La discussione

Per offrire uno spaccato della discussione congressuale del Pcf, pubblichiamo ampi stralci di alcuni testi emblematici delle posizioni che in vario modo si sono differenziate dalle tesi di maggioranza, e precisamente:

• l’intervento collettivo dei maggiori esponenti dell’ala cosiddetta dei “rinnovatori”, che esprime pieno sostegno alla “mutation” (ha votato a favore delle tesi) e chiede anzi di andare rapidamente ancora più in là nella direzione intrapresa, per la fondazione di un nuovo partito che superi anche simbolicamente il Pcf;

• il documento approvato a larghissima maggioranza dal Comitato federale del Pas de Calais, divenuto per molti nel Pcf il “manifesto” dell’opposizione di sinistra alla “mutation”;

• l’intervento collettivo dell’area che si rifà all’”appello dei 700″: militanti della Federazione di Parigi, anch’essi su una linea di opposizione di sinistra alle tesi di maggioranza, che soprattutto si concentra sul rapporto col governo Jospin e sui problemi del partito;

• alcuni passaggi di un “appello ai lavoratori”, sottoscritto da militanti comunisti in disaccordo con le tesi di maggioranza, che ha dato vita ad una affollata assemblea nella storica sala parigina della Mutualitè, svoltasi il 26 febbraio scorso;

• l’intervento del deputato Maxime Gremetz, dell’Ufficio politico uscente, sul tema della democrazia interna al partito.

“La sfida dell’innovazione”

Patrick Braouezec, Roland Favaro, Serge Guichard, Guy Hermier, Roger Martelli, Jack Ralite

(Tribuna congressuale dell’Humanité, 31.1.2000)

Secondo il Comitato nazionale del Partito comunista francese (Pcf) il 30° congresso del Partito dovrà ricoprire la stessa importanza del congresso costitutivo di Tours del 1920. Da molto tempo sappiano che questo è vitale per l’avvenire del comunismo ma anche per il rilancio di un pensiero e di una pratica alternativi in grado di controbilanciare i progetti del liberismo e la prospettiva di un social-liberismo allargato su scala europea. Il rinnovamento radicale dello spazio comunista, e quindi la rifondazione del suo progetto, della sua cultura e delle sue forme di organizzazione, è una questione prioritaria per poter rimontare la persistente fragilità dell’elettorato, la caduta degli iscritti, la crisi del militantismo, le difficoltà della stampa, la riduzione dell’area di influenza. Abbiamo l’intenzione di andare verso una nuova formazione comunista, di organizzare il congresso in modo innovativo rispetto alla vecchia tradizione di congressi controllati e unanimisti, di innescare il dibattito sulla radicalità dei cambiamenti necessari, di sancire l’apertura alle sensibilità comuniste esterne al Partito. (…)

Senza sottovalutare l’ampiezza e le difficoltà di un compito di questo genere, formuliamo alcune proposte il cui unico scopo è quello di contribuire a un lavoro di fondazione che possa andare il più lontano possibile e con il maggior rigore possibile.

1) Ripensare il progetto e la cultura comunista

I comunisti, in stragrande maggioranza, cominciano a percepire che i ritardi nell’azione di rinnovamento hanno spiazzato il comunismo nei confronti della prospettiva storica. È pur vero che le esigenze della vita politica hanno costretto i comunisti ad impegnarsi nell’immediato con le loro proposte, anche quando, in molti settori decisivi, la proposta era debole, inadeguata e a volte anche decisamente obsoleta. Ed è del tutto naturale che, per poter esplicare pienamente il proprio ruolo di forza critica il Partito cerchi adesso di precisare le grandi direttrici delle sue proposte, la trama generale di quello che potrebbe essere un moderno progetto comunista. Ma siamo costretti a constatare che, anche se si sono fatti passi in avanti, siamo lontani dagli obiettivi. Non converrebbe, in occasione del congresso, insieme con l’enunciazione delle grandi proposte, che ci si impegni pubblicamente in un grande sforzo di riesame e di elaborazione di un effettivo progetto comunista per il nostro tempo? Affronteremo tale impegno alla luce del sole utilizzando anche le idee critiche che già percorrono ed animano il sociale. I comunisti, nel loro insieme, saranno invitati a concorrere a questo lavoro di lunga durata, facendo circolare analisi e contributi, organizzando dibattiti sotto tutte le forme possibili e traendo regolari bilanci delle proposte emerse e dei problemi in sospeso. Argomenti potrebbero essere le attuali condizioni dello sviluppo umano, l’eguaglianza uomo-donna, la città, la libertà e l’autonomia degli individui, l’Europa, la mondializzazione, l’immigrazione, le nuove forme di associazionismo, il lavoro, la finanziarizzazione, la scuola… Queste iniziative devono essere lanciate nel più breve tempo possibile ed investire il Partito in tutte le sue articolazioni.

