Siamo di fronte ad un incrocio sociale evidente tra le misure legislative che ridefiniscono l’insieme dei rapporti di lavoro con l’applicazione della Legge 30, la ripresa dell’iter parlamentare della legge che modifica l’Art. 18 e la definizione della Finanziaria, che si pone esplicitamente l’obiettivo di mettere mano definitivamente al sistema di sicurezza sociale.
Nello stesso tempo, dalla legge Gasparri al conflitto d’interessi, alla magistratura, alla Costituzione si rende esplicito che, per la prima volta nella storia repubblicana del nostro paese, siamo in presenza di un governo che sta modificando sostanzialmente la natura stessa dell’assetto democratico costituzionalmente definito.
Per queste ragioni considero semplicemente sbagliate quelle posizioni che sostengono che questo governo è incapace di fare vere riforme perché bloccato dalla logica dei veti incrociati e che questo sarebbe testimoniato dal fallimento della politica economica.
Non mi pare proprio che questo sia lo stato della situazione; altra cosa è ragionare sulle contraddizioni e sui problemi che emergono nel blocco sociale e politico che sostiene il governo Berlusconi. Contraddizioni e processi di scollamento che hanno natura diversa ed affondano le proprie radici nel fatto che il governo non è in grado di mantenere le promesse elettorali né sul piano fiscale, né tanto meno sul versante occupazionale, tanto più a fronte di un ciclo economico non espansivo.
Ciò ha messo a nudo l’ideologia, l’unica veramente rimasta, che ha accompagnato nel corso di questi anni, anche in ampi settori della sinistra, l’idea che nell’era della globalizzazione e delle nuove tecnologie su base informatica si aprissero nuovi orizzonti fondati sulla piena espansione della libertà individuale.
Le lotte di questi anni sui diritti, sulla giustizia ed il grande movimento per la pace hanno attraversato ampi settori della pubblica opinione, determinando un processo di scollamento e disaffezione di una parte significativa dell’elettorato che ha sostenuto il governo Berlusconi; viceversa le critiche della Confindustria sono d’altra natura ed ineriscono alla richiesta di accelerare l’attuazione del programma a suo tempo pattuito, a partire dall’assetto dello stato sociale.
Sono cose tra loro totalmente diverse e, se non si vogliono fare le solite operazioni di “furbizia elettorale”, è necessario esplicitare cosa vuole dire, nel merito, un’alternativa all’attuale governo, e in quale rapporto, nel merito, con il conflitto sociale aperto nel paese.
È mia convinzione che assolutamente centrale, nel definire il profilo sociale, istituzionale e democratico del paese, è ciò che sta avvenendo sul versante del lavoro, delle relazioni sociali, poiché sempre c’è stato un rapporto inscindibile tra la crescita dell’iniziativa del movimento dei lavoratori com’espressione autonoma degli interessi del lavoro subordinato e l’espansione della democrazia nel paese.
La questione posta inerisce proprio al fatto che si considera questa fase, il novecento, conclusa, perché l’affermazione delle leggi del mercato su base planetaria e le tecnologie della comunicazione non solo cambiano il lavoro, o meglio la prestazione lavorativa, cosa ovviamente assolutamente veritiera, ma modificano il concetto stesso di lavoro subordinato ed il conflitto capitale-lavoro non è né centrale, né particolarmente significativo per leggere gli attuali processi sociali.
Non è un caso che il governo e la Confindustria hanno operato immediatamente nella costruzione di un assetto legislativo che ridefinisce l’insieme dei rapporti di lavoro con una finalizzazione precisa, quella della precarizzazione di massa, come condizione permanente d’insicurezza e di ricatto del lavoratore e lavoratrice, del singolo lavoratore e lavoratrice, e l’affermazione del rapporto individuale, del contratto individuale che, come dice il “Libro Bianco”, assume le caratteristiche del rapporto di natura commerciale che supera il concetto del rapporto di lavoro subordinato.
