Il dibattito, scatenatosi dopo il 1956, a seguito del XX Congresso del PCUS, relativo all’emergere di nuove categorie concettuali quali l’ “umanesimo socialista” e il cosiddetto “culto della personalità” ha sicuramente rappresentato, uno dei momenti più controversi e complessi nella storia del movimento operaio del secolo appena concluso, ed ha prodotto lacerazioni tanto profonde da poter essere paragonabile, per gli effetti che esso ha prodotto, alla votazione dei crediti di guerra da parte dei principali partiti della seconda internazionale nel 1914. All’interno di questo dibattito ci pare utile soffermarci sulle riflessioni in merito sviluppate da Louis Althusser che con estrema lucidità e spirito critico ha saputo cogliere l’inadeguatezza sul piano teorico delle “denuncie” contenute nel rapporto segreto e nelle speculazioni che ne sono scaturite, indicando come dall’abbandono dei canoni analitici marxisti e dall’utilizzo di categorie ad esso estranee si avviasse una discussione su un piano inclinato gravida di conseguenze negative per il movimento comunista internazionale. Per Althusser infatti i presupposti di queste denunce e le finalità ideologiche più che teoriche di queste1, per quanto determinate da una reale esigenza storica, oltre a non fornire alcun criterio conoscitivo utile che consentisse di portar luce sui fenomeni che intendeva indagare, oltre a non essere in grado di superare gli “abusi” che intendeva denunciare, fornirono armi ulteriori all’arsenale dell’anticomunismo di maniera e al revisionismo storico e produssero tra numerosi e autorevoli intellettuali marxisti una certa subalternità ideologica ai temi dell’idealismo borghese di cui ancora oggi si avverte il condizionamento all’interno di quelle stesse forze della sinistra radicale e antagonista che in un modo o nell’altro continuano a richiamarsi a Marx.
La “filosofia dell’Uomo” e la sua funzione ideologica
Il passaggio dal socialismo al comunismo, programmaticamente annunciato nell’URSS dei primi anni sessanta, portò a lanciare la parola d’ordine tutto per l’uomo, alla discussione su temi nuovi riconducibili alla libertà dell’uomo, al rispetto della dignità umana, più in generale alla cosiddetta realizzazione dell’umanesimo socialista. Per Althusser la giustapposizione da parte marxista di questi due termini umanesimo e socialismo, è in contraddizione con il materialismo storico, con il contenuto prettamente ideologico del primo termine e quello scientifico del secondo. Per Althusser infatti, Marx perviene alla definizione del materialismo storico solo dopo la sua “rivoluzione epistemologica”, nei confronti del fondamento teorico della sua giovinezza vale a dire la “filosofia dell’uomo”, in base alla quale l’”Uomo” era il principio teorico che stava alla base della sua concezione del mondo. Dunque, a partire dal 1845, Marx opera una rottura radicale nei confronti di ogni antropologia o Umanesimo filosofico,2 e verso la pretesa di fondare su di essi le proprie concezioni storiche e politiche, rottura che per Althusser non è un fatto di secondo piano nel pensiero di Marx ma che fa tutt’uno con la sua scoperta scientifica. Pertanto il quadro concettuale nuovo della visione storica di Marx si fonda sulla critica radicale verso ogni pretesa teorica dell’umanesimo e sulla definizione dell’umanesimo stesso come ideologia. Questa “rivoluzione epistemologica” è preceduta da una evoluzione politica e insieme filosofica che si sviluppa in tre fasi, che portano Marx da un iniziale Umanesimo razionalista e liberale, più prossimo a Kant e Fichte che a Hegel, all’Umanesimo “comunitario” ispirato dal materialismo filosofico di Fe-uerbach, fino ad approdare ad una concezione filosofica non solo rivolta alla interpretazione del mondo ma alla sua trasformazione. “Se si confrontano l’evoluzione politica e l’evoluzione filosofica del giovane Marx, si rileva:
1. che la sua evoluzione filosofica è richiesta con necessità dalla sua evoluzione politica,
2. che la sua scoperta scientifica (la “rottura”) è richiesta con necessità dalla sua evoluzione filosofica. Praticamente questo vuol dire: proprio perché il giovane Marx ha regolato i conti con la sua concezione filosofica anteriore, con le sue posizioni teoriche di classe borghesi liberali e piccolo-borghesi rivoluzionarie(…) può gettare le basi della teoria scientifica della storia come storia della lotta delle classi”3.