2) Definire la strategia per la costruzione del Partito

Fra l’inclusione nella sinistra plurale e l’affermazione della radicalità, la linea strategica del Partito non è ancora chiara. Con la costituzione della lista “Bouge l’Europe!” e la manifestazione del 16 ottobre 1999, il Partito ha fatto un passo nella ricerca di nuovi rapporti con il movimento che permea la società. Ma tali iniziative, affrettate nella loro realizzazione, sono state segnate dal persistere di vecchie pratiche politiche e dalla scarsa convinzione ad iscriverle in una chiara visione strategica. Il nostro scopo è quello di riunificare tutte le forze di sinistra ma questo sarà tanto più difficile quanto più la sinistra rimarrà squilibrata. Proponiamo quindi che il 30° congresso del Partito proclami senza ambiguità che il suo obiettivo, per una sinistra dinamica e riunita, è quello di sostenere il più stretto rapporto fra il movimento nella società e l’agire politico e quello, di maggior durata, per la convergenza con le forze di sensibilità radicale. Perché oggi i problemi nascono anche dal fatto che la sinistra della sinistra è dispersa ed impossibilitata a pesare come potrebbe sulle scelte del Paese. E quello che si muove nella società non riesce a raggiungere il livello della vita politica ed istituzionale del Paese. È arrivata l’ora di smetterla di contrapporre la radicalità delle riforme necessarie al realismo dell’azione riformatrice. Questa contrapposizione è nefasta alla sinistra della sinistra, votata alla subordinazione o alla pura contestazione. È nefasta anche al “movimento” che può essere ridotto al ruolo di semplice pungolo di maggioranze dominate dal Partito socialista. Infine, è nefasta allo stesso governo il quale, in mancanza del concorso attivo della radicalità resterebbe prigioniero di logiche di adattamento al sistema capitalista esistente.

3) Inventare una nuova efficienza democratica

Il problema delle diversità nel Partito non è stato sempre definito in modo soddisfacente, anche perché il Partito stesso non ha voluto, o non ha saputo, inventarsi un modo democratico di rapportare le diverse sensibilità politiche che esistono al suo interno in modo tale da creare le condizioni per poter esprimere con maggior efficacia l’azione democratica del Partito. Se queste condizioni non saranno create, il Partito rischierà di trovarsi sballottato nella cacofonia di discorsi sempre più divergenti e la ricerca di una unificazione di vertice. Ed allora quei miglioramenti che fossero raggiunti nella costruzione di strutture di Partito più aperte e più democratiche, verrebbero contraddetti da una centralizzazione di fatto. Nel Partito, come nella società, il diritto al pluralismo è la sola alternativa alla separazione delle tendenze di fatto, è la sola maniera di evitare che le diversità non riconosciute si traducano nella loro messa ai margini.