Tutto ciò, è stato detto e scritto con assoluta chiarezza, comporta il superamento del conflitto sociale e del diritto del lavoro del novecento, per l’ovvia considerazione che viene negato il soggetto sociale.
Questo a me pare il significato delle leggi sull’orario, sui contratti a termine e adesso della Legge 30 e di modifica dell’art. 18, dove flessibilità vuole dire precarizzazione ed il rapporto di lavoro diventa sempre più pervasivo della condizione di vita.
Esattamente l’opposto delle sciocchezze che si sono dette sulla crescita, sulla espansione della libertà individuale.
Il tempo di lavoro oggi è sempre più pervasivo del tempo di vita dell’individuo perché ne dispone semplicemente ed esclusivamente il padrone, che ti chiama a lavorare quando ne ha bisogno e ti lascia “libero” quando non gli servi, fino ad arrivare all’estremo del rapporto di lavoro a chiamata, dove lo scambio è fondato sul fatto che il lavoratore mette a disposizione “tutto” il suo tempo e l’azienda, a discrezione, ne utilizza quello che gli serve nelle diverse fasi del ciclo lavorativo.
Non cambia il quadro per i lavoratori/lavoratrici assunti a tempo indeterminato, perché la nuova legge sull’orario consegna la flessibilità dell’orario alla unilateralità da par-te dell’impresa.
In uno scenario di questa natura cambia la funzione ed il ruolo della rappresentanza sociale cui è assegnata una funzione dentro questo impianto complessivo, quello degli Enti Bilaterali, di una rappresentanza corporativa garantita dalle controparti che è parte di questo processo.
Il sindacato confederale, come espressione democratica degli interessi del lavoro subordinato e dei pensionati che, in quanto tale, è portatore di un progetto complessivo di organizzazione della società, è semplicemente da sconfiggere.
L’esercizio della contrattazione collettiva come contrattazione di un soggetto sociale autonomo che interviene sulle condizioni concrete d’esercizio della prestazione lavorativa è considerato incompatibile, è un residuo del passato.
Per questo la democrazia, il voto dei lavoratori e delle lavoratrici sulla piattaforma e sugli accordi sono semplicemente inconcepibili, cosi come viene affermato nella relazione del governo d’accompagnamento della Legge 30: “l’accordo con chi ci sta” viene considerato una pratica normale e legittima.
Se qualcuno è interessato a leggere l’art. 39 della Costituzione e a riflettere sulla vicenda dei meccanici, sul verbale della Federmeccanica firmato da organizzazioni sindacali minoritarie, senza la convalida dei lavoratori, non può che convenire che siamo già entrati nell’ambito della modifica della Costituzione materiale del nostro paese.
La democrazia, il voto dei lavoratori, assumono oggi un valore strategico, decisivo per qualsiasi ipotesi che voglia contrastare questo processo.
Ma se le cose stanno così e hanno questo significato devastante, non è possibile sottrarsi al fatto che nella costruzione di un’opposizione sociale e politica diventa decisivo il rapporto con il lavoro per la definizione d’obiettivi alternativi alla pratica del governo e della Confindu-stria.
Ho la netta percezione che anche nella sinistra sussistano posizioni che, pur a partire da analisi diverse, siano esse moderate o radicali, confluiscono, di fatto, nel ritenere che ciò che sta avvenendo è immodificabile, anzi persino positivo e che il conflitto oggi non è più nel lavoro, ma nel mercato del lavoro, cioè sul versante degli ammortizzatori sociali.
Poi su questo terreno le proposte divergono, ma ciò che mi interessa sottolineare è l’aspetto sostanziale di questo passaggio che individua, sul versante distributivo nei rapporti con lo stato, il vero terreno del conflitto che possa unificare vecchi e nuovi lavori, mentre il conflitto nel lavoro, nel rapporto capitale-lavoro, non rappresenta più il luogo centrale.
Pensare che l’estensione dei diritti di cittadinanza sia in qualche modo sostitutiva dei diritti nel lavoro, cioè del potere assoluto del padrone nel lavoro, non soltanto è illusorio, ma di fatto accompagna le scelte in atto, quelle di una globalizzazione come mercificazione della condizione umana.
