale.

Solo una parola circa il “diritto di autodeterminazione”. Esso significa in pratica servirsi delle minoranze per frammentare Stati esistenti. Sottolineo a questo proposito che la ideologia prevalente della globalizzazione, accettata con entusiasmo in gran parte della sinistra occidentale, è che “i diritti” sono soprattutto “i diritti delle minoranze”. Le maggioranze sono ritenute implicitamente oppressive. Poiché la maggior parte degli Stati include delle minoranze, questo tende a minare la legittimità degli Stati dal basso, così come la globalizzazione economica e le organizzazioni sovranazionali quali l’Unione europea li indeboliscono dall’alto. Il risultato che si cerca di ottenere è il libero gioco delle potenze economiche, sostenute dalla forza militare, che non lascia quasi nulla al controllo politico su questi processi. Wimmer aggiungeva un’osservazione generale: “Sembra che la parte statunitense, per favorire i propri obiettivi, sia disposta e pronta a minare, su scala mondiale, l’ordine giuridico internazionale, risultato da due guerre mondiali nel secolo scorso. La forza deve aver ragione del diritto. Dovunque il diritto internazionale si mette di traverso, deve essere rimosso”. Ripeto quanto riportato da Wimmer: “La Serbia deve essere permanentemente esclusa dallo sviluppo europeo”. Questo può spiegare perché l’Unione europea continua a fare sempre più richieste alla Serbia come condizioni per fare passi avanti verso l’adesione alla UE. Sia nella Serbia propriamente detta che nella Republika Srpska, ogni nuovo leader approvato dall’Occidente con il marchio di autentico democratico, ben presto risulta essere ancora un altro “ultranazionalista “, che deve essere sostituito. Ciò è accaduto a Vojislav Kostunica, in Serbia e sta accadendo a Milorad Dodik in Bosnia. Potrebbe accadere anche a Boris Tadic. In Bosnia, dopo che il leader islamista musulmano Haris SilajdÏiç ha chiesto di rompere gli accordi di Dayton con l’abolizione della Repu – blika Srpska, Dodik ha ribattuto provocatoriamente che in tal caso, la Republika Srpska potrebbe indire un referendum di secessione. Dopo tutto, non c’è forse stata secessione del Kosovo dalla Serbia? Sebbene Dodik avesse detto di preferire di conservare la Bosnia federale secondo gli accordi di Dayton, e avesse semplicemente replicato alla minaccia di SilajdÏiç, si è gridato a gran voce che i serbi stanno di nuovo creando guai. Strecko Latal, uno specialista bosniaco del Balkan Investigative Re – porting Network a Sarajevo, ha ammonito che se la Repubblica serba dichiarasse la propria indipendenza, la Croazia potrebbe inviare truppe. La Croazia è un membro della NATO – non solo de facto, quando le forze croate appoggiate dagli USA, scacciarono la popolazione serba fuori dalla Krajina, ma de jure. Non vi è alcun motivo di credere che la guerra della NATO contro i serbi sia finita. Ho detto che la Jugoslavia è servito da laboratorio sperimentale per interventi altrove. È importante rendersi conto che il luogo principale dove le lezioni di questo laboratorio potrebbero essere applicate è la Russia. Questo è stato senza dubbio nella mente di alcuni degli strateghi che hanno manovrato il colosso militare statunitense contro la Jugoslavia. Per alcuni, la Jugoslavia era una miniUnione Sovietica.

Uno di questi poteva essere Zbigniew Brzezinski, che manda sempre segnali di essere sotto sotto un patriota polacco, che rimane ancora attaccato alla vecchia questione di chi deve dominare le terre contestate tra la Polonia e la Russia, in particolare l’Ucraina, che a turno hanno fatto parte degli imperi russo e polacco. Brzezinski parla ripetutamente della “minaccia russa” sull’Ucraina, mentre gli Stati Uniti costruiscono basi militari tutt’intorno alla Russia e chiedono che l’Ucraina aderisca alla NATO. I leader polacchi sono diventati i più entusiasti alleati degli Stati Uniti nel loro Drang nach Osten, la conquista dell’Est. Il ministro degli esteri polacco Radoslaw Sikorski sta manovrando per essere il prossimo segretario generale della NATO e un polacco anti-russo è a capo della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo. I polacchi parlano del loro bisogno di armi per difendersi dai russi. Ma non è facile distinguere fra armi offensive e difensive. Il potere che si espande in questa regione non è quello della Russia, ma della NATO. È sorprendente come i leader americani pretendano a buon diritto di avvertire la Russia che le “sfere d’influenza” non sono accettabili, nel momento in cui gli Stati Uniti estendono la propria sfera d’influenza per circondare la Russia. Ora voglio richiamare l’attenzione sul parallelo più significativo. Dov’è che le guerre di disintegrazione della Jugoslavia sono scoppiate con maggiore violenza? In una regione chiamata Krajina. Krajina significa terra di confine.

