La fragile illusione del “partito europeo”

1)Il fallimento del vertice di Atene del 14-15 febbraio scorsi – convocato dal Synaspismos alla vigilia delle elezioni politiche in Grecia, con la speranza (illusoria) di trarne vantaggio nella competizione elettorale coi comunisti del KKE – segnala una crisi profonda e una fragilità sconcertante del progetto in campo, su cui varrebbe la pena che tutti riflettessero responsabilmente. Un vertice segnato dall’assenza dei maggiori leaders “fondatori” del nuovo “partito europeo”, che avrebbero dovuto parlare in uno stadio (manifestazione annullata all’ultimo momento); la partecipazione dei quali era confermata fino al giorno prima – un piccolo “giallo” dai contorni tuttora non chiarissimi – e che ha visto, con decisione dell’ultima ora, la non partecipazione dello stesso leader del Prc e l’assenza tout court di ogni rappresentanza del Pcf e di Izquierda Unida. Assenti anche il Pc slovacco e l’Akel di Cipro, mentre i comunisti della Repubblica ceca (presenti con un osservatore che non fa parte di alcun organismo dirigente e che aveva il preciso mandato di non sottoscrivere alcun documento e di non partecipare ad alcuna iniziativa pubblica, per non interferire nella campagna elettorale greca) hanno annunciato ufficialmente che il loro partito non parteciperà ad alcun congresso fondativo prima delle elezioni europee (1).
Erano dunque presenti solo rappresentanti del Synaspismos, del Prc, della Pds tedesca, della Sinistra lussemburghese, del Pc austriaco, della Pds ceka e del Partito dei diritti umani di Lettonia…Ciò nonostante è stato emesso un comunicato (la cui rappresentatività si commenta da sola – mancava la metà degli stessi promotori) che, pur ammettendo che le bozze di Manifesto politico e di Statuto elaborate dal “gruppo di iniziativa” (i promotori) devono ancora essere approvate dal medesimo (si sa ad esempio che sullo Statuto esistono ancora divergenze di fondo) (2) – formalmente annuncia che il vertice di Atene ha deciso di tenere il congresso di fondazione del “Partito della sinistra europea” l’8-9 maggio a Roma (3). E chiede che ogni partito interessato “invii una delegazione composta da 12 persone sulla base della quota di genere”. Ciò, senza che alcun organismo dirigente di partito abbia in proposito deliberato alcunchè (cose da socialismo surreale !).
Come andrà a finire, si vedrà. Noi facciamo un passo indietro, cercando di ricostruire la vicenda dal principio.

2)Il tema del “partito europeo” sorge, sul piano tecnico-istituzionale, con l’approvazione del Parlamento europeo, nel febbraio 2003, di un regolamento sullo “Statuto e finanziamento dei partiti politici europei”, in attuazione di alcuni articoli dei Trattati di Maastricht e di Nizza relativi al ruolo dei partiti politici nell’UE.
Per usufruire dei finanziamenti senza creare complicazioni politiche ai partiti del GUE-NGL (Sinistra unitaria europea – Sinistra verde nordica : il gruppo al parlamento europeo che comprende i deputati dei partiti comunisti e di sinistra alternativa dell’UE), sarebbe stato sufficiente, come era inizialmente previsto e da tutti condiviso, optare per una soluzione tecnica che avrebbe consentito di registrare lo Statuto di un partito “fittizio” per poter accedere ai finanziamenti previsti (milioni di euro); lasciando che la funzione vera e propria di un nuovo soggetto politico europeo fosse svolta da un coordinamento strutturato e permanente di tutti i partiti interessati, su scala continentale, indipendentemente dai regolamenti UE e dall’appartenenza o meno dei partiti a Paesi dell’UE.
Così del resto si è fatto per anni coi partiti del GUE-NGL e collegati (compresi quelli senza deputati europei, ma politicamente affini, e non necessariamente membri dell’Ue, come è stato per anni il caso dell’AKEL di Cipro o del Partito della Sinistra socialista di Norvegia).
Si consideri inoltre che il regolamento del Parlamento europeo non impone ai “partiti europei” di registrarsi col nome di “partiti”, per cui sarebbe bastato iscriversi come “Sinistra unitaria europea” (lo stesso nome del GUE) evitando controversie formali e sostanziali, destinate inevitabilmente a sorgere dalla definizione stessa di “partito europeo”.

3)Tali “partiti europei”, diversamente dal ruolo previsto per i partiti politici nelle Costituzioni nazionali (dove essi sono libera espressione della società civile e non emanazioni dello Stato), sono invece vincolati alle istituzioni della UE. Per cui è il Parlamento europeo che ne approva l’esistenza, che giudica se il loro Statuto è conforme o no coi principi di “democrazia liberale” su cui si fonda l’UE, e che può quindi al limite deciderne lo scioglimento, qualora essi non “rispettino le proposte fondamentali dell’Unione riguardo libertà, democrazia, diritti umani, libertà fondamentali e norme di legge…in accordo con il Trattato e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE”.
Faccio notare che – al limite – politiche di solidarietà con Cuba o con paesi dove vigono criteri di “democrazia” diversi rispetto a quelli vigenti nell’UE, potrebbero essere motivo per impugnare la legittimità del “partito europeo” che dovesse praticarle; e così per una linea di solidarietà con la resistenza irakena o con le FARC colombiane, che l’UE definisce “organizzazioni terroriste”; o per uno statuto di un partito europeo che ad esempio si richiamasse al leninismo, a principi cioè ritenuti incompatibili con la “democrazia liberale”.