Tutta la filosofia idealista e borghese anteriore a Marx, che poggiava le sue speculazioni sull’Essenza dell’Uomo, viene dunque rifiutata attraverso questa rottura, che consente a Marx di disfarsi delle categorie filosofiche (soggetto, empirismo, essenza ideale) che dominavano tanto nell’economia politica classica – attraverso il rifiuto dell’individuo soggetto di questa disciplina, il mito dell’homo oeconomicus – quanto nella storia. Il subentrare nell’analisi storica di concetti quali forze produttive e rapporti di produzione, in sostituzione della coppia “individui-essenza”, è propriamente ciò che sta alla base del materialismo storico e che consente il superamento tanto dell’idealismo, quanto del materialismo filosofico pre-marxista. Sulla base di tutto ciò Althusser afferma che l’antiumanesimo raggiunto da Marx nel 1845 è la premessa per la comprensione del mondo umano e della sua pratica trasformazione. “Non è possibile conoscere qualcosa degli uomini se non alla condizione assoluta di ridurre in cenere il mito filosofico dell’Uomo. Ogni pensiero dunque che si richiamasse a Marx per restaurare in un modo o nell’altro un’antropologia o un Umanesimo filosofici, non sarebbe altro che cenere. Praticamente innalzerebbe un monumento d’ideologia pre-marxista(…)”4 .
Otto anni dopo la pubblicazione di questo saggio5 , Althusser così risponde a John Lewis che su “Marxism today” ripropone la tesi riassumibile nella frase “L’uomo fa la storia”, proprio in polemica con Althusser. Secondo questi una visione di tale tipo poteva andare bene e svolgere un ruolo progressivo quando la borghesia iniziò ad assumere un ruolo propulsivo e rivoluzionario rispetto alla società feudale, perché in quel caso affermare che la storia era fatta dall’uomo significava combattere contro la tesi religiosa dell’ideologia feudale secondo la quale è Dio a fare la storia, ma riproporla nel contesto della lotta di classe per il superamento della società capitalistica significa affermare una subalternità ideologica nei confronti delle tesi idealiste dell’umanesimo borghese. E così in antitesi all’affermazione l’uomo fa la storia, Althusser ribadisce la tesi fondamentale del materialismo storico “la lotta delle classi è il motore della storia”. Questa lotta delle classi avviene in un contesto storicamente determinato, in una materialità data dall’unità dei rapporti di produzione e delle forze produttive, all’interno di un modo di produzione e in una formazione sociale storica concreta. Proprio questa materialità va indagata, non l’”uomo” in generale, perché questa è la base della lotta di classe nella quale si determinano le condizioni materiali dello sfruttamento e dell’antagonismo di classe. Questi assunti fondamentali del marxismo fanno venir meno l’idea borghese dell’uomo come soggetto della storia, nella quale l’uomo soggetto libero per natura non sarebbe altro che l’immagine dell’uomo borghese originaria moltiplicata all’infinito, dunque un’idea dell’uomo, fondamento dell’ideologia borghese e dell’economia politica classica. Il marxismo al contrario sviluppa la sua analisi a partire da un periodo economico e sociale storicamente determinato e solo a conclusione di quest’indagine giunge agli uomini reali6. Questo perché per Althusser l’individuo in generale non esiste e ogni individuo è storicamente e socialmente determinato, pertanto la società non può essere una semplice sommatoria di individui in generale ma è definita dai rapporti sociali entro cui gli individui reali vivono, lavorano e lottano, questo discorso riguarda anche la composizione all’interno di ciascuna classe tenuto conto delle individualità diverse.”Nella loro massa gli uomini reali sono ciò che le condizioni di classe ne fanno. Queste condizioni non dipendono dalla “natura” borghese dell’uomo: la libertà. Al contrario le loro libertà le forme e i limiti di queste libertà, la loro volontà di lotta, dipendono da queste condizioni”7.