Proseguendo poi su questa strada scompaiono i soggetti sociali, i referenti sociali, per cui il riferimento per le stesse forze politiche e/o parte dei movimenti diventa la persona, l’individuo, senza capire che da qui deriva la costruzione di un impianto democratico che può sfociare nel leaderismo, nel rapporto plebiscitario tra il capo e le masse.
Vi è in campo, da destra e da sinistra, una sorta d’apologia del capitalismo.
Non è in discussione la necessità della riforma degli ammortizzatori sociali, che considero assolutamen-te necessaria, ma è l’approccio che diventa decisivo per definirne i contenuti e l’inscindibilità con il lavoro.
Basti riflettere sull’assetto del sistema di sicurezza sociale, dalla previdenza alla sanità: come non vedere che ciò che sta avvenendo sul terreno del lavoro prefigura un percorso preciso per il futuro, dove ogni singolo lavoratore e lavoratrice dovrà costruirsi individualmente la propria assicurazione sulla salute e per la vecchiaia, cosi come avviene negli Stati Uniti?
Ciò che interessa alla Confindustria è la riduzione degli oneri sociali, il fatidico 33%, ed i fondi liberi per quanto riguarda la previdenza integrativa; l’elevamento della età pensionabile e/o il blocco delle finestre per le pensioni d’anzianità sono aspetti aggiuntivi che derivano dalle esigenze di cassa da parte del governo.
È persino paradossale ciò che sta avvenendo perché, nella realtà, nel paese reale, per qualsiasi ragione (ristrutturazione, crisi, riorganizzazione) i padroni vogliono liberarsi dei lavoratori che superano i 45, 50 anni perché considerati troppo anziani, ed il governo ha emanato alla fine di Luglio un Decreto per ulteriori 7.000 lavoratori/lavoratrici da collocare il mobilità lunga.
Se poi guardiamo all’Europa, scopriamo che vi è una ricerca che spiega che, in tutti i paesi europei, mentre si facevano e si fanno leggi che elevano l’età legale per accedere alla pensione, nella realtà l’età di fuoriuscita dal lavoro è ovunque fortemente diminuita utilizzando vari meccanismi a seconda del paese interessato, dai prepensionamenti in Italia, alle pensioni d’invalidità in Olanda, ai sussidi di disoccupazione per 5 anni con il 70% della retribuzione in Francia e Germania.
Sia chiaro che considero questo processo un dramma: di questo si tratta e non di altro.
Alla Fiat, con la nuova metrica definita TMC2 che incrementa del 15 – 20% i carichi di lavoro per lavorare, bisogna essere giovani, in perfetta salute, assolutamente flessibili e possibilmente precari.
È l’insieme di queste ragioni che mi porta a considerare il passaggio di quest’autunno di grandissima rilevanza per il futuro, proprio per l’incrocio che si è determinato e che esplicita la fase che stiamo vivendo.
Il conflitto sociale, l’iniziativa sindacale, in particolare della CGIL, non potranno che affermare l’inscindibilità dei diversi aspetti, a partire dallo sciopero di due ore previsto per Settembre contro la Legge 30.
Le scelte compiute dalla FIOM comporteranno un’estensione del conflitto sociale in tutti i luoghi di lavoro, dove i lavoratori e le lavoratrici, attraverso il referendum, daranno il loro consenso all’apertura delle vertenze aziendali che ripropongono i contenuti della nostra piattaforma nazionale.
Ci siamo dati un obiettivo preciso, quello di rendere impraticabile l’applicazione di quelle scelte (precarizzazione e riduzione del potere d’acquisto) e sviluppare un processo democratico di ricomposizione di un soggetto collettivo autonomo, tanto più a fronte di processi di scomposizione e frantumazione del mondo del lavoro subordinato.
In questo modo vogliamo costruire lo sciopero generale della categoria con manifestazione a Roma per il 17 Ottobre, per la democrazia, contro la precarizzazione, per il contratto.