SOVRANITA’ LIMITATA

Tali “diritti di interferenza” non preoccupano i partiti dominanti, interni alle compatibilità del sistema UE, né quei partiti di “sinistra alternativa” che, pur critici delle politiche attuali dell’UE, non ne mettono in discussione i presupposti e non oltrepassano talune “compatibilità”. Mentre vi sono partiti comunisti, rivoluzionari, antimperialisti, con un certo profilo identitario ed una collocazione internazionale “poco compatibile”, che hanno più di un motivo per non attendersi alcuna “benevola tolleranza” da parte dei gruppi dominanti di questa Unione europea e dei meccanismi “bipartizan” che sulle questioni di fondo e di sistema dominano a larghissima maggioranza l’attuale Parlamento europeo, come si è visto ad esempio sulla vicenda di Cuba (4).
Dunque, e cito ancora dal regolamento UE, “se il Parlamento europeo giudica, nella maggioranza dei suoi membri, che la condizione non è più soddisfatta, lo statuto del partito politico in questione sarà rimosso dal registro…e sospeso ogni finanziamento…, i finanziamenti erogati indebitamente saranno restituiti…e con identica procedura potranno essere comminate adeguate sanzioni finanziarie”. (5)

4)Come si vede, questi “partiti europei” godono di “sovranità limitata” e sono per molti versi dipendenti dalle istituzioni UE, che non sono neutrali, ma configurano un processo di concentrazione neo-imperialistica del capitalismo europeo nella competizione globale.
Cambia la natura del partito politico. Ed anche per questo sarebbe preferibile una soluzione tecnica, volta ad assicurarsi i finanziamenti; per poi operare in piena autonomia – sul piano politico – per la costruzione di un soggetto politico europeo, su basi continentali, che esprima un coordinamento efficace, permanente e strutturato, svincolato dalle istituzioni UE. Ad esempio, un Forum tipo quello di San Paolo, che comprende tutta la sinistra antimperialista latino-americana. Un forum aperto ai partiti comunisti e di sinistra anticapitalistica di tutto il continente europeo, collegato ai movimenti sociali e di lotta, non solo dei paesi dell’UE. (6)
Si obietta che la formula del “coordinamento “ tra i partiti si è dimostrata, nell’esperienza decennale del GUE, una formula inefficace, incapace di produrre vere e proprie campagne di massa coordinate su scala europea. E non si vuole comprendere che l’origine di tale inefficacia, che è reale, non nasce dalle formule organizzative, ma da divergenze politiche di fondo che in molti casi hanno diviso i partiti del GUE (e cito il solo esempio della guerra contro la Jugoslavia, dove alcuni partiti, pur criticando l’intervento militare, facevano parte di governi belligeranti (Francia, Italia), altri erano all’opposizione e frontalmente avversi alla guerra, altri ancora (penso ad alcune formazioni nordiche, che non cito per pudore…) erano addirittura possibilisti sull’opportunità dell’intervento “umanitario” della Nato “contro il regime di Milosevic”. C’è qualcuno disposto a credere che se tutte queste forze fossero state riunite in un unico “partito europeo”, la paralisi dell’iniziativa congiunta sarebbe stata minore?
Viceversa, un organismo non partitico come il Forum di San Paolo, che raggruppa oltre cento formazioni politiche, ed è coordinato a rotazione da un gruppo ristretto, ha dimostrato di saper dare impulso – quando c’è accordo politico –a campagne di massa su scala continentale, come quella contro l’ALCA (l’accordo di libero scambio, sostenuto dagli Stati Uniti, che farebbe delle Americhe un unico grande mercato ultra-liberista, subordinato al capitalismo USA).

5)Troppo spesso si dimentica che l’UE non è tutta l’Europa.
Ma, mentre i partiti europei conservatori, socialdemocratici e verdi lavorano sull’insieme del continente (7), Russia compresa (Gorbaciov è uomo che lavora a stretto contatto dell’Internazionale socialista); e così fanno le borghesie più lungimiranti (si pensi all’asse franco-tedesco e alla ricerca di convergenze con la Russia), i partiti comunisti e di sinistra alternativa (alcuni di essi) operano come se ci fosse ancora il Muro di Berlino e ignorano l’altra parte dell’Europa.
Eppure i maggiori partiti comunisti e di sinistra anticapitalistica si trovano ad est, nella Repubblica ceka, nelle repubbliche europee dell’ex Urss, ma vengono sistematicamente esclusi dai processi di aggregazione della sinistra europea, sulla base di veti di natura ideologica, di segno anti-comunista. Veti che sono venuti soprattutto (ma non solo) dai partiti della Sinistra Verde Nordica, ma che gli altri partiti del GUE, con la sola eccezione dei comunisti greci (Kke) e portoghesi (Pcp), hanno avuto la colpa di subire passivamente, per oltre dieci anni, o di accettare in silenzio senza troppi turbamenti…(8).
Si consideri inoltre che nel Consiglio d’Europa (organismo dove sono presenti delegazioni dei Parlamenti nazionali di tutti i paesi europei, non solo UE) esiste un gruppo parlamentare che si chiama anch’esso GUE, che comprende non solo i partiti del GUE del Parlamento europeo, ma anche rappresentanti comunisti e di sinistra di Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia… Basterebbe far funzionare questo GUE-bis ed ecco che già esisterebbe bella e pronta una sede politica e istituzionale in cui coordinare tutte le forze su base continentale, senza preclusioni nei confronti di alcuno. Solo che è mancata e manca la volontà politica, da parte di alcune forze della sinistra dell’Europa occidentale, di operare in questo senso. Mentre si vuole procedere a tappe forzate alla fondazione e strutturazione di un tipo di “partito europeo” che non solo lascia fuori la maggioranza dei partiti comunisti dell’Est e dell’Ovest, ma crea fratture profonde tra gli stessi partiti del GUE-NGL (diviso almeno in quattro pezzi) e all’interno di alcuni di essi (9).

6)Vediamo meglio, in sintesi, la geografia politico-identitaria dei partiti del GUE-NGL, e i quattro “poli” che sono venuti formandosi, a partire non solo da valutazioni diverse sul “partito europeo”, questione in ultima analisi di tipo “sovrastrutturale”, ma da differenti impianti strategici di analisi e di proposta rispetto all’Unione europea e alle prospettive di “un’altra Europa”.