Dunque il materialismo storico ha come premessa fondamentale il riconoscimento della funzione ideologica dell’umanesimo, cioè del fatto che questo rientra appieno nel sistema di rappresentazioni, esistenza e funzione storica della società borghese, quindi delle forme ideologiche che sono espressione organica dell’attività economica e dell’organizzazione politica di questa. L’ideologia è un elemento essenziale della società perché media il rapporto vissuto degli uomini con il mondo, determinando, una concezione del mondo imposta meccanicamente dall’ambiente esterno, “e cioè da uno dei tanti gruppi sociali nei quali ognuno è automaticamente inserito fin dalla entrata nel mondo cosciente”, l’ideologia è un sistema di rappresentazioni che si impongono agli individui senza che queste siano sottoposte al vaglio della coscienza, rappresentazioni che agiscono sugli uomini attraverso dinamiche che gli uomini stessi “accolgono senza beneficio d’inventario”8.
Così in una società strutturata in classi l’ideologia dominante, che ovviamente coincide con l’ideologia della classe dominante, svolge una duplice funzione: sia in direzione delle classi subalterne, sia in direzione della stessa costituzione della classe dominante e del suo rafforzamento. Nella sua lotta contro la feudalità l’ideologia umanistica dell’eguaglianza, della libertà e della ragione viene trasposta dagli interessi particolari della borghesia in una dimensione universalistica che le consente di porsi alla testa delle classi inferiori, di svolgere le sua funzione storica di “classe universale”, reclutando e formando “quegli stessi uomini che non libererà se non per sfruttarli”. In tal senso l’ideologia borghese della libertà, che si basa sull’affermazione che tutti gli uomini, compresi i lavoratori, gli sfruttati, sono liberi, che coincide con il diritto dell’economia capitalistica liberale, serve alla classe dominante non solo per dominare la classe sfruttata, irreggimentandola entro il suo sistema mistificato di rappresentazioni, ma anche a costituirsi essa stessa in classe dominante: “la borghesia deve essa stessa credere nel suo mito, prima di convincere gli altri, e non soltanto allo scopo di convincerli ma perché ciò che essa vive nella sua ideologia è quel rapporto immaginario con le proprie condizioni di esistenza che le consente tanto di agire su di sé (dandosi coscienza giuridica e morale e le condizioni giuridiche e morali del liberalismo economico), quanto contemporaneamente sugli altri ( i suoi sfruttati: i lavoratori liberi) allo scopo di assumere, adempiere e sostenere la sua funzione storica di classe dominante”9.
Anche se le forme proprie dell’ideologia borghese possono mutare, l’essenza del suo fondamento non cambia, e questa essenza è costituita dal binomio umanesimo/economicismo. Le posizioni teoriche nelle quali l’Uomo è una categoria con funzione teorica, cioè le categorie della filosofia umanistica, celano sempre l’economicismo, cioè dietro a categorie in apparenza astratte si nascondono dei rapporti di produzione, sfruttamento e scambio ben concrete, che si riassumono nel diritto borghese. Il rapporto organico e reciprocamente propedeutico dei due termini di questo binomio sorge “spontaneamente” dalle stesse pratiche dei rapporti di produzione, del diritto e dell’ideologia borghesi che in ultima istanza sanzionano i rapporti di produzione capitalistici e la loro riproduzione. L’economista non fa altro che teorizzare in modo sistematico il punto di vista economicista del capitalismo, dunque considera ogni cosa a partire dai rapporti di mercato, dal punto di vista delle condizioni materiali che gli consentono l’accumulazione capitalistica attraverso le tecniche di estorsione del plusvalore, dello sfruttamento della forza lavoro e quindi, da al risultato delle sue speculazioni e alla sua disciplina le forme apparenti di un carattere neutro e scientifico, che in quanto tale è affermato come oggettivo e incontestabile. Ma l’alibi, la copertura ideologica di questo economicismo non può che essere l’umanesimo liberale che fonda se stesso sulle categorie del diritto liberale.
Essendo tale impostazione dominante, in quanto espressione della classe dominante, in assenza di una concezione autonoma e rivoluzionaria, anche le organizzazioni del movimento operaio possono subirne l’egemonia, quando ciò accade anche in seno al marxismo, attraverso le forme del revisionismo, essa esprime comunque e sempre un punto di vista borghese. In entrambi i casi –sia quello classico che in quello operante in seno al marxismo revisionista- ciò che consente di classificare la sostanza di questo binomio come borghese, è l’occultamento dei rapporti di produzione e della lotta delle classi, a cui fa da contraltare l’esaltazione delle forze produttive, della rivoluzione scientifica, della produttività, in una parola dello “sviluppismo” in quanto tale. In entrambi i casi l’umanesimo si esprime in un’esaltazione della difesa dei diritti dell’”Uomo” e della giustizia che mantengono inalterate le dinamiche di sfruttamento, mentre si espunge la lotta delle classi e il suo superamento attraverso l’abolizione delle classi stesse. Così Althusser si rifà a Lenin per affermare che nella II Internazionale il punto di vista borghese – che passa sotto silenzio la lotta delle classi per esaltare congiuntamente sia le forze produttive che l’”Uomo” (umanesimo/economicismo) – ha portato alla sopraffazione del punto di vista proletario del marxismo stesso.
