La battaglia al Congresso della Cgil

Siamo ad un punto in cui è possibile trarre un primo bilancio dell’andamento dei Congressi della Cgil nei luoghi di lavoro. In sintesi mi pare emergano con chiarezza alcune tendenze di fondo.
1. La partecipazione alle assemblee non è esaltante e spesso è segnata dai silenzi diffusi degli iscritti. Tenendo conto della discussione precongressuale sulla opportunità di presentare più mozioni o un unico documento, è bene sottolineare che la presentazione dei due testi rappresenta in fondo l’unico elemento di vero interesse per gli iscritti che partecipano. Se essa non ci fosse stata, i congressi di base sarebbero stati segnati da un ulteriore disinteresse.
2. Là dove si svolge effettivamente il confronto tra le due mozioni, il nodo del contendere emerge con chiarezza, al di là dei soliti rituali polemici e di stampo stalinista con cui le maggioranze accusano le minoranze di voler dividere l’organizzazione. Esso è dato dal giudizio sulla concertazione e sul 23 luglio. Chi difende il documento di maggioranza alla fine difende tutto quell’impianto, anche ammettendo che oggi esso è in crisi, ma rivendicandone i meriti nei confronti dell’attacco padronale e del governo. La mozione di minoranza presenta esplicitamente la necessità di andare oltre quella politia e quel sistema per riconquistare una piena autonomia contrattuale e rivendicativa.
3. Da parte della maggioranza emerge un ragionamento sull’unità sindacale che nei fatti contraddice, o comunque chiede di attenuare, le ultime scelte della Fiom e dello stesso segretario generale della CGIL. Nella sostanza, di fronte alle argomentazioni della sinistra che chiede di riprendere il conflitto, si obietta che da soli non si farà molta strada. Questa affermazione, fatta nel contesto della preparazione dello sciopero della Fiom, segnala un malessere diffuso nella maggioranza Cgil rispetto alle scelte dei metalmeccanici.
4. La mozione della sinistra “Lavoro e Società – Cambiare rotta” ha complessivamente buone affermazioni e sicuramente porterà al Congresso una forza in crescita. Questo anche tenendo conto della poderosa presenza degli apparati a tutela della maggioranza e del peso, oramai insostenibile per un sindacato, del voto dei pensionati. Tuttavia il risultato è contraddittorio; vi sono anche realtà nelle quali la sinistra non riesce a confermare il risultato conseguito nel ’96 da Alternativa Sindacale. Si può dire che là ove la sinistra si presenta effettivamente con il volto e l’esperienza del processo unitario di questi ultimi due anni, i successi sono rilevanti. Là ove si presenta in pura continuità con gli schieramenti passati, magari con il contrappunto di litigi tra le burocrazie, il risultato è negativo.
Da questi primi dati e dai contenuti che emergono dal confronto tra le mozioni si può dedurre che il percorso congressuale della Cgil sarà rapidamente messo di fronte alle contraddizioni e alle strette di questa fase politica.
Innanzitutto la guerra rappresenterà sempre di più una discriminante per gli orientamenti e il posizionamento dei gruppi dirigenti. È evidente che le ultime scelte dei D.S. e lo stesso andamento congressuale in quel partito avranno delle ripercussioni sul corpo diessino degli apparati, che rappresenta la parte assolutamente preponderante dell’organizzazione. Già ora si sentono nei congressi di fabbrica i primi segnali. Essi emergeranno sempre di più nel percorso congressuale successivo.
Ma sicuramente il nodo centrale che aggroviglierà le vicende congressuali è la questione del proseguimento del movimento di lotta dopo il 16 novembre e la conseguente gestione dei rapporti con Cisl e Uil. La maggioranza del gruppo dirigente si presenta su questo piano ai congressi con una unità di facciata, che ha lo scopo di conservare il pieno governo dell’organizzazione, che nasconde una divisione profonda.
Da un lato la posizione di chi è più vicino al segretario generale della Fiom e anche al segretario generale della Cgil, che più o meno esplicitamente dice: quello che oggi tocca ai metalmeccanici domani dovrà riguardare tutta la Confederazione. Nella sostanza ciò comporta l’accettazione del confronto con Cisl e Uil e della crisi dell’unità sindacale, la disponibilità ad estendere, fino allo sciopero generale, iniziative di lotta della sola Cgil, la previsione di un lungo periodo nel quale la principale Confederazione italiana dovrà agire da sola.
A queste posizioni si contrappone in maniera sempre più esplicita un’ala che potremmo chiamare “dalemiana”, anche se non corrisponde esattamente agli schieramenti del congresso dei D.S., che invece sostiene proprio la necessità di evitare l’estensione dell’esperienza dei metalmeccanici a tutta la Confederazioni. Nella sostanza questa posizione chiede di tornare al dialogo di con Cisl e Uil, di provare a ricostruire una piattaforma unitaria, anche mettendo in discussione alcune intransigenze verso il “Libro bianco” del governo.
Insomma, da un lato vi sono forze nella maggioranza che propongono un cambiamento di rotta reale con il passato, di cui lo sciopero del 16 novembre è l’aspetto emblematico e simbolico. Senza però arrivare a definire una piattaforma rivendicativa che sia corrispondente e adeguata alla modifica dei comportamenti concreti. Sull’altro versante della maggioranza si propone una continuità con i comportamenti concreti del passato, cioè la priorità all’unità con Cisl e Uil e al riconoscimento istituzionale da parte delle controparti, senza però ancora chiarire fino a che punto si dovrebbe arretrare sui contenuti.
Questa situazione dimostra la felicità dell’intuizione che è stata alla base dell’idea di “Cambiare rotta”. Quando è iniziato quel processo di unificazione delle sinistre Cgil, si disse non soltanto che la linea concertativa seguita fino ad allora non aveva prodotto risultati accettabili, ma che essa comunque sarebbe andata in crisi e non avrebbe più potuto essere perseguita. La divisione della maggioranza della Confederazione tra chi propone una continuità sui contenuti e una rottura nella pratica, e chi invece richiede una continuità nella pratica concertativa in un rapporto privilegiato con Cisl e Uil, e quindi una rottura o un arretramento sui contenuti del 23 luglio, è la dimostrazione dell’esistenza di questa crisi.
Le stesse difficoltà registrate nei congressi di base sono un segnale che questa crisi di strategia è profondamente percepita dal corpo dell’organizzazione.
Per questo, anche se al momento non è ancora possibile avere un quadro complessivo dei risultati congressuali, è possibile spendere la seguente previsione.
Se il risultato della sinistra sarà buono, esso potrà pesare molto in tutto il successivo percorso congressuale. Si tratterà di evitare la doppia caduta verso il consociativismo o il settarismo, e di esercitare fino in fondo, sulla crisi di strategia dell’organizzazione, il peso di chi chiede con chiarezza sia una nuova piattaforma sia una nuova pratica sindacale.