QUATTRO POLI DI AFFINITA’

-Un primo polo comprende i partiti che premono, sia pure con modalità e intensità diverse, per una fondazione formale del nuovo “Partito della Sinistra Europea”, e che – con incertezze ed esitazioni soprattutto nella leadership del Pcf – sembrano disposti a procedere alla svelta, anche se ciò crea divisioni. Questo polo comprende, come “gruppo di testa”, le leadership di Izquierda Unida, Prc, Pds tedesca e Pcf.
Questi quattro partiti (erroneamente definiti “eurocomunisti”, benchè, eccetto la Pds, provengano alla lontana da quella storia) stanno vivendo – con forme e modalità diverse – processi interni di mutazione identitaria. Tali processi non sono omogenei, ma certamente hanno in comune – e cerco di sintetizzare senza caricature – per alcuni (Iu, Pds) un esplicito e dichiarato distacco dall’identità comunista, per altri (soprattutto il Prc) una “rottura” col leninismo e con una serie di riferimenti “classici” del cosiddetto “marxismo novecentesco” . Sono essi a dare il “segno” e la “prospettiva” identitaria del “Partito della Sinistra Europea”.
IU si definisce oggi come una formazione “eco-socialista”, e il ruolo indipendente dei comunisti del Pce è venuto negli anni sempre più indebolendosi e diluendosi come sua componente interna, più che come partito che opera con un suo rapporto autonomo con la società.
La Pds tedesca si definisce da tempo un “partito socialista”, “né comunista, né socialdemocratico”.
Una parte della maggioranza attuale della dirigenza Pcf punta, insieme alla componente dei “rifondatori”, allo scioglimento del Pcf in un nuovo “polo di radicalità”, una sorta di Izquierda Unida alla francese.
Il dibattito nel Prc è noto ai lettori di questa rivista, e non c’è dubbio che esso abbia forti valenze identitarie; e, nell’ iniziativa del suo Segretario, di forte rottura e discontinuità con la tradizione comunista, italiana e internazionale.
I partiti che si sommano a questo “gruppo di testa” sono marginali, dal punto di vista della consistenza : il Pc austriaco (0,…% in termini elettorali); il Synaspismos greco (2-3%), che anch’esso dichiara una identità eco-socialista; il Partito socialdemocratico del lavoro di Estonia (0,…%); la Sinistra democratica della Repubblica ceca (0,…%), sorta da una miniscissione “occhettiana” del PC ceko di chi voleva cambiare il nome comunista; la Sinistra del Lussemburgo (un deputato su 60 alle ultime elezioni nazionali), minuscola coalizione di varie componenti, con una forte corrente trotzkista interna.
Al di là dei profili identitari, queste nove formazioni politiche esprimono, sul piano strategico e politico-programmatico, due importanti convergenze : la ricerca, nel contesto attuale, di alleanze di governo con le socialdemocrazie dei rispettivi Paesi, e l’accettazione dell’Unione europea come quadro strategico imprescindibile della propria collocazione. Ovvero : le critiche anche forti che vengono condotte alle politiche concrete dell’UE (soprattutto in tema di liberismo) non configurano a medio termine un progetto strategico di Europa alternativa all’UE e comprensiva di tutti i Paesi del continente, dal Portogallo agli Urali (includente la Russia).

UN DIBATTITO CHE INVESTE
IDENTITA’ E STRATEGIA

Si tratta, in tale materia, di una posizione sostanzialmente affine a quella delle correnti di sinistra della socialdemocrazia europea (e questo è sostanzialmente l‘impianto politico-culturale dell’Appello di Berlino e del Manifesto politico – che un giorno forse verrà reso noto – del “Partito della Sinistra Europea); con un dibattito trasversale – non solo alle forze di sinistra – tra chi propende (come Iu, la Pds tedesca, il Synaspismos, la maggioranza del Prc) per un modello federale di Unione europea, con relativo superamento del diritto di veto nelle decisioni comunitarie; e chi invece (come ad esempio il Pcf) propende per un modello confederale, in cui le prerogative e le sovranità degli Stati nazionali (diritto di veto incluso, sulle questioni di fondo come ad esempio la politica estera e di sicurezza) siano salvaguardate.
Vi sono anche in questo polo, in materia europea, differenze politiche e programmatiche importanti : primo fra tutte il giudizio sul progetto di nuova Costituzione europea. Nessuno contesta il principio di una costituzionalizzazione dell’UE, che tutti accettano come quadro strategico : ma alcuni sono fortemente critici del progetto attuale in campo, che accusano di “liberismo” e di forte ambiguità nel ripudio della guerra (Prc, Pcf…), mentre altri appaiono assai più possibilisti (Iu, Pds, Synaspismos…) se non addirittura favorevoli (4 deputati europei su 5 della Pds tedesca hanno votato a favore, un quinto – il presidente onorario Hans Modrow – ha chiesto in un secondo tempo di modificare in astensione il suo iniziale voto favorevole…).
Il punto di forza di questo polo è che esso rimanda a quattro dei principali paesi dell’UE (Germania, Francia, Italia, Spagna), al di là della forza politica ed elettorale dei rispettivi partiti, che ruota attorno al 5%.
Complessivamente questo polo conta un bacino di circa 300.000 iscritti e 6 milioni di voti.

