Ci siamo lasciati alle spalle cento anni di contraddizioni inconciliabili tra due diversi sistemi sociali in Europa: quello capitalistico e quello socialista che sviluppatosi dopo la rivoluzione d’Ottobre.
Riflettendo sul futuro dell’umanità nel XXI secolo, è necessario esaminare il secolo che sta terminando dal punto di vista di queste contraddizioni e, dopo l’indiscutibile sconfitta del socialismo reale, mettere in rilievo sia le sue insufficienze che le sue realizzazioni storiche. Nella storia si conoscono sconfitte in cui non ci sono vincitori. Tale appare il quadro della situazione proprio oggi, a dieci anni dalla fine del socialismo reale in Europa. Il capitalismo non ha vinto. Semplicemente ha resistito. Oggi esso, in assenza del suo vecchio avversario, aspira a modificarsi nelle sue molte forme, a manifestare sempre più acutamente gli elementi di ingiustizia sociale rappresentati da un’enorme ricchezza di pochi e una crescente povertà di grandi masse, vale a dire proprio quegli elementi che, in conseguenza dell’esistenza del socialismo reale erano stati fortemente mitigati.
Il socialismo reale, le sue insufficienze e gli elementi degni di essere mantenuti
Gli avvenimenti della storia sono soggetti a diverse valutazioni. Ciò è riferibile a qualsivoglia avvenimento del secolo e a maggior ragione alla Rivoluzione d’Ottobre. Nelle conferenze internazionali dei partiti comunisti e operai del 1960 e del 1969 si è rilevato che alla Rivoluzione d’Ottobre va ascritto l’inizio dell’epoca del passaggio dal capitalismo al socialismo su scala mondiale.
Proprio in questo sta il senso delle parole pronunciate da Michail Gorbaciov in occasione del 70° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre nel 1987: “dall’Ottobre ha inizio un capitolo originale della storia dell’umanità, quando la scelta tra socialismo e capitalismo è diventata di gran lunga la più importante alternativa sociale della nostra epoca”. Le valutazioni del tempo presente, comprese quelle dello stesso Gorbaciov, sono ben lontane da queste conclusioni. Nello spirito dei tempi odierni c’è il desiderio di sradicare l’idea stessa della Rivoluzione d’Ottobre e, ancor più di cancellarla dalla memoria dei popoli. Contrastare tali tentativi non è solo una questione di verità storica, ma una necessità, se vogliamo trarre dalle lezioni della storia insegnamenti per il futuro.
In nessun luogo si manifestava così chiaramente una concentrazione di contraddizioni come nella Russia feudal-capitalistica, in nessun luogo come in questo paese faceva sentire il suo peso il fardello gravoso della prima guerra mondiale. Il ruolo storico di Lenin non viene sminuito dal fatto che scorgiamo le radici della Rivoluzione d’Ottobre nelle condizioni storiche concrete di quel tempo. Solo nel momento in cui si manifesta una situazione che richiede trasformazioni globali, le personalità colgono l’occasione per agire su processi storici giunti inesorabilmente a maturazione. La Rivoluzione d’Ottobre ha posto le basi di cambiamenti radicali nelle relazioni sociali che si stavano creando e nei rapporti di classe delle strutture del potere. Con il cambiamento dell’ordinamento dominante, si sono creati i presupposti per i cambiamenti nell’economia e nella sfera sociale, nel settore della cultura, nei valori della vita, nell’organizzazione sociale e nella politica estera. In conseguenza della limitazione della democrazia e della violazione dei diritti dell’uomo, legate in primo luogo alla direzione di Stalin, è venuta manifestandosi una deformazione nello sviluppo del nuovo ordinamento, le cui radici non sono da ricercare nella Rivoluzione d’Ottobre, ma negli errori e nelle manchevolezze di gruppi dirigenti e nelle barriere che essi hanno creato alla partecipazione di grandi masse popolari al processo di continuo rinnovamento sia delle idee che dei gruppi dirigenti. I proprietari e i funzionari al loro servizio, persero le fondamenta del potere e del dominio politico, con l’espropriazione del grande capitale. Sia prima che dopo la Rivoluzione d’Ottobre Lenin si pronunciò per la coesistenza di diverse forme di proprietà, inclusa, si capisce sotto forte controllo, la proprietà privata. Ma anche questa idea venne perduta e persino la proprietà cooperativa finì per essere considerata insufficiente in confronto a quella statale. Nessuno può contestare che dal momento della Rivoluzione d’Ottobre venne perseguito l’obiettivo del cambiamento delle condizioni di vita sul piano generale, della scala di valori sociali, della concezione del mondo. Questo processo non si è svolto in modo indolore. L’eliminazione fisica dei compagni di lotta dei tempi della Rivoluzione d’Ottobre ha rappresentato la più acuta contraddizione tra gli ideali della rivoluzione e la realtà. Ma malgrado tutto ciò, proprio nella sfera dell’istruzione, della cultura, delle garanzie sociali, delle relazioni umane e della solidarietà nella società si sono conservati quegli elementi che anche oggi determinano la scala dei valori umani di moltissime persone, sia sul territorio dell’ex RDT che negli altri paesi dell’ex campo socialista.