4) Impegnarsi più concretamente nel processo di creazione di una nuova formazione comunista

Per il momento lo sforzo per la costruzione di un nuovo Partito comunista si compie nel quadro della struttura del Pcf così come storicamente costituita. Ma dobbiamo proporre a singoli comunisti, non iscritti al Pcf, di partecipare alla riflessione sul progetto e sull’organizzazione. E come fare se la loro partecipazione alle decisioni continua ad essere subordinata alla loro adesione? Dobbiamo renderci conto che nelle presenti circostanze tale regola costituisce un impedimento, dobbiamo porci in una prospettiva più ampia e tenere presente che, all’indomani del congresso, la forza comunista sarà composta dal Partito comunista francese, dagli ex iscritti al Pcf, da militanti e da personalità interessate alla questione comunista ed infine da un certo numero di formazioni organizzate, militanti o no, locali o nazionali.

Noi proponiamo quindi che il 30° congresso, ribadendo ed approfondendo il già avvenuto cambiamento dell’organizzazione comunista, dia il via ad un processo di dibattito e di sperimentazione fra le diverse componenti individuali o collettive costituenti la forza comunista. In un primo tempo potranno essere costituiti organismi di avvicinamento e di amalgama e quindi, nei empi necessari, tirare dei bilanci su questi dibattiti, largamente aperti anche alla società nel suo insieme. Sulla base dei risultati ottenuti potrà essere presa la decisione, con un atto solenne, della costituzione di una formazione comunista che sarà il frutto della effettiva elaborazione di tutti i comunisti, qualunque sia il loro punto di riferimento attuale.

“Cambiare rotta per una alternativa rivoluzionaria, per un Pcf moderno e combattivo”

Il Comitato federale del Pas de Calais

(Tribuna congressuale dell’Humanité 21.10.1999)

Dopo la sconfitta della lista “Bouge l’Europe!” e della linea politica che l’ha ispirata, moltissimi militanti si sono interrogati sull’effettivo significato della “mutazione” del Pcf. Al posto di una vera modernizzazione delle attività militanti e di un progetto comunista, chiaro e mobilitante, la mutazione appare il pretesto per l’abbandono dell’identità comunista, delle posizioni di classe e degli obiettivi rivoluzionari del Pcf. Queste derive gravi hanno aperto una crisi profonda nel nostro Partito proprio alla vigilia del 30° congresso. Ciò nonostante il Comitato nazionale rifiuta ogni autocritica dell’orientamento politico e propone, in verità, di accentuare la deriva socialdemocratica che distrugge il nostro Partito. Il dichiarato obiettivo di un 30° congresso “fondatore” nasconde in realtà la liquidazione del Pcf.

Questo pericolo incombe proprio quando i lavoratori hanno un immenso bisogno di un vero Partito comunista per poter rispondere ai colpi contro l’occupazione, i diritti acquisiti e la pace, e per poter aprire la prospettiva politica di un profondo cambiamento sociale.

Approfittando della scomparsa dei Paesi socialisti e dell’indebolimento delle forze progressiste, si è costituito un nuovo ordine mondiale, espresso dalla Nato e dal Trattato di Maastricht. Questo “ordine” fondamentalmente ingiusto, instabile e squilibrato minaccia sia la pace del mondo, sia le sovranità nazionali, sia le conquiste sociali, sia la democrazia in se stessa. Può anche giungere a scatenare terribili conflitti fra imperialismi rivali per la supremazia economica e la spartizione del mondo. L’aggressione della Nato contro la Jugoslavia ha fatto seguito alla guerra del Golfo ed a molteplici ingerenze, dette “umanitarie”, dell’imperialismo. Tale aggressione, programmata dagli Usa, avallata dall’Unione europea e dalla Francia ufficiale, denuncia la volontà americana di dominare l’Europa e il mondo, di avvalersi delle rivalità fra i nazionalismi per sottomettere uno Stato sovrano, minacciare la Russia, la Cina popolare e i Paesi dell’Est.

Smentendo le illusioni sul “potenziale democratico” dell’Europa social-democratica, l’aggressione contro la Jugoslavia ha provato senza possibilità di smentita la natura imperialista di questa Europa. Di fronte a questa situazione pericolosa per la pace dei popoli, il Pcf deve lavorare alla ricostruzione di un movimento comunista internazionale, per contrastare le mire imperialiste e padronali dominanti.