DALLA SERBIA ALL’UCRAINA

Così è l’Ucraina: si tratta di una variante della stessa radice slava. Entrambe, Krajina e Ucraina sono terre di confine tra cristiani cattolici in Occidente e cristiani ortodossi in Oriente. La popolazione è divisa tra coloro che in Oriente vogliono rimanere legati alla Russia e quelli che in Occidente sono attratti verso terre cattoliche. Ma in Ucraina nel suo complesso i sondaggi mostrano che circa il settanta per cento della popolazione è contro l’adesione alla NATO. Tuttavia, gli Stati Uniti e i suoi satelliti continuano a parlare del “diritto” dell’Ucraina di aderire alla NATO. Il diritto di non aderire alla NATO non è menzionato. La condizione perché l’Ucraina aderisca alla NATO è l’espulsione delle basi militari straniere dal territorio ucraino. Ciò significa espellere la Russia dalla sua storica base navale di Sebastopoli, essenziale per la flotta russa del Mar Nero. Sebastopoli si trova sulla penisola di Crimea, che fu trasferita dall’amministrazione russa a quella ucraina solo nel 1954, anche se la popolazione è russa per più di due terzi e non ha mai avuto intenzione di lasciare la Russia. Come le stesse cause possono avere gli stessi effetti, l’insistenza degli Stati Uniti a “liberare” l’Ucraina dall’influenza russa può avere lo stesso effetto dell’insistenza occidentale a “liberare” i croati cattolici dai serbi ortodossi. L’effetto è la guerra. Ma invece di una piccola guerra contro i serbi, che non avevano né i mezzi né la volontà di lottare contro l’Occidente, una guerra in Ucraina potrebbe condurre a una guerra della NATO con la Russia, una superpotenza nucleare. Ogni giorno, gli Stati Uniti sono occupati ad espandere la NATO, addestrando forze, costruendo basi, stipulando accordi. Lo si fa costantemente, ma i media ne parlano poco. I cittadini dei paesi della NATO non hanno alcuna idea su ciò in cui rischiano di essere trascinati. Infine, permettetemi di ritornare in Italia. I leader italiani hanno accettato la crociata del 1999 contro la Jugoslavia, come se fosse nel loro interesse. Massimo D’Alema, il primo ministro ex comunista, ha detto che prendendo parte alla guerra ha consentito all’Italia di “contare come un grande paese”. Facilitando il bombardamento di persone inermi in Jugoslavia, l’Italia è stata autorizzata ad entrare in quello che D’Alema chiamato la “nobile cerchia dei grandi”. Non tutte le guerre sono facili come la guerra che ha sommerso i ponti serbi nel Danubio, distrutto reparti di maternità e abbattuto ragazze che si erano rifugiate in villaggi tranquilli. I leader della Francia e dell’Italia obbedienti alla NATO hanno avuto il compito relativamente piacevole di recitare il ruolo di “sbirro buono”, accanto allo zio Sam, “sbirro cattivo”. Sedersi nella “nobile cerchia dei grandi” è stato facile quando voleva dire partecipare alla distruzione di un paese inerme e innocuo come la Serbia. Probabilmente però nessun’altra guerra sarà così facile. Recentemente, con l’elezione di Barack Obama, lo stile di governo degli Stati Uniti è cambiato. Mentre l’amministrazione di George W. Bush ha agito in modo unilaterale, l’amministrazione Obama vuole agire in modo multilaterale. Con gli alleati. Per “condividere l’onere”. La guerra in Afghanistan continua, il sostegno a Israele è un dogma sacro, l’accerchiamento della Russia continua. Obama è circondato da alcune delle stesse persone che hanno condotto la guerra del 1999: Vice President Joe Biden, un feroce anti-serbo, e il Segretario di Stato Hillary Clinton, che si dice che avrebbe sollecitato suo marito Bill, riluttante a bombardare i serbi. Lei è tutto sorrisi con il Ministro degli esteri russo, perché gli Stati Uniti hanno bisogno dell’aiuto russo in Afghanistan e in Iran. Ma gli Stati Uniti continuano a dichiarare che la Russia non ha diritto ad una “sfera d’influenza”, per quanto vicino al proprio paese, mentre gli Stati Uniti continuano ad espandere la propria sfera d’influenza in tutto il mondo. Un presidente segue l’altro ogni quattro o ogni otto anni. C’è qualche differenza di politica interna. Ma il complesso militare-industriale e del Congresso si slancia deciso per la sua strada. Fino a quando, forse, finiranno i soldi. Nel frattempo, i paesi della NATO sono stati arruolati in una nuova crociata, nel nome di vaghi “valori occidentali”, per americanizzare il pianeta. In un momento in cui il sistema economico americano crolla, quando vecchie e nuove civiltà si affermano dopo secoli di dominazione occidentale, se gli europei seguiranno questa crociata, significherà seguire un percorso di auto-distruzione.

Vicenza 21 marzo 2009