Non si deve neppure dimenticare che la Rivoluzione d’Ottobre ha rappresentato la prima vittoria sulla strada della fine delle guerre. Ai fini del mantenimento della pace, Lenin accettò compromessi significativi. Le violazioni di questa impostazione e, come conseguenza, gli avvenimenti in Cecoslovacchia e in Afganistan hanno contraddetto la politica di pace e di distensione. Gli avvenimenti del 17 giugno 1953 in RDT, del 13 agosto 1961 ( l’installazione della frontiera tra RDT e RFT, tra Berlino occidentale e orientale) hanno generato nelle file del nostro partito, il Partito del socialismo democratico, una accesa discussione. La valutazione unilaterale, da qualunque parte provenga, pecca di mancanza di obiettività: gli uni vi scorgono solo presupposti positivi, mentre gli altri solo le conseguenze negative di quel passo. Avvenimenti simili si svolgono esclusivamente nell’ambito di determinate condizioni storiche e delle loro interconnessioni. Uscendo da tale ambito, non si può né spiegarli né capirli.
Nel vuoto politico creatosi dopo la morte di Stalin, l’Unione Sovietica si è sforzata, garantendo l’ulteriore esistenza della RDT, di realizzare i propri interessi di potenza vincitrice. Ciò appariva possibile solo attraverso il mantenimento del dominio del Partito socialista unificato di Germania (SED). Gli errori e la pochezza della direzione della SED sono evidenti. Gli avvenimenti del 13 agosto 1961 hanno sconvolto in primo luogo il territorio della RDT, sebbene, nello stesso tempo, misure per il perfezionamento della sicurezza delle frontiere venissero assunte anche in Ungheria e in Cecoslovacchia. La contrapposizione tra le due superpotenze si manifestò nell’equilibrio tra guerra “calda” e guerra “fredda”. Sotto la direzione dell’URSS, i paesi membri del Patto di Varsavia, con la piena adesione della RDT, presero la decisione di garantire l’assoluta sicurezza delle frontiere. Più tardi, soprattutto dopo la Conferenza di Helsinki del 1975, il rifiuto di compiere passi concreti nella direzione del cambiamento della situazione e la speranza di poter utilizzare misure di scarsa rilevanza per smuovere lo scenario politico del momento, si trasformarono in un errore fatale. Se ora menziono questi avvenimenti, lo faccio per sviluppare una considerazione a mio avviso essenziale.
La Rivoluzione d’Ottobre fu il frutto di un’obiettiva situazione rivoluzionaria. Le rivoluzioni popolari democratiche dopo il 1945 si svolsero quale conseguenza della seconda guerra mondiale nei paesi dell’Europa centrale ed orientale, in seguito alla disfatta subita dal fascismo hitleriano ad opera dell’Armata Rossa e alla liberazione dei popoli dal suo giogo. La maggioranza preponderante dei tedeschi non si considerava liberata, ma piuttosto sconfitta, mentre l’Unione Sovietica si considerava il vincitore. Sono dovuti passare molti anni, perché questo conflitto venisse smussato e la maggioranza della popolazione della RDT imparasse a rispettare e ad ammirare la memoria dei combattenti sovietici morti nella Grande Guerra Patriottica.