Capitalismo e socialismo: il capitalismo in crisi è ormai portatore delle peggiori regressioni. La corsa al profitto, il neoliberalismo, sono sinonimi di super sfruttamento e di esclusione, di distruzione dell’ambiente, di sottosviluppo e di schiavismo. L’appropriazione da parte della classe capitalista dei frutti del lavoro e delle scoperte della scienza rappresentano un letale anacronismo per tutta l’umanità. La modernità, invece, è proprio il comunismo, cioè una società senza classi nella quale le donne e gli uomini gestiscono in comune e razionalmente, per le necessità di tutti e per il miglioramento di ciascuno, la produzione e le risorse naturali.

Ma il comunismo rimane un’utopia se non è associato alla lotta rivoluzionaria dei lavoratori per una società socialista. Il socialismo deve rinnovarsi lasciando largo spazio all’intervento politico ed economico dei lavoratori.

Per riflettere sul socialismo di domani, occorre, senza cedimenti nei confronti delle campagne miranti a criminalizzare il nostro ideale, studiare in modo critico la prima esperienza storica di costruzione del socialismo.

È necessario anche riesaminare a fondo la struttura di classe del nostro Paese. Il cambiamento di società implica la proprietà sociale dei grandi mezzi di produzione e di scambio così come l’esercizio del potere politico per la classe operaia e i suoi alleati. La modernizzazione del Pcf non è contestata da nessuno, se l’obiettivo rimane quello di un partito rivoluzionario e militante. Ma se si misura l’obiettivo della “mutazione” col metro dei guasti già provocati, allora è chiaro che si vuole un partito riformista, un partito di notabili. Per ridare al partito il suo dinamismo bisogna, al contrario, mettere in pratica la sovranità dei militanti; modernizzare il partito deve significare dargli i mezzi per consentire ai militanti di riflettere, di decidere e di controllare (le decisioni). C’è bisogno di un Partito vicino ai lavoratori e alla gioventù. È vitale per il Partito, sulla base di una linea combattiva e di un ideale rivoluzionario molto bene individuato, restituire la priorità alle cellule aziendali, ravvivare il movimento della gioventù comunista, impegnarsi, da posizioni di classe, nel movimento sindacale di massa.

Nessuno propone la forma caricaturale di un “partito guida” che decide al posto della gente. Ma ci si deve, allora, accontentare di un partito senza bussola ideologica che cede all’ideologia dominante e che si immagina che il marxismo sia un “dogma”? Al contrario, è indispensabile per i comunisti riappropriarsi in maniera creativa della teoria rivoluzionaria, ritornare a studiare la loro storia, sottoporre ai lavoratori una effettiva alternativa rivoluzionaria pur rimanendo i campioni della democrazia nelle lotte, della critica e dell’autocritica. Ma il comunista non è soltanto colui che dibatte, è un lottatore, un militante, sempre all’iniziativa individualmente e collettivamente, sulla base di una linea politica stabilita in comune. La presenza del partito, dei suoi militanti nelle imprese, nei quartieri, nelle scuole, negli uffici, nelle officine, fra coloro che cercano un lavoro, fra i pensionati, fra tutte le donne e tutti gli uomini che costituiscono le forze vive di questo Paese, è sempre più indispensabile per discutere con loro dei molteplici problemi che abbiamo di fronte, per formulare con loro proposte di soluzione e per assumere con loto l’iniziativa politica che, in ultima analisi, rappresenta il solo motore del progresso sociale e della democrazia. A tutti i livelli, da quello nazionale a quello di cellula passando per quello delle federazioni e delle sezioni, i nostri militanti devono essere attivi sul territorio non per riportare le risposte a tutte le questioni, ma per discutere con la gente, per collaborare con la gente, decidere delle iniziative ed agire perché abbiano successo.

Per quanto riguarda la stampa del Partito oltre al compito di tenerci informati, essa deve supportare l’azione militante. Deve ritornare ad essere la tribuna delle lotte e dei nostri ideali rivoluzionari. È per questo che il Pcf deve essere portatore di speranza nell’avvenire, speranza in una società meno ingiusta, meno ineguale, meno disumana.