-Un secondo polo comprende la maggioranza dei partiti comunisti dell’UE : greci (Kke), portoghesi, ciprioti (Akel), ceki (Kscm), slovacchi (Kss), ungheresi (Munkaspart), tedeschi (Dkp), finlandesi (Cpf), danesi (due piccoli partiti), irlandesi (Cpi e Workers’ Party), belgi, luxemburghesi (Pcl), PdCI…
Con diversa intensità critica e preferenza di argomenti, sono critici sul processo in atto : soprattutto perché divide invece di unire, perché subordinato (secondo alcuni) alle istituzioni UE, perché guidato ideologicamente da partiti con una identità non comunista o in “mutazione”. Non è vero che questi partiti, o qualcuno tra essi, chiedano un partito europeo o un coordinamento di soli comunisti, o una nuova internazionale comunista, contrapposta all’esigenza di un coinvolgimento più largo di forze di sinistra anti-capitalistica e alternativa. Chi dice questo, o non è informato (e allora lo faccia, prima di parlare) oppure fa consapevolmente della disinformazione. E allora bisogna smetterla di fare delle caricature delle posizioni altrui, soprattutto nei confronti del Kke.
Tutti i maggiori partiti comunisti europei sono d’accordo per un coordinamento più largo (tipo Gue); alcuni di essi chiedono, non in alternativa, ma in modo complementare, che i comunisti abbiano un luogo (non un partito o un’internazionale) in cui discutere tra comunisti le problematiche e le iniziative che sono proprie della peculiarità comunista, e che non possono essere chieste e men che meno imposte a chi comunista non è. Non si capisce perché la Sinistra verde nordica o le formazioni trotzkiste possano avere luoghi propri e autonomi di raccordo – anche in forma di sub-componenti del GUE-NGL, non contrapposte o in alternativa ad esso – e questa esigenza debba essere negata o esorcizzata nel caso dei partiti comunisti.
Sul piano strategico, politico e programmatico, questo polo – nella quasi totalità delle forze che lo compongono (10) – si caratterizza per una critica di fondo all’UE, considerata espressione di un progetto strategico in cui il grande capitale europeo – imperniato sull’asse franco-tedesco – si propone di favorire la formazione di un nuovo polo imperialista, integrato sul piano economico, monetario (l’euro), politico-istituzionale (la nuova Costituzione) e militare (l’esercito europeo), più autonomo dall’egemonia Usa e in competizione globale con le altre potenze emergenti, in un mondo dove le spinte al multipolarismo evidenziano un processo irreversibile. Da questa consapevolezza nessuno – tra i partiti comunisti – trae la conclusione di prospettare oggi l’uscita dall’UE, che è un dato certamente non congiunturale della realtà europea da cui sarebbe velleitario prescindere. Ma neppure si sostiene (come invece fanno i socialdemocratici ed anche alcune forze di sinistra alternativa) che l’UE sia l’unico orizzonte possibile entro cui lavorare e lottare per un’altra Europa. La quale, per essere “altra”, deve poggiare su basi strategiche alternative al neo-imperialismo europeo e comprendere tutto il continente, Russia compresa, non essendo oltretutto la Russia di oggi una realtà omogenea a tale imperialismo, ma una realtà – come dicono a Washington – dalla” transizione incerta” (11).
Complessivamente questo insieme di forze comuniste conta un bacino di circa 400.000 iscritti e 3 milioni di voti.

LA SINISTRA VERDE NORDICA

-Un terzo polo è formato dai partiti del Nord Europa (“Sinistra verde nordica”), che non escludono di lasciare il GUE, da essi considerato troppo segnato dalla presenza dei comunisti : una presenza che potrebbe uscire rafforzata nel nuovo Parlamento europeo dall’ingresso di un numero significativo di comunisti dell’Est, che questi partiti nordici vedono come il fumo negli occhi. Il che potrebbe indurli a ricercare un maggiore collegamento coi Verdi europei. Si vedrà, dopo le elezioni.
Sta di fatto che il 1° febbraio scorso, a Reykjavik (capitale dell’Islanda), cinque partiti del Nord Europa hanno tenuto un meeting per formalizzare la fondazione della “Alleanza della Sinistra Verde Nordica” (NGLA), con tanto di Manifesto politico e di Statuto. Ne fanno parte i quattro partiti finora collegati al GUE-NGL (il Partito della Sinistra svedese, il Partito socialista popolare danese, l’Alleanza di sinistra finlandese – facenti parte dell’UE – ed il Partito della sinistra socialista di Norvegia (fuori dall’UE), cui si è aggiunto il Movimento della sinistra verde d’Islanda, anch’essa fuori dall’UE (12). Questo nuovo aggregato “gioca in proprio” e appare sempre più disinteressato a qualsivoglia progetto di “partito europeo”.
Questi partiti sono contro l’Unione europea come tale: norvegesi e islandesi si battono per starne fuori; svedesi, finlandesi e danesi vorrebbero uscirne. La natura della critica che essi rivolgono all’UE non coincide, nelle argomentazioni strategiche, con quella anti-capitalistica e antimperialista dei comunisti, ma si configura piuttosto come una difesa di tipo socialdemocratico di uno Stato sociale avanzato, che essi vedono nei loro paesi minacciato (e con ragione) dai parametri dell’UE di Maastricht, della Banca centrale europea, dell’euro e del patto di stabilità. E a tale minaccia reagiscono cercando di difendere spazi di autonomia nazionale e regionale, fuori dall’UE.
Complessivamente questa Alleanza nordica conta circa 60.000 iscritti e un milione e mezzo di voti.

-Un quarto polo è quello trotzkista, oggi escluso dal “partito europeo” per l’opposizione di molti partiti, comunisti e non, inclusi Pcf e Pds tedesca, che fanno parte del “gruppo di testa” dei fondatori. L’argomentazione con cui viene motivata tale opposizione è che le formazioni trotzkiste, diversamente dalle altre, dispongono già – oltre alla Quarta internazionale – di un loro coordinamento permanente e strutturato su scala europea (la “Conferenza europea della Sinistra anticapitalista”), di cui fa parte – unico partito del GUE – anche il Prc; Conferenza che esclude la quasi totalità degli altri partiti del GUE. Per cui, obiettano alcuni, le formazioni trozkiste non possono tenere il piede in due o tre scarpe contemporaneamente.
Sul piano strategico, queste formazioni giudicano l’UE – così come la più parte dei partiti comunisti – come l’espressione di un progetto neo-imperialista. Ma rispetto ai partiti comunisti tendono a svalorizzare il tema della dimensione nazionale dello scontro di classe e della necessaria difesa della sovranità degli Stati nazionali dall’invadenza delle politiche reazionarie delle strutture sovranazionali dell’UE. Come è caratteristico della tradizione dei gruppi trotzkisti, pur diversi tra loro, essi tendono a spostare tutto sul terreno di una “sovranazionalità alternativa” (scioperi europei, coordinamento sovranazionale delle lotte, un programma di alternativa socialista all’Europa del capitale…); il che, francamente, si presenta allo stato come una fuga in avanti velleitaria, priva di solidi agganci con la realtà nazionale e con i livelli di coscienza reali (non immaginari) dei movimenti operai dei singoli paesi.
Complessivamente questo polo conta circa 15.000 militanti in tutta la Ue, e 1 milione e mezzo di voti (forse due, forse meno, vista l’imprevedibile e consistente oscillazione del voto francese alle formazioni trotzkiste, come hanno dimostrato le consultazioni degli ultimi anni).