Ma per Althusser l’influsso ideologico di questo binomio ha permeato di se anche gli ultimi dieci anni di vita della III Internazionale, tanto che, fatte le debite distinzioni, la “deviazione staliniana”, può essere definita come una sorta di rivincita postuma della II Internazionale, in tempi, circostanze e forme diverse, come una recrudescenza della sua tendenza fondamentale, che si ripresenta però identica come concezione e “linea” economiciste, che trovano anche in questo caso corrispondenza in dichiarazioni umanistiche, come quelle contenute nella costituzione sovietica del 1936 che considera “l’uomo il capitale più prezioso”.
“Umanesimo socialista” e “culto della personalità”
Come già detto in apertura Althusser afferma che l’umanesimo ha un contenuto ideologico mentre il socialismo ne ha uno scientifico: l’ideologia, come sistema di rappresentazioni dotate di un’esistenza e di una funzione storica nell’ambito di una data società, si distingue dalla scienza poiché in essa prevale la funzione pratico-sociale su quella teorica e conoscitiva. L’incontro dei due termini scaturisce dal tentativo di definire il passaggio dalla fase della dittatura del proletariato al comunismo, in contemporanea all’opera di riflessione determinatasi a seguito del XX Congresso del PCUS. Attraverso l’umanesimo socialista l’esperienza sovietica prende atto di quel passaggio e insieme “respinge e condanna i suoi abusi, le forme aberranti e criminali assunte durante il periodo del culto della personalità”, ma lo fa attraverso una costruzione ideologica pre-marxista che risponde indubbiamente a concrete esigenze storiche, ma che non è in grado di andare in profondità e risolvere i problemi che essa denuncia, rimanendo invece alla superficie di una dimensione sovrastrutturale. Sono proprio le condizioni storiche in cui si è preteso effettuare questo passaggio, l’inadeguatezza tra i fini storici e le loro condizioni reali, ad aver determinato il ricorso all’ideologia. Il quadro storico di cui si parla era cioè condizionato dal peso di un’eredità difficile nella quale le questioni teoriche si intrecciavano alle difficoltà di edificazione del socialismo in un paese arretrato, economicamente e culturalmente, ma soprattutto accerchiato come era l’URSS degli anni trenta, nella quale -come Luciano Canfora ha fatto notare10 – Stalin si trovò di fronte al compito di unificare il corso della rivoluzione sovietica per sottrarla al destino che era toccato alla rivoluzione francese. “In realtà i temi dell’umanesimo socialista indicano l’esistenza di problemi reali: problemi storici, economici, politici e ideologici nuovi, che il periodo stalinista aveva relegati nell’ombra, ma che pure ha prodotto, producendo il socialismo; problemi delle forze di organizzazione economiche, politiche e culturali corrispondenti al livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive del socialismo; delle nuove forme dello sviluppo individuale(…)”11.
Nei fatti si è preferito far ricorso ad un’analisi incentrata sulla “filosofia dell’uomo” anziché relazionarsi ai termini propri di un’analisi marxista. Questo ricorso all’ideologia, come surrogato della teoria, subisce per Althusser il retaggio non solo del dogmatismo stalinista ma anche del disastroso carico ereditato dalle semplificazioni ideologiche proprie della II Internazionale, che impedivano di affrontare in termini scientifici e non ideologici i problemi che si presentavano. Il concetto del “culto della personalità” ha un contenuto ideologico proprio nel senso che esso costituisce una via d’uscita semplice e rapida in sostituzione di una teoria assente, e fa riferimento non a categorie storiche ma alla psicologia di un uomo, al suo stile di comportamento, categorie “irreperibili” e “non classificabili” nel materialismo storico, che possono avere uno scopo e un valore pratico (in questo senso ideologico), vale a dire condannare quello stile di comportamento, ma che risulta inadeguata sia per una conoscenza effettiva che – in conseguenza – per lo stesso superamento dei suoi abusi.