La decisione, presa nell’estate del 1952, di procedere alla costruzione del socialismo, fu a suo modo una rivoluzione “dall’alto”, e noi che prendemmo tale decisione nella seconda Conferenza di partito della SED, coltivavamo l’illusione che la nostra concordia e il nostro entusiasmo si sarebbero riflessi nelle aspirazioni della maggioranza, sebbene fossimo ben lontani dalla comprensione del reale stato delle cose. Ci sono voluti lunghi decenni di cambiamenti all’interno della RDT, che hanno assunto carattere di riforma negli anni ’60, per suscitare, in una parte significativa della popolazione, sentimenti di fedeltà nei confronti del socialismo. Ma occorreva sempre tenere presente una particolarità, che consisteva nel fatto che nel centro dell’Europa c’erano due stati tedeschi con differenti sistemi sociali. E che alla RDT era data la possibilità di esistere fino a quando l’Unione Sovietica fosse stata suo alleato nell’ambito della contrapposizione globale tra sistemi mondiali e avesse fatto tutto il possibile per garantire la sua esistenza in quanto Stato.
Qui non ho la possibilità di soffermarmi sulla relazione tra la disintegrazione della RDT e quella dell’Unione Sovietica. Rimane il fatto che, nel novembre del 1989, il mio governo si sforzava di conservare la RDT e di realizzare la sua trasformazione come stato socialista.
Quando fu evidente che noi eravamo sempre meno sostenuti all’interno del paese e che il processo di disgregazione dell’URSS stava avanzando con tempi che avrebbero annullato anche le condizioni esterne per la sopravvivenza della RDT, io mi vidi costretto ad agire e intervenni con la convinzione sintetizzata nello slogan “La Germania è un’unica patria”: pensavo che si sarebbe potuta realizzare l’unione dei due stati tedeschi, mediante una costruzione graduale. Dopo che Gorbaciov, venendo meno a tutti gli accordi da lui sottoscritti a Mosca il 30 gennaio 1990, ebbe spianato la strada all’annessione della RDT da parte della RFT, una unificazione reale non fu più possibile. Così ancora oggi, in base ai sondaggi più recenti, il 70% dei cittadini della ex RDT considera buona e giusta l’idea del socialismo, ritenendo unicamente che essa non è stata realizzata in modo corretto dalla direzione politica della SED.
E inoltre, se pure il 30% degli abitanti dell’ex Repubblica Fede rale considera buona l’idea del socialismo, ciò testimonia in modo eloquente quanto sia indispensabile una seria riflessione sulle possibilità di sviluppo del socialismo nei tempi a venire. Per questa ragione il necessario corso delle riforme nelle società capitalistiche attualmente esistenti deve assumere un indirizzo socialista, che orienti le masse verso il superamento della società capitalistica.
Trasformazione e progresso o ritorno al passato capitalistico?
La trasformazione avvenuta dall’inizio degli anni ’90 negli stati dell’Europa centrale ed orientale, è stata descritta dalla pubblicistica corrente come una realtà in continuo sviluppo progressivo e rivoluzionario. Ma la vera natura di tale trasformazione sta nella spinta alla privatizzazione assoluta dell’industria e dell’agricoltura, delle banche e delle compagnie di assicurazione, del sistema energetico e dei trasporti e, infine, delle strutture sanitarie, dell’istruzione e della cultura. Tutte le funzioni della vita sociale vengono così subordinate alle regole del mercato. Tale processo si è svolto a tappe e con tempi diversi, e si è legato in maggiore o minor misura all’applicazione di terapie shock . Ma il risultato, a prescindere dalla differenza delle situazioni, è stato generalmente identico. Si è affermata la divisione della società tra ricchi e poveri, tra sfruttatori e sfruttati, con contraddizioni così profonde che al momento non sono riscontrabili in alcun paese capitalistico dell’occidente. Persino coloro che vogliono mettere in evidenza come l’ex RDT rappresenti un’eccezione, vengono contraddetti dai fatti. Il processo di deindustrializzazione ha oggi abbassato il volume della produzione al di sotto del livello del 1989. Il tasso di disoccupazione è balzato al 17%. Il salario nella parte tedesco orientale rappresenta, sulle base delle tariffe correnti e a parità di costo della vita, meno dell’80% del salario in vigore nella Germania occidentale. A dieci anni dall’annessione della Repubblica Demo cratica Tedesca, nel paese esistono due distinte società, che tendono sempre più ad allontanarsi una dall’altra. Di nuovo la Germania ha avuto un suo ruolo in iniziative tese ad affermare un ruolo di dominio e, con la sua partecipazione all’aggressione NATO contro la Jugoslavia, ha condotto una guerra con il marchio della politica tedesca. In tal modo la Germania ha violato anche l’accordo “2 più 4”.