7)Le modalità attraverso le quali si è giunti al meeting di Berlino del 10-11 gennaio 2004 e poi all’incontro del 14-15 febbraio ad Atene, sono a dir poco sconcertanti dal punto di vista del metodo democratico, della correttezza e della pari dignità tra le diverse forze della “sinistra alternativa”.

QUANDO IL METODO E’ SOSTANZA

Ciò ha prodotto un clima di crescente sfiducia reciproca, di non lealtà e trasparenza nelle relazioni tra i partiti, che minano alla radice i presupposti di una vera solidarietà e unità d’azione (13), già rese complesse dall’esistenza, tra i partiti del GUE, di divergenze politiche e programmatiche che da sempre rendono precaria l’unità e l’iniziativa comune. Ciò dovrebbe consigliare a tutti di evitare forzature, come è appunto quella, precipitosa, della costruzione accelerata di un “partito europeo”, che presupporrebbe ben altre convergenze strategiche (14).
Qual è stato invece l’iter del “partito europeo”?
Il primo incontro si è svolto nell’aprile 2003 ad Atene, su iniziativa del Synaspismos, che ha invitato tutti i partiti collegati al GUE-NGL, eccetto il PC greco (KKE), escluso d’ufficio prima ancora di cominciare. Sarebbe come se il PdCI avesse convocato tale incontro a Roma, invitando tutti meno Rifondazione.
Il secondo incontro si è svolto ancora in Grecia nel giugno 2003, con la reiterata esclusione del KKE. Nel frattempo si elaboravano varie bozze di Statuto e di Manifesto che a tutt’oggi – sullo Statuto – non sono ancora pervenute a soluzioni unitarie, nemmeno tra i quattro del “gruppo di testa”. A questo punto il KKE si è ritirato da ogni partecipazione al processo e il rapporto non è stato più recuperato. Sempre esclusi i partiti dell’Est.
Il terzo incontro si è svolto a Madrid, su iniziativa di IU, il quarto a Bruxelles. Sempre esclusi i partiti dell’Est. Il quinto incontro si è svolto a Berlino nel gennaio 2004, dove la Pds ha invitato, in qualità di osservatori, alcuni partiti dell’Est (e questo è un passo avanti); ma anche qui con criteri arbitrari (esclusi ad esempio i comunisti e altre forze di sinistra alternativa ungheresi, polacche, bulgare, rumene, dei Paesi baltici, della ex Jugoslavia, dell’Ucraina, della Moldavia, della Bielorussia, della Russia europea…). Escluso, da sempre, il PC tedesco (Dkp), sulla cui partecipazione a questi incontri la Pds ha sempre posto il veto. Infine, ancora Atene, di cui si è detto.

8)Ben più realistica, unitaria ed elettoralmente efficace sarebbe oggi la via di un manifesto politico e programmatico comune per le elezioni europee, sui temi unificanti (salari, pensioni, stato sociale, pace e cooperazione, ecc.). Lo hanno dimostrato recenti iniziative del Pcf e del Pcp, prese con questo spirito, che hanno trovato un consenso assai più largo e la disponibilità a sottoscrivere un manifesto comune da parte di quasi tutti i partiti comunisti e di sinistra alternativa dei 25 Paesi che il 13 giugno prenderanno parte alle elezioni europee. Mentre una divisione plateale tra questi partiti, alla vigilia delle elezioni, sulla questione del “partito europeo” avrebbe un effetto politico e di immagine sicuramente negativo per tutto lo schieramento, che verrebbe sfruttato ed enfatizzato mediaticamente dai partiti dell’Internazionale socialista e dai Verdi europei per presentare una sinistra comunista e alternativa divisa e rissosa, e quindi poco credibile.
Il minimo che si possa fare a questo punto, per non cristallizzare divisioni irrimediabili e tenere aperto un processo unitario, è di rinviare ogni formalizzazione fondativa del “partito europeo” a dopo le elezioni. Per poi riprendere l’iter della discussione su basi finalmente unitarie e di pari dignità, bandendo veti, pregiudiziali, esclusioni di ogni tipo : aprendo a tutte le forze comuniste e di sinistra alternativa del continente, per pervenire insieme, senza precipitazioni né forzature organizzative, a soluzioni condivise da uno schieramento assai più ampio di quello decisamente minoritario raccolto fino ad oggi.

NOTE

(1)In una risoluzione del 4.10. 2003 del CC del Kscm, apertamente critica del progetto in campo di “partito europeo”, si affermava già quattro mesi fa che “la istituzionalizzazione della cooperazione tra i partiti della Sinistra può essere conseguita solo come il naturale approdo di una fase di unità d’azione praticata con successo. Bypassare questo stadio non potrà, allo stato attuale, contribuire ad una reale unità della Sinistra europea”. Nonostante alcune iniziative personali di qualche esponente, prive di mandato degli organismi dirigenti, il Kscm ha sempre riconfermato la sua posizione iniziale e segnatamente nella sua Direzione del 16.1.2004, nel CC del 25.1.2004, nella Direzione del 6 febbraio scorso, la cui risoluzione (resa pubblica) sostiene che “i maggiori partiti dei Paesi dell’Europa orientale devono essere coinvolti nel processo fondativo”, che “vanno respinti approcci selettivi, che hanno finora dominato tale processo”, che “tempi e modalità di fondazione non debbono compromettere l’effettiva unità del movimento comunista in Europa e pertanto questo soggetto politico non deve essere costituito prima delle elezioni europee”, che “ per il Kscm la priorità è l’unità programmatica e l’unità d’azione della sinistra in Europa”, che “ la sinistra europea non deve identificarsi con le istituzioni dell’Unione Europea”, che “ i rappresentanti del Kscm staranno in questo processo con la funzione di osservatori attivi, e non decideranno alcun passo ulteriore senza l’approvazione del Comitato centrale”.
Solo chi è disinformato, o ha preferito non vedere, ha potuto diffondere in proposito interpretazioni prive di fondamento.