Althusser suggerisce l’utilizzo di un concetto la “deviazione staliniana”, in sostituzione del “culto della personalità”, poiché il primo indica un periodo della storia del movimento operaio internazionale, ed in esso anche il ruolo di un uomo storicamente esistito, mentre il secondo pretende di spiegare ogni cosa per mezzo dell’individuo che sarebbe la causa di ciò che è accaduto.
Come è noto anche Togliatti – a dispetto dell’opportunismo che alcuni “rivoluzionari” gli rimproverano – ebbe il coraggio di esprimersi a caldo in termini non troppo dissimili da quanto fece Althusser, nella famosa intervista a Nuovi Argo-menti: “Sino a che ci si limita, in sostanza, a denunciare, come causa di tutto, i difetti personali di Stalin, si rimane nell’ambito del culto della personalità. Prima, tutto il bene era dovuto alle sovrumane qualità positive di un uomo; ora, tutto il male viene attribuito agli altrettanto eccezionali e persino sbalorditivi suoi difetti. Tanto in un caso quanto nell’altro siamo fuori del criterio di giudizio che è proprio del marxismo”12.
L’aver scelto questa via d’uscita che fa riferimento a canoni esterni al marxismo ha, secondo il filosofo francese, prodotto in ultima analisi uno scatenamento, fin dentro i partiti comunisti, di temi ben rintracciabili nella filosofia e nell’ideologia “psico-sociologistica” borghesi, portando sotto l’orbita di queste numerosi e autorevoli intellettuali e dirigenti comunisti, sia a occidente che a oriente13, trovatisi ad indagare nella produzione teorica del giovane Marx per trovare in essa le ragioni delle proprie svolte14.
Le dichiarazioni ufficiali relative al culto della personalità, che non si sono premurate giungere ad una linea di demarcazione analitica che la differenziasse dalle denunce anteriori proprie dell’ideologia borghese anticomunista, hanno fornito a questa diverse argomentazioni insperate, facendo si che l’unica risposta al culto della personalità fosse una critica di destra – di cui si è nutrita e si nutre il revisionismo storico, che ha pervaso di se lo stesso campo comunista – la quale ha esercitato un’influenza che ha continuato a prodursi sino ai giorni nostri anche nella sinistra radicale e sedicentemente marxista, che appunto continua ad appellarsi a Marx per resuscitare la “filosofia dell’Uomo”.
Dunque la “deviazione staliniana” non attiene solo alle violazioni della legalità socialista, ma riguarda cause più profonde che non sono state rimosse dal ricorso al miracolo del “culto della personalità”, proprio per questo Althusser scommetteva che la linea staliniana, sbarazzata ed epurata delle violazioni del diritto sarebbe sopravvissuta a Stalin e al XX Congresso. Ne le cause, ne i meccanismi, ne gli effetti della “deviazione staliniana”, sono stati fatti oggetto di un’analisi scientifica secondo i principi del materialismo storico, mentre si è preteso di liberarsi di questi attraverso una formula che rimane nel solco di un’ideologia idealistica che si regge sul binomio umanesimo/economicismo, che tiene fuori le dinamiche strutturali dei rapporti di produzione e di classe e l’insieme degli assetti sovrastrutturali, Tutto si riduce alla psicologia di un uomo.
Ma oltre a questo Althusser mette in guardia da un’analisi che non distinguere il primario dal secondario e che con un gesto liberatorio pretende di gettare tutto nell’”immondezzaio della storia”. Così come Lenin pur avendo sottoposto le tendenze idealistiche, economiciste e deterministe della II internazionale, ad una critica serrata non ha mai ridotto questa organizzazione alle sue tendenze degenerative, ma gli ha attribuito il merito di fronte al movimento operaio di aver consentito lo sviluppo delle forme organizzative del conflitto di classe del proletariato, il partito e il sindacato, così anche l’esperienza dell’Unione Sovietica e della III Internazionale non può essere ridotta alla deviazione a cui la si associa. Così i meriti di quest’esperienza davanti alla storia – aver saputo difendere la rivoluzione sovietica ed il suo paese anche in un periodo caratterizzato dalla fine delle prospettive rivoluzionarie in occidente e da un accerchiamento soffocante, aver creato le condizioni economiche e industriali che hanno reso possibile la sconfitta del nazi-fascismo, aver favorito il processo mondiale di emancipazione dei popoli sottoposti al colonialismo e aver contribuito alla forza politica e al miglioramento delle condizioni di vita, lavoro ed esistenza, dei lavoratori anche in occidente – non possono certo essere cancellate con un colpo di spugna intinto nella candeggina sbiancante del revisionismo storico contemporaneo.