Abbinando la bandiera rossa delle lotte al tricolore della nazione, il Pcf deve mettersi alla testa di una iniziativa mirante alla difesa della sovranità nazionale, delle conquiste laiche e repubblicane. E deve farlo su basi antifasciste ed antirazziste, favorendo la solidarietà di classe fra i lavoratori francesi e quelli immigrati, investendo l’Europa di lotte operaie e democratiche. Sarà sul terreno dell’azione che il Pcf ritroverà la sua ragion d’essere e potrà ritrovare la propria identità. Così potranno anche essere recuperate le attuali divisioni e il Pcf potrà ritrovare quella fraternità militante che si colloca nel cuore del nostro ideale. Il Pcf è a un bivio. O viene inghiottito nella pseudo-moderna palude della socialdemocrazia e presto o tardi scomparirà come è già successo ad altri partiti comunisti. O si modernizza su basi rivoluzionarie. È su questa strada, quella della continuità comunista del nostro Partito, quella del ritorno ad una chiara prospettiva, che i comunisti devono impegnarsi nel momento del 30° Congresso.

“Per una nuova politica comunista”

Intervento collettivo dell’area che si rifà all’”appello dei 700″ della Federazione di Parigi del Pcf

(Tribuna congressuale dell’Humanité, 9.2.2000)

Negli ultimi dieci anni il capitalismo, dopo aver proclamato la sua definitiva vittoria sul piano mondiale a seguito del collasso del sistema socialista nell’Est europeo, ha spinto la sua offensiva cercando di frantumare le lotte e la resistenza dei popoli e delle nazioni. Oggi il mondo è profondamente segnato dalla oppressiva dominazione di un capitalismo che brutalizza e sconvolge le condizioni di vita dei popoli, degli uomini e delle donne dell’intero pianeta; il capitalismo si ristruttura e si riorganizza in funzione aggressiva; sfrutta a fondo, contro gli interessi di tutti i popoli della Terra, la propria potenza economica, finanziaria, militare utilizzando a proprio profitto le possibilità offerte dalle tecnologie d’avanguardia. Le attività del governo e dei gruppi finanziari, industriali, alimentari degli Stati Uniti costituiscono il ruolo guida nello sviluppo di questa strategia: è stato sotto la direzione del presidente degli Usa, Clinton, che è stato messo a punto il programma di lavoro di chi pilota e di chi accetta il dominio del dio-denaro (il cosiddetto G7). L’aspirazione alla pace nel mondo non è assicurata dal famoso liberalismo né dal “commercio internazionale”: l’arma alimentare, il controllo delle fonti energetiche, dell’informazione, delle tecnologie d’avanguardia, dell’acqua, delle sementi rappresentano altrettante realtà. La guerra del Golfo, la guerra in Jugoslavia, la guerra in Cecenia testimoniano di questa realtà tragica. L’auspicata creazione di un esercito europeo aumenterebbe le potenzialità della Nato – sempre sul piede di guerra – in particolare contro i Paesi “in via di sviluppo”. La disseminazione dell’arma nucleare e la generalizzazione del traffico delle armi aggravano ulteriormente la situazione internazionale. Questa è la realtà dell’imperialismo contemporaneo, questo è in concreto il significato della parola “mondializzazione”. Ma ci sono anche altre realtà, dal Chiapas agli scioperi in Francia della fine del 1999, alle lotte di questi ultimi mesi, da quelle dei “senza terra” in Brasile alle manifestazioni che hanno dato scacco matto alla conferenza di Seattle: tutti segnali che confermano come non si sia attenuata l’aspirazione a cambiare la società e il mondo. La responsabilità di un Partito comunista è quella di contribuire a fare chiarezza sulla natura della mondializzazione capitalista, di individuare i centri nei quali si assumono le più importanti decisioni politiche, e quindi le ; di definire, di conseguenza, i luoghi di intervento, partecipando allo sviluppo delle lotte popolari ed allo sforzo necessario per il loro collegamento a livello mondiale. È quello che il Partito ha saputo fare agli inizi degli anni Novanta, per esempio nella battaglia contro il Trattato di Maastricht.