Siccome, in qualità di membro del Parlamento Europeo, mi occupo delle questioni relative all’ingresso della Repubblica Ceca nell’Unione Europea, mi permetterò in questa sede di rendere pubblici alcuni fatti che sono esemplari di una linea di tendenza ancora più accentuata in altri paesi dell’Europa centrale ed orientale. Nel periodo che va dal 1948 al 1989, in Cecoslovacchia sono cresciuti il reddito statale di sei volte, la produzione industriale di 15 volte (in Slovacchia ancora di più), la produzione agricola del 70%. Dopo gli avvenimenti del novembre 1989 la trasformazione della società ha avuto inizio con la restaurazione dell’ordinamento capitalistico. Tale restaurazione nella repubblica ceca, dopo una decina d’anni di cambiamenti, è caratterizzata da conseguenze di questo tipo: una caduta del reddito statale del 12%, della produzione industriale e del settore delle costruzioni del 20%, dell’agricoltura del 30%, dell’allevamento del 50%. Il traffico di merci su strada e ferroviario è diminuito del 50%.
Mentre i redditi delle grandi masse hanno subito una riduzione di oltre il 10%, gli affitti degli appartamenti sono cresciuti di 16 volte. Nel settore sanitario e in quello dell’istruzione si rafforza continuamente la tendenza a scaricare i costi sui cittadini. La disoccupazione supera addirittura il livello raggiunto ai tempi della grande crisi capitalistica del 1929-1930 e va oltre il 10%, raggiungendo nelle regioni più industrializzate, ad esempio nella regione di Ostrava, percentuali che si avvicinano al 30%.
Mentre nel 1990 sono nati 130.000 bambini, nel 1999 la natalità ammontava a solo 90.000 unità. Niente riesce a dar meglio l’idea della mancanza di prospettive che emerge da questo tipo di società.
A intervenire nei processi di integrazione degli stati dell’Europa centro orientale nell’Unione Europea c’è anche la pressione esercitata su questi paesi perché assumano pienamente e velocemente tutti gli standard previsti dall’UE. Ciò si lega anche alla richiesta che viene loro fatta di prendere su di sé sempre maggiori obblighi, non ultimi quelli in materia di difesa con il loro ingresso nella NATO e sacrificio che si traducono nell’incremento della disoccupazione e nella riduzione dei benefici sociali.
La privatizzazione per la Repubblica Ceca ha significato la consegna della banche e dei “media” nelle mani del capitale tedesco.
Perciò mi sembra corretta la seguente valutazione della situazione. L’attuale trasformazione e le sue conseguenze sociali sono state molto più rilevanti che quelle manifestatesi in Europa dopo la seconda guerra mondiale.
La fine del socialismo reale ha dato inizio a cambiamenti nella società capitalistica. Si realizza la fusione di gruppi industriali e banche, che esercitano più potere e più influenza di interi stati. Cresce la comprensione del fatto che globalizzazione significa prima di tutto sfruttamento globale. Il processo di trasformazione fino ad ora non ha condotto l’Europa centro orientale, e ancor più i paesi della CSI, all’integrazione con la comunità dei paesi occidentali sviluppati, ma, al contrario, li ha respinti sulla strada di uno sviluppo da paesi del terzo mondo. In tal modo la Russia viene accolta come fornitrice di materie prime, e non come partner, nè tantomeno, come concorrente nel campo delle alte tecnologie. E i legami economici che si erano sviluppati a suo tempo nell’ambito del COMECON, sono svaniti a danno delle economie dei paesi che vi facevano parte. L’interscambio commerciale tra la RDT e l’URSS nel 1989 ammontava a 32 miliardi di marchi tedeschi (DM), ma già nel 1992 l’interscambio tedesco-russo si era ridotto a 7 miliardi di marchi tedeschi. Ancora oggi la maggior parte dello scambio di merci nell’ambito della collaborazione economica con la Russia avviene con la ex RDT. Se oggi non è fattibile il ristabilimento di condizioni di divisione del lavoro sul modello del COMECON, la creazione di legami basati sull’interesse reciproco potrebbero tuttavia essere di grande utilità allo sviluppo delle economie di questi paesi.