In conclusione le considerazioni potrebbero essere tante e le implicazioni molteplici, ci limitiamo ad affermare un solo concetto: le riflessioni di Althusser sull’umanesimo socialista costituiscono uno dei pochissimi tentativi reali di superamento dell’esperienza stalinista da sinistra, che si distingue per il rigore nell’applicazione dei principi fondamentali del marxismo, tanto dalla tradizionale denuncia anticomunista di matrice borghese, quanto dal dilettantismo goffo con cui anche in tempi recentissimi è stata affrontata la questione, più per ragioni congressuali e logiche inerenti a dinamiche di schieramento interne ad organizzazioni politiche, dunque per mere ragioni ideologiche, che per una reale pulsione teorica ed insieme genuinamente politica.
Note
1 Anche Jean Ellenstein fa notare come attraverso le categorie del culto della personalità si fosse rimasti all’interno di una personalizzazione del dibattito nel quale alla formula rituale di apertura degli interventi veniva sostituito il “grazie a Stalin” con “per colpa di Stalin”. Jean Ellenstein, Storia dell’URSS, Editori Riuniti Roma 1976, pag. 262
2 Louis Althusser, Marxismo e umanesimo, sul numero 2 di Critica Marxista del 1964, pag. 74
3 Louis Althusser, Umanesimo e stalinismo De Donato Editore Bari 1973, pag. 74
4 Marxismo e umanesimo cit. pag. 76
5 Il saggio Marxismo e umanesimo troverà poi posto in un’opera fondamentale di Althusser, Per Marx, Editori Riuniti Roma 1967
6 Quando Marx dice che Feurbach si limita a parlare dell’”uomo” anziché degli “uomini storici reali”, si riferisce al fatto che quell’idea di uomo non è definita da un contesto economico, sociale e politico storicamente determinato, ma è l’idea dell’”uomo” in generale, cioè un’astrazione. Karl Marx, L’ Ideologia tedesca, Editori Riuniti Roma 2000, pag. 15
7 Umanesimo e stalinismo, cit, pag. 43
8 Antonio Gramsci pone la necessità per il marxismo di liberarsi delle stratificazioni ideologiche sedimentatesi nel “senso comune”, affermando la necessità di dar corso ad un inventario critico di tutte queste stratificazioni. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi Torino 1977, pag. 1375
9 Marxismo e umanesimo, cit. pag.81
10 Luciano Canfora ha aperto un suo interessante saggio sull’argomento con la valutazione degli interventi di Togliatti, Scoccimarro Pertini e Nenni, relativi al dibattito tenutosi alla Camera dei Deputati il 16 marzo del 1953, ravvisando proprio nell’intervento di quest’ultimo spunti degni di nota. URSS: bilancio di un’esperienza, a cura di Domenico Losurdo e Ruggiero Giacomini, Quattroventi Urbino 1999, pag. 168
11 Ibid pag. 85
12 Palmiro Togliatti, intervista su Nuovi Argomenti, n.20, maggio-giugno 1956
13 Come esempio può valere l’intervento di Gomulka davanti al VII plenum del Partito operaio unificato polacco del 19 ottobre 1956: “Il culto della personalità è un determinato sistema di esercizio del potere, è una determinata via verso il socialismo, che applica metodi contrari all’umanesimo socialista, al principio socialista della libertà dell’uomo, al principio socialista della legalità”. Feltrinelli Milano 1957
14 Da questo punto di vista estremamente illuminanti si rivelano le riflessioni che Althusser dedica alla questione in Per Marx, indicando in modo chiaro in che modo già autorevoli socialdemocratici come Landshut e Meyer avessero riesumato il giovane Marx per sfruttare la sua aurea sacrale contro le posizioni teoriche del marxismo-leninismo , riflessioni sulle quali non mi soffermo ulteriormente per ragioni di spazio. Louis Althusser , Per Marx, cit. pag. 35 – 67