Oggi sia Chirac che Jospin partecipano attivamente alla costruzione di questo capitalismo sempre più aggressivo sul piano nazionale e su quello internazionale (privatizzazioni, fusioni, deregolamentazioni, ecc.). Entrambi portano una responsabilità diretta di questa situazione. Il Medef (la Confindustria francese, ndt) fa naturalmente la sua parte per combattere le conquiste del mondo del lavoro, ma il problema è di sapere se un potere politico di “sinistra” vuole resistere, contrastarlo od invece facilitargli il raggiungimento degli obiettivi.

(…) Il bilancio governativo non è positivo ed è il meno che si possa dire. Si caratterizza soprattutto per il peggioramento delle condizioni di vita del nostro popolo e per i gravi attentati alle basi della nostra stessa indipendenza nazionale. Ma anche per i “guasti” considerevoli prodotti nelle coscienze. Una tale situazione costituisce un problema per un gran numero di comunisti: si pone la questione del proseguimento, o meno, della partecipazione a questo governo. E valga il vero: la direzione del Partito non ha, come nel 1977 si era impegnata a fare, organizzato le lotte nel Paese intese a sostenere l’azione del Partito nell’Assemblea nazionale e nel governo per una politica di progresso sociale, per la conquista di maggior potere per le cittadine e i cittadini, per una effettiva cooperazione in Europa e nel mondo. La direzione del Partito ha ceduto in continuazione alle ingiunzioni di Jospin, ha subito il ricatto del rischio della crisi governativa ed ha stabilito, e senza alcuna consultazione con i comunisti, di “installarsi al governo a tempo indeterminato” quali che ne siano le conseguenze per la popolazione.

Ovviamente nessuno pensava che il governo della “sinistra plurale” costituitosi all’indomani della sconfitta elettorale della destra nel 1997 avrebbe condotto avanti una politica conforme ai proponimenti del Pcf, tuttavia come partito possiamo continuare ad avallare una politica così negativa come quella praticata da questo governo?

Quando Lionel Jospin fa una politica che è l’opposto di una politica di sinistra, è lui che se ne deve assumere la responsabilità. Invece la crisi è nel Pcf in seno al quale lo smarrimento aumenta e cresce la frattura fra l’elettorato e il Pcf. E quale fossato si è scavato fra le belle parole sulla democrazia, il diritto di cittadinanza, la trasparenza e le preoccupazioni di semplice sopravvivenza dell’apparato del Partito! Quello che ora ci viene proposto è un partito radicalmente diverso, un’altra forma di organizzazione: ma la questione essenziale è di sapere se tutto questo avrà qualche cosa in comune con i valori e gli ideali comunisti, ed è poco probabile. Per sperare nel “nuovo” occorre anzitutto respingere il progetto di questi “rinnovatori”, la loro strategia politica e la loro forma di organizzazione è rispondere “no” alla consultazione di metà febbraio (il voto sui documenti precongressuali, ndt). E cominciare a costruire, rendendoci conto della portata del compito, perché non sarà facile riconquistare la fiducia della gente nei quartieri popolari, nei luoghi di lavoro, fra i precari, i disoccupati, fra i giovani. Ma le possibilità esistono, come si è potuto constatare nelle lotte dell’ultimo trimestre del 1999.

Tutto questo andrebbe incontro alle aspirazioni della grande maggioranza dei comunisti: la loro ricchezza umana e militante rappresenta un patrimonio inestimabile. Serve una nuova direzione che elabori un nuovo orientamento e che sia capace di allineare le dichiarazioni d’intenti alle parole e ai fatti, senza contraddizioni. La caratteristica principale delle lotte oggi è quella di far emergere, da una parte, l’esigenza della rottura radicale con la ferrea logica del capitale e, dall’altra, la necessità di una prospettiva di alternativa al capitalismo in crisi, avanzando in questo modo verso un cambiamento della società.