(2)Le divergenze, tra i promotori, sono tra chi (ad es. le leadership del Prc, della Pds, del Synaspismos…) vuole uno Statuto “pesante”, da vero e proprio organismo sovra-nazionale, che possa prendere decisioni anche a maggioranza qualificata, e che preveda la possibilità di iscrizione al partito europeo anche da parte di movimenti, associazioni, addirittura singoli cittadini, anche iscritti o gruppi di iscritti di altri partiti (correnti ?) che non fanno parte, come partiti, del “soggetto europeo”; e chi, invece (ad esempio il Pcf, e anche altri) chiede – pena la sua non adesione al progetto – che lo Statuto rispetti appieno la sovranità di ogni partito nazionale, che dunque preveda che le decisioni vengano presa su basi consensuali e non a maggioranza, e che si oppone alle iscrizioni individuali (che aprirebbero la via, tra l’altro, all’interferenza “sovranazionale” nella vita interna degli altri partiti) e alla iscrizioni di non meglio precisate associazioni, che renderebbero labili i confini tra partito e movimenti, coi quali invece va stabilito un rapporto stretto di cooperazione, nella reciproca autonomia.

(3)La scelta della sede diventa un problema politico serie se si pretende di tenere il congresso fondativo prima delle elezioni europee. E se si vuole rispettare il principio aureo della non interferenza, andrebbero esclusi quei Paesi dove si svolge una competizione elettorale tra partiti che fanno entrambi parte del GUE, ma sono divisi sul “partito europeo”. Ad esempio andrebbero escluse la Grecia (competizione tra Kke, Synaspismos e Dikki), la Francia (Pcf e liste trotzkiste), e anche l’Italia (competizione Prc e PdCI). Mentre non vi sarebbero problemi di tale natura in Spagna, in Germania, in Austria…Non a caso, in un intervista a Neues Detschland del 16 febbraio, a commento dell’incontro di Atene, uno dei maggiori esponenti della Pds tedesca, Wolfgang Gehrcke, rileva che nel processo di discussione “in Italia il PdCI partecipa come osservatore, accanto al partito di Bertinotti e – come da nostra richiesta – entrambi i partiti dovranno cooperare nel congresso di fondazione”. Ve lo immaginate ?
Come si vede, tutto sarebbe più semplice dopo le elezioni.

(4)Si noti invece che la messa fuorilegge di alcuni partiti comunisti nei Paesi baltici (i cui dirigenti sono in galera da anni) che stanno per entrare nell’UE, o la persistenza in Paesi UE come l’Ungheria, la Repubblica ceka, la Slovacchia, di legislazioni che vietano e perseguono penalmente l’uso dei simboli e della “propaganda comunista”, per cui si sono istruiti veri e propri processi, ultimo quello a carico di Attila Vajnai, vice-presidente del Partito dei lavoratori ungheresi (Munkaspart) perché portava all’occhiello un distintivo con la stella rossa, non è invece stato ritenuto motivo sufficiente per contestare la conformità di questi Paesi ai principi “democratici” sanciti dai Trattati Ue.
Sono note le recenti dichiarazioni allucinanti di alcuni esponenti del Partito Popolare Europeo, secondo cui dovrebbe essere vietata la possibilità di candidarsi al Parlamento europeo a quanti hanno rivestito ruoli di responsabilità nei passati regimi “totalitari” dell’Est europeo.
Viene da chiedersi quali interferenze nella vita interna, negli ordinamenti statutari e nei finanziamenti pubblici (con relative sanzioni) potrebbe esercitare un Parlamento europeo ove prevalessero orientamenti reazionari di tale natura. Eventualità questa tutt’altro che fantascientifica, nel contesto attuale, dove un membro della Commissione UE (il “governo” dell’Unione europea) come il tedesco Gunter Verheugen – socialdemocratico SPD, già alto funzionario dei Ministeri degli Interni e degli Esteri del suo Paese, oggi Commissario responsabile per l’allargamento dell’UE ad altri Paesi – nella discussione avvenuta il 30 settembre 2003 nella seduta del Comitato per gli affari esteri del Parlamento europeo, rispondendo a una domanda circa le clausole che mettono fuori legge i partiti comunisti e i loro simboli in alcuni Paesi dell’Est europeo membri della UE, ha replicato : “Se mi è consentito esprimere un commento politico, posso affermare che se personalmente avessi sperimentato ciò che i popoli hanno sperimentato in Europa orientale, sarei il primo a chiedere che il Partito Comunista sia messo al bando in quei paesi” (questo si chiama parlar chiaro!). A seguito di una lettera di protesta per queste dichiarazioni, inviata dal deputato europeo del PC greco (Kke) Stratis Korakas al Presidente della Commissione europea Romano Prodi, quest’ultimo ha replicato che “la messa al bando del Partito Comunista in un paese che sta per entrare nell’UE, in nessun caso può rappresentare causa di particolare dibattito nell’ambito dei criteri politici prima menzionati” (il riferimento è ai criteri espressi dal vertice UE di Copenaghen del 12-13 dicembre 2002, che ha dato il via libera all’allargamento dell’UE da 15 a 25 Paesi, dove otto su dieci dei nuovi ingressi riguardano Paesi dell’Est europeo e dell’ex Unione Sovietica). “Tali dichiarazioni – commenta una nota della Sezione esteri del Kke – non solo legittimano le clausole non democratiche, le interdizioni e le persecuzioni anticomuniste in una serie di Paesi UE, ma creano le condizioni per una potenziale estensione di tali misure ad altri Stati membri, dal momento che introducono l’idea che la democrazia e la messa al bando dei partiti comunisti sono compatibili”.