Le sinistre in europa e le sfide che devono affrontare all’inizio del XXI secolo
Pur tenendo conto dell’esperienza storica del movimento comunista e operaio e la rifondazione dei partiti socialisti e comunisti, oggi è difficile parlare della creazione di nuovi centri di tale movimento. Occorre valutare la reale situazione dei fatti e delle forze, come base per l’avvio di discussioni comuni, e non ignorare le differenze nello sviluppo delle forze di sinistra nell’Europa occidentale, centrale e orientale e le divisioni ancora esistenti dell’Europa e nel mon do. Noi in Europa abbiamo bisogno che tra i partiti di sinistra s’instauri un clima di reciproca comprensione tesa all’individuazione degli obiettivi, delle misure concrete e dei meccanismi dell’integrazione economica e sociale. Gli obiettivi neoliberali, rafforzati degli accordi di Maastricht, Amsterdam e Lussemburgo, che limitano le spese sociali, i programmi di investimento a livello europeo, che assicurano l’autonomia della Banca Centrale Europea, la liberalizzazione del mercato del lavoro, e così via, devono essere corretti. I partiti di sinistra devono abbandonare la posizione di chi sta a guardare l’elaborazione e la messa in pratica della politica socialdemocratica in Europa. La sfida per le sinistre consiste in un salto di qualità nello sviluppo della collaborazione tra i partiti di sinistra.
L’Unione Europea ha davanti a sé il compito di creare nei prossimi anni un’economia più concorrenziale, dinamica, operante su basi scientifiche e, nello stesso tempo, in grado di garantire la piena occupazione. Le forze politiche che si collocano a sinistra della socialdemocrazia, devono assumere questa sfida e sforzarsi di elaborare un’alternativa di sinistra per l’Europa.
L’Unione Europea sta per accrescere il numero dei suoi componenti accogliendo dodici nuovi stati, e si prepara a riorganizzare le sue strutture, per poter ricevere nuovi ederenti. La maggior parte dei paesi candidati all’ingresso nell’Ue porterà nella comunità grandi problemi economici e sociali. I paesi candidati aspirano a portare la loro situazione economica e finanziaria in modo da adempiere ai criteri necessari ad essere accolti. Il club dei paesi membri dell’UE presta ai membri potenziali dell’Unione un modesto sostegno finanziario ed economico, senza avere un’idea precisa su come procedono i processi di integrazione nei paesi candidati.
In ogni caso, questa tendenza al rafforzamento dei processi di integrazione rappresenta una sfida per i partiti di sinistra. Per questa ragione è auspicabile che tra i partiti di sinistra si proceda a esprimere una posizione chiara sulla questione dell’ulteriore rafforzamento dell’UE. Ne consegue che occorre avviare un intenso lavoro per sondare le possibilità di sviluppo del dialogo e dello scambio di opinioni tra i partiti di orientamento di sinistra dei paesi candidati all’ingresso nell’UE.
Inoltre l’UE stipula protocolli di collaborazione con i paesi della CSI: anche per questo è necessario intavolare un dialogo con le forze di sinistra di questi paesi. Questo è necessario affichè questo processo possa uscire dai binari imposti dal capitalismo.
La sconfitta del socialismo nell’Europa orientale non significa necessariamente che le ragioni che lo rendevano un’alternativa al capitalismo sono venute meno.
Al contrario. Nell’attuale Europa capitalistica – sia ad ovest che ad est – imperversano la disoccupazione, l’ingiustizia sociale, con un crescente squilibrio tra ricchezza e povertà, un sempre maggior numero di ambiti della vita diventano obiettivi per la corsa del capitale verso il profitto.
Le riflessioni sul socialismo e sulla lotta per il socialismo rimangono un compito fondamentale e improrogabile, legato agli interessi dell’umanità. Tutte le forze che proclamano la loro fedeltà al socialismo si trovano di fronte a questo dilemma: mentre il socialismo rappresenta sempre più l’alternativa necessaria al capitalismo, nello stesso tempo non esistono, al momento attuale, le forze necessarie alla contrapposizione e le condizioni che potrebbero rendere possibile il socialismo.
La conquista di una prospettiva socialista in Europa dipende da quanto i movimenti di sinistra, socialisti e comunisti sapranno superare il loro isolamento, acquistare un grande peso politico nei rapporti di forza, procedere verso un nuovo livello di collaborazione nella loro attività politica e saranno capaci di costruire una solidarietà internazionale su basi qualitativamente nuove.