Non si deve assolutamente cedere al pensiero dominante su questioni determinanti quali il rapporto di proprietà, il diritto al lavoro, il diritto alla casa, l’autogestione, lo Stato. Noi rifiutiamo la scelta fra un Pcf che si sottomette ed un Pcf che scompare, nel momento in cui la necessità di un partito combattivo e moderno dagli obiettivi di trasformazione e di rivoluzione appare una delle indispensabilità della nostra epoca. Il nostro avviso è, dunque, quello di proporre nelle idee e nella pratica una mutazione rivoluzionaria del Pcf.

E ci dichiariamo per il mantenimento del nostro simbolo – che la direzione ha, di fatto, abbandonato senza la minima discussione – quella falce e quel martello che noi non consideriamo un talismano ma i “segni” che hanno accompagnato le lotte e le speranze di generazioni di comunisti in una lunga storia coraggiosa ed anche eroica. Nessuno ha il monopolio della verità e quindi questo testo non lo reclama. E, allora, chi può sostenere oggi che le scelte della nostra direzione siano le sole risposte possibili alla sfida che i comunisti hanno di fronte?

“Una regressione democratica grave”

Intervento di Maxime Gremetz, membro dell’ufficio politico uscente del Pcf

(Tribuna congressuale dell’Humanité, 6 marzo 2000)

Annuncio che non sarò candidato ad alcuna responsabilità nazionale. Sì, il Partito comunista ha bisogno di un progetto comunista moderno. Ha bisogno di una evoluzione reale delle sue forme di organizzazione a partire da una concezione rinnovata dei suoi organi dirigenti. Ciascuno ammetterà che i comunisti meritano di poter analizzare, apprezzare e pronunciarsi su scelte e proposte chiare, e su ogni aspetto del loro agire politico.

Disgraziatamente osservo che oggi ciò non è possibile. Colpi bassi, censure, rifiuto di un dibattito trasparente sui veri problemi in discussione. Con lo scopo evidente di evitare che il dibattito avvenga sui nodi essenziali. Dichiaro fin da oggi che non mi candiderò né al Consiglio nazionale, né all’esecutivo. Non posso e non voglio più coprire pratiche di regressione democratica grave finalizzate a delegare tute le decisioni ad un piccolo gruppo di dirigenti.

Osservo dalla lettura dei resoconti dei contributi individuali alle riunioni di partito e dalla sintesi espressa dai comitati federali, che emergono delle forti esigenze da parte dei comunisti: essere più e meglio comunisti, utili al nostro popolo, per sapere rispondere ai grandi problemi della società e della civilizzazione. La volontà di avere un partito più combattivo, più rinnovato, più democratico. La volontà di assumerci le nostre responsabilità in tutti i luoghi del potere, compreso il governo, restando fedeli a noi stessi in Parlamento, affermando le nostre posizioni e le nostre proposte, e agendo in conformità con i nostri atti, i nostri voti, le nostre parole, restando liberi e autonomi.

La volontà che il Partito comunista francese sia un elemento dinamico e originale del movimento popolare è un fattore decisivo per imporre delle avanzate reali. L’organizzazione comunista, qualunque sia la sua forma, è essenziale nei luoghi di lavoro: il suo abbandono segnerebbe la morte del Partito comunista.

E poi parliamo di democrazia! Come parlarne quando si privano i comunisti del loro diritto di eleggere il loro Consiglio nazionale.

I comunisti, nella loro maggioranza, esprimono il loro disaccordo con la nomina dei membri di diritto al Consiglio nazionale, con la pesantezza di questo organismo e sono contrari all’elezione diretta nel congresso dell’Esecutivo e del segretario nazionale. La volontà di “forzare il passaggio” malgrado il parere negativo della maggioranza dei comunisti pone degli interrogativi. Una parte della direzione sa bene che non potrà andare lontano quanto vorrebbe, abbandonando aspetti della nostra identità che costituiscono i tratti originali del Partito comunista. Finito il congresso, l’Esecutivo e il segretario nazionale, eletti dal congresso saranno legittimati ad imporre ciò che i comunisti hanno rifiutato. Io dico no e faccio appello ai comunisti a dire no. I comunisti per essere padroni del loro partito devono poter eleggere le loro strutture nazionali, cioè, il Consiglio nazionale che, successivamente eleggerà l’Esecutivo e il segretario nazionale.