(5)Interferenze nella vita interna dei partiti, dei loro Statuti, delle modalità di auto-finanziamento, cominciano a manifestarsi anche nelle legislazioni nazionali di alcuni Paesi UE. Ad esempio il Partito comunista portoghese è impegnato da tempo in sede nazionale in una dura lotta politico-istituzionale contro leggi sostenute con logica “bipolare” da conservatori e socialisti, che prevedono pesanti interferenze nella vita interna dei partiti, nella definizione dei loro Statuti, e giungono a limitarne ai minimi termini le possibilità di autofinanziamento non derivante dal contributo dello Stato (autofinanziamento militante che nel caso del Pcp raggiunge percentuali del 70% e rende tale partito non così dipendente dal finanziamento statale).

(6)La Tesi 35 e il documento politico conclusivo del 5° Congresso nazionale del Prc prospettano la “costruzione di un nuovo soggetto politico europeo (non si parla di un partito – ndr) per UNIRE…le forze della sinistra comunista, antagonista e alternativa SU SCALA CONTINENTALE …nelle loro diversità politiche e organizzative” e senza pensare “né ad una fusione organizzativa, né ad un compattamento su base ideologica”.
In realtà le modalità scelte per il dibattito su scala europea e le accelerazioni impresse dalle leadership di alcuni partiti hanno prodotto una situazione di divisione profonda e preoccupante tra i maggiori partiti comunisti e di sinistra alternativa europei, e in molti casi all’interno di essi, persino tra i partiti promotori dell’”Appello” di Berlino (come è il caso del Pcf e dello stesso Prc); e divisioni profonde all’interno del GUE-NGL che rischiano, se non si cambia strada, di pregiudicarne una ricomposizione unitaria nella prossima legislatura.
Invece di UNIRE, si moltiplicano le divisioni e le dissociazioni; e questo sì contraddice lo spirito e la lettera della Tesi 35.
Su oltre 40 partiti comunisti e di sinistra alternativa attivi nei paesi dell’UE, che diventano oltre 60 se si considera l’Europa SU SCALA CONTINENTALE, solo 11 hanno sottoscritto l’Appello di Berlino, e già due di essi (il Partito comunista ceko e il Partito comunista slovacco) hanno rivisto la loro posizione, non hanno partecipato all’incontro di Atene del 14-15 febbraio 2004, e hanno preso visibilmente le distanze da ipotesi precipitose di Congresso costituente.
Per valutare appieno la portata delle decisioni dei partiti dell’Est, va detto che – nonostante le divergenze politiche e ideologiche con l’ipotesi in campo di “Partito della sinistra europea” – essi avrebbero un interesse pragmatico a parteciparvi, per avvalersi dei finanziamenti (e si tratta di partiti in condizioni finanziarie assai più precarie dei loro “cugini” dell’Europa occidentale), ed anche un interesse a utilizzare la “protezione” del “partito europeo” rispetto alle legislazioni ferocemente anti-comuniste dei loro Paesi. In questo senso la loro scelta politica di non aderire al progetto in campo – comunque la si voglia valutare – assume un peso politico di grande rilevanza e coerenza con le proprie posizioni di principio.
I nove partiti i cui leader sembrano disposti a partecipare ad un congresso costituente del “partito europeo” prima delle elezioni europee, contano complessivamente circa 300.000 iscritti, con un bacino elettorale di circa 6 milioni di voti. Gli altri contano nella sola UE circa 400.000 iscritti e circa 6 milioni di voti; e complessivamente, considerando l’insieme del continente, circa 1 milione di iscritti e oltre 20 milioni di voti. Ovvero : gli “inclusi” contano in voti e iscritti circa il 20% dell’insieme della sinistra comunista e alternativa europea. Se questo vuol dire UNIRE, sarà bene ripensarci.

(7)Il 20-22 febbraio si terrà a Roma il congresso di fondazione del Partito dei Verdi Europei, che riunirà 32 partiti membri effettivi (più 7 osservatori) di 36 paesi di tutto il continente (membri e non membri UE). Un soggetto politico che effettivamente unifica e coordina l’insieme della galassia ecologista europea, e che vede tra i suoi membri effettivi i Verdi di Russia, che raccordano in forma interregionale, una serie di formazione ecologiste i Georgia, Ucraina, Romania; e , come osservatori, i Verdi di Serbia, Albania, Slovenia, Moldavia…Così si lavora e si unisce !
“ Si dice che le altre “famiglie” (Verdi, Socialisti) hanno i loro partiti europei e che noi non possiamo farne a meno. Ma in quelle tutti partecipano, tutti si riconoscono, anche se sostengono posizioni totalmente diverse. Sono stati, quelli, processi di unificazione e non di rottura. Noi dobbiamo lavorare per trovare le forme di unità possibile, inclusive e non escludenti. Ed ogni precipitazione è dannosa, soprattutto se viene fatta in funzione elettorale “ (Claudio Grassi, intervento alla Direzione del Prc, 28.1.2004).

(8)Sono semmai questi veti, o la loro passiva accettazione, che contraddicono la Tesi 35 del 5° congresso nazionale del Prc, che chiede appunto di “unire le forze della sinistra comunista, antagonista e alternativa su scala continentale”.