Il Partito comunista significa per me lealtà, franchezza, solidarietà, amicizia, ossia valori diventati piuttosto rari per alcuni dei più alti dirigenti. In tutti i casi confermo che non sarò candidato ad alcun posto di direzione.

È mia ferma convinzione che nella Francia della Rivoluzione del 1789, della Comune di Parigi, del Fronte Popolare, della Resistenza, nessuno ha il potere di decretare in un giorno qualsiasi la fine del Partito comunista francese. Il comunismo, il Partito comunista sono la speranza dell’avvenire.

Per parte mia, modestamente continuerò il mio impegno, qualunque cosa succeda: come è mio costume, assumendo nel futuro, se sarà necessario, le mie responsabilità. Spero che la situazione non mi costringa a farlo.

L’assemblea della Mutualité

Appello di lavoratori e militanti comunisti

in disaccordo con gli orientamenti politici del Pcf

Nel testo dell’appello per la manifestazione con oltre un migliaio di persone che si è tenuta alla Mutualité (Parigi, 26 febbraio 2000), firmato fra gli altri da Georges Hage, deputato e vicepresidente dell’Assemblea nazionale, Henri Alleg, Jean Albertini, Rémy Auchedé, Yves Coquelle, Jean-Claude Danglot, Georges Gastaud, Jean-Pierre Hommen, Alain Job, Jean-Jacques Karman, Léon Landini, Jackie Leclerc, Pierre Lovy, Maurice Martin, Pierre Pranchère, Marie-Jeanne Rivera, si fa un bilancio critico dell’azione del governo Jospin e si valuta la presenza di ministri comunisti.

“Qual è il vero bilancio del governo Jospin?

Nel settore economico e sociale invece di porre un freno alle privatizzazioni, Jospin ha privatizzato più di Juppé. Sul piano della sovranità nazionale il governo Jospin, aiutato dal “gollista” Chirac, ha fatto saltare l’ultima serratura: l’Euro pone il bilancio francese sotto la tutela della Banca di Francoforte; il progetto di esercito europeo, concepito quale polizia internazionale contro i popoli recalcitranti, si sostituisce al principio di difesa nazionale; il nostro Paese segue docilmente la Nato come si è visto in occasione dell’intervento dell’imperialismo americano in Jugoslavia. Se lo lasciamo fare, che cosa resterà della Francia e della Repubblica nel XXI secolo?

Per quanto riguarda i ministri che risultano iscritti al Pcf, ben lontani da funzionare come rappresentanti delle rivendicazioni dei cittadini, sembra che agiscano da freno dei movimenti sociali, predicando una illusoria collaborazione fra il capitale e il lavoro invece di indicare la sola cosa che il padronato capisce: i rapporti di forza e la lotta di classe. Con il pretesto della “mutazione”, l’attuale politica dei dirigenti del nostro Partito tende ad aggravare ulteriormente la deriva che paralizza i comunisti e fa del Pcf l’ostaggio del PS. Se si trattasse di modernizzare il Pcf per farne uno strumento più efficace al servizio dei lavoratori, noi saremmo certamente a favore. Ma, di fatto, la direzione del Partito si propone di fare del 30° congresso un “congresso fondatore” volto a rimpiazzare il Pcf, organizzazione legata alla classe operaia dal congresso di Tours del 1920, con una “nuova formazione” che ben presto, come è già successo in Italia, non avrebbe di comunista che il nome.

Sarebbe una terribile regressione per la classe operaia in Francia. Bisogna fermare questo disastroso progetto, apprezzato dagli avversari dell’indipendenza nazionale e del mondo del lavoro. Tutti coloro che in Francia vivono e vorranno vivere del loro lavoro, non hanno affatto bisogno di un partito socialista bis.”