(9)La divisione è presente, in misura diversa, anche tra i quattro partiti “di testa” del progetto in campo di partito europeo : Prc, Pcf, Izquierda Unida, Pds tedesca.
Pcf e Prc su questo tema sono divisi a metà nei loro stessi gruppi dirigenti.
Nel Prc la Direzione nazionale del 28 gennaio 2004 ha approvato la linea indicata dal Segretario nazionale con 21 voti contro 18. Mi domando : in quale altro partito, comunista o non, si procederebbe spediti in un progetto di tale portata come la fondazione in pochi mesi di un “partito sovranazionale” con una maggioranza così incerta e risicata, come se da ciò dipendessero le sorti del partito?
Nel Pcf la questione sta provocano malesseri e divisioni non minori. E c’è un mandato congressuale che impone agli organismi dirigenti di consultare in modo formale tutti gli iscritti, prima di una decisione definitiva. Una consultazione che si presenta dall’esito assai incerto, ove si consideri che, nella consultazione congressuale degli iscritti nell’ultimo congresso del Pcf, le due componenti di sinistra (critiche del progetto in campo di partito europeo, e oggi all’opposizione dell’attuale gruppo dirigente, hanno ottenuto complessivamente il 45%; mentre riserve e obiezioni di fondo sul progetto sono presenti anche in settori tutt’altro che marginali dell’attuale maggioranza). E non è certo un caso se la Segretaria nazionale del Pcf, nonostante gli annunci della vigilia, non ha partecipato all’incontro di Atene del 14-15 febbraio scorsi, dove secondo alcuni i quattro leader nazionali di Pcf, Prc, Izquierda Unida e Pds tedesca avrebbero dovuto congiuntamente dare l’annuncio del Congresso di fondazione del nuovo “partito europeo”, da svolgersi a Roma alla vigilia delle elezioni europee.
In Izquierda Unida la discussione sul “partito europeo” non è ancora cominciata. IU ha tenuto a fine dicembre il suo congresso nazionale, tutto in chiave unanimistica e pre-elettorale (in Spagna si vota il 14 marzo per le politiche). Per cui, al fine di evitare di sollevare discussioni su un tema controverso, il tema è stato rimosso dal dibattito congressuale, nessuno ne ha parlato, non lo si trova neppure nei documenti congressuali e nelle risoluzioni conclusive (così come quello della Costituzione europea, su cui Iu e il suo gruppo dirigente sono divisi).
Nella Pds tedesca c’è un’opposizione interna che viene dalle tendenze comuniste e da quelle che si rifanno al Forum marxista. Ma va detto che in quel partito è soprattutto forte l’illusione (e l’ansia) che il lancio del “partito europeo” prima delle prossime elezioni europee possa aiutare il partito a raggiungere la soglia del 5% (oggi i sondaggi collocano la Pds al 3,9%) al di sotto della quale il partito sparirebbe dal Parlamento europeo, come già è sparito dal Parlamento nazionale, e vedrebbe in forse la sua stessa sopravvivenza, data la natura prevalentemente istituzionale e d’opinione di tale partito.

(10)Un discorso a parte andrebbe fatto per la posizione del PdCI sull’UE, per molti versi simile a quella della maggioranza del Prc, e affine – su questo punto – agli orientamenti delle componenti di sinistra della socialdemocrazia europea. Ma non mi addentro…

(11)Non casualmente, nel documento presentato nella Direzione nazionale del 28 gennaio 2004 dai compagni e dalle compagne che si rifanno “all’area de l’Ernesto”, si evidenzia che “l’UE non è tutta l’Europa” e che “le istituzioni dell’UE non sono neutrali, ma configurano un processo di concentrazione neo-imperialistica del capitale europeo”.

(12)I materiali (in inglese) di questa nuova Alleanza nordica – Manifesto politico, Statuto, altre informazioni – possono essere richiesti a :
[email protected]

(13)In una risoluzione del 20 ottobre 2003, “il CC del Partito comunista portoghese esprime serie preoccupazioni per la direzione presa dal processo relativo alla creazione di un “partito politico europeo” e ai danni che tale processo può causare alla necessaria cooperazione delle forze che, nonostante alcune differenze importanti, hanno collaborato nel GUE e in altre iniziative multilaterali.
Il PCP giudica negativamente la istituzionalizzazione di “partiti europei” nei Trattati della UE e non considera questa una tematica prioritaria. Detto questo, il PCP si sente impegnato per una soluzione unitaria del problema, una soluzione basata sui partiti, che tenga conto dell’esperienza del GUE, rispetti la sovranità di ognuno e l’uguaglianza di tutti, con una struttura minima flessibile, lavorando collegialmente su basi di consenso e di rotazione delle responsabilità, con una piattaforma sintetica strettamente legata a questioni concrete di lotta.
Gli sviluppi recenti di tale processo hanno fatto emergere questioni di metodo inaccettabili che contraddicono principi elementari nelle relazioni tra partiti, evidenziano discriminazioni e minano la necessaria fiducia reciproca. Sviluppi che potrebbero precipitare verso una costruzione artificiale che ignori le differenze di cui bisogna tener conto, e opti per criteri ristretti di affinità politico-ideologica che il PCP non può condividere.”
Tale risoluzione è stata inviata a tutti i partiti interessati con lettera di accompagnamento della Segreteria del PCP, in cui si ribadisce “sorpresa e riprovazione per metodi che creano danni seri alla necessaria cooperazione dei comunisti e di altre forze progressiste”.
La decisione ufficiale del Pcp di non partecipare al progetto in campo di “partito europeo”, pubblicata su Avante (22 gennaio 2004), è reperibile integralmente, tradotta in italiano, in : www.resistenze.org : Nuove resistenti, n.69.
Anche la Direzione nazionale del PdCI ha inviato, il 20 novembre 2003, una lettera ai partiti interessati in cui si critica il fatto che “sembra configurarsi una relazione speciale tra alcuni partiti, o tra i loro leader, e quindi il nuovo partito non nascerebbe più su base paritaria”.

(14)In una lettera del CC del KKE inviata a tutti i partiti interessati (settembre 2003) si rileva che “la fondazione di un Partito della Sinistra Europea non aiuta la cooperazione e il coordinamento effettivo delle forze comuniste e di altre forze di sinistra radicale…Tale progetto prescinde dalle profonde differenze politiche e ideologiche – e anche contrasti – tra i punti di vista dei nostri partiti su temi cruciali : quale unificazione europea, quale giudizio sull’UE; il ruolo dell’attuale UE capitalistica nel contesto mondiale; i programmi; il tipo di società per cui lottiamo; il superamento del capitalismo e la prospettiva socialista;…la politica delle alleanze e il rapporto con la socialdemocrazia. Differenze già emerse più volte nel GUE.
Ignorare questa realtà e prospettare la creazione di un partito europeo significa alimentare false illusioni e aspettative presso i lavoratori e i popoli; ferire i principi di eguaglianza, sovranità e indipendenza che devono caratterizzare le relazioni tra i nostri partiti. E ciò alla fine si ritorcerà contro tutti noi…”.

